Continua ormai da tre giorni il braccio di ferro al Westgate di Nairobi
tra le forze di sicurezza kenyane e militanti del gruppo islamico
al-qaedista somalo Al-Shabaab che sabato scorso vi hanno fatto irruzione
facendo esplodere granate e colpi d'arma da fuoco all'Artcafè
israeliano del lussuoso shopping center.
Circa 69 i morti - di nazionalità kenyana, ghanese, canadese,
francese, olandese e britannica - 170 i feriti, un migliaio le persone
liberate e un imprecisato numero di dispersi probabilmente ancora
ostaggi del commando che da sabato notte è asserragliato da qualche
parte nel prestigioso centro commerciale di proprietà anche israeliana.
Tre al momento gli assalitori uccisi durante le operazioni lanciate per
rompere l'assedio a partire da sabato sera e continuate fino a ieri da
parte delle Kenya Defence Forces, la Regular and Administration Police e
l'Anti-Terror Police Unit coadiuvate da agenti dell'Fbi e del Mossad
israeliano.
Quest'ultimo, secondo l'agenzia Afp, avrebbe fornito sostegno logistico
partecipando attivamente alle operazioni delle forze kenyote mentre
secondo l'agenzia Reuters avrebbe solo preso parte come consulente nel
delineare la strategia d'intervento. Dettagli insignificanti visto che la
presenza del Mossad sul suolo kenyota in operazioni anti-terrorismo si
inserisce nel quadro delle solide relazioni di lunga data e di
cooperazione in ambito di sicurezza e intelligence tra i due Paesi.
Cooperazione che, come sostiene lo stesso Haaretz, il quotidiano
nazionale israeliano, è destinata a rafforzarsi dopo l'attacco al
Westgate.
Sebbene a rivendicare l'assedio di Nairobi sia stato il gruppo
Al-Shabaab di matrice qaedista, la portata dell'assalto e le forze
antiterrorismo coinvolte hanno sin dalle prime ore palesato che il
target dell'attacco potesse andare ben oltre i confini kenyani per
includere quelli dello Stato ebraico. Ipotesi ora confermata dalle
dichiarazione di Jiulius Karangi, capo di stato maggiore generale del
Kenya secondo cui il commando terroristico sarebbe «chiaramente una
formazione multinazionale da ogni parte del mondo» e «questo non è un
evento locale ma di terrorismo globale».
Lo stesso Al-Shabaab ha diffuso via twitter i nomi di 9 assalitori,
tutti di età compresa tra i 22 e i 27 anni e di nazionalità americana,
britannica, canadese, somala, finlandese e kenyota. Al Shabaab
nonostante sia un gruppo islamico di estrazione somala riesce a
coinvolgere adepti stranieri nella sua lotta contro le politiche
dell'Unione africana e dei Paesi occidentali in Africa.
L'attacco al Westgate di Nairobi di sabato va ad aggiungersi agli
attentati all'ambasciata americana a Nairobi del 1998 con 200 morti e a
quello del 2002 contro l'Hotel Paradise di Mombasa, Kenya, di proprietà
israeliana - 13 le vittime - e il tentativo di abbattimento di un aereo
di linea israeliano. Ma Israele era stato obiettivo di attacchi
terroristici in Africa già nel 1976 quando fu dirottato il volo dell'Air
France diretto in Uganda.
In quell'occasione fu l'esercito kenyota a fornire preziosa assistenza
per liberare gli ostaggi durante il raid all'aeroporto di Entebbe.
Risale ai tempi del Ministro degli Esteri israeliano Golda Meir e del
primo ministro della Repubblica del Kenya Mzee Jomo Kenyatta il
rafforzamento delle solide relazioni soprattutto militari che vedono
l'impegno costante di Israele a fornire non solo armi ma anche know-how
alla più grande economia dell'Africa orientale, partner prezioso perché
gateway strategico tra il Mediterraneo e i Paesi dell'Africa
sub-sahariani.
Ed è con lo Stato ebraico che a novembre 2011 la Repubblica del Kenya
raggiunge accordi a supporto dell'Operation Linda Nchi (Defend the
Country) con cui aveva invaso la Somalia neanche un mese prima per
cacciare Al-Shabaab dalle città di confine e per costruire una
regione autonoma a difesa degli interessi turistici della zona
costiera ed economici di sfruttamento delle risorse, come poi fu svelato
da Wikileaks a proposito dell'operazione Jubaland. La stessa area di
frontiera che sebbene sia sede della città portuale di Mombasa - centro
di transito commerciale verso tutta l'Africa orientale e i Paesi
occidentali - rimane strangolata da decenni dalla povertà dei quartieri
popolari e dall'emergenza dei campi profughi di Kakuma e Dadaab dove
sono stipati almeno 450.000 rifugiati in uno spazio destinato a 170.000
nell'indifferenza generale delle autorità kenyote e della comunità
internazionale.
Simbolo della crescita vertiginosa degli interessi economico-finanziari
dell'Occidente e della sua espansione nelle economie più forti
dell'Africa, da sabato scorso il Westgate Shopping Mall di Nairobi si
sta rivelando un monito e un allarme su scala globale ai governi forti
di tutto l'Occidente.
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