Come i nostri lettori sanno bene, noi non troviamo significative differenze tra il governo “giallorosè” e quello precedente, “gialloverde”. Se non nelle formule verbali che accompagnano provvedimenti assolutamente identici e quasi sovrapponibili.
Questa comune identità reazionaria la si è vista in occasione della “giornata delle foibe”, in cui sono state pronunciate da tutti i volti della “politica” le stesse frasi fatte prese di peso dalla propaganda fascista del dopoguerra.
E la si vede ancora di più nel cosiddetto “piano per modificare i decreti sicurezza di Salvini”, annunciato nientepopodimeno che dall’attuale ministro dell’interno, il prefetto Luciana Lamorgese (e quando si cominciano a nominare prefetti – rappresentanti del governo in una provincia, inquadrati nei ranghi alti della Polizia, ndr – al posto dei ministri c’è già più di un motivo di “allarme democratico”, anche e soprattutto se nessuno se ne indigna).
Scorrendo l’intervista si vede chiaramente che la “correzione” proposta è più formale che sostanziale, e soltanto in materia di immigrazione; mentre altrettanto spazio e pericolosità riveste la parte dei “decreti Salvini” neanche nominata e che riguarda la gestione dell’ordine pubblico in presenza di manifestazioni politiche e popolari, fino a quelle sportive (un campo dove è stato sperimentato da quasi 30 anni il peggio dell’armamentario repressivo, poi esteso a tutta la “società civile”).
Di misure vere e proprie ancora non si parla, anche perché il ministro deve sottoporre il suo “pacchetto” all’analisi di tutto il governo. Ma quel che intanto dice punta a eliminare alcune “criticità” che hanno aumentato il lavoro per le forze di polizia e creato vuoti che fanno peggiorare, anziché diminuire, la “percezione di insicurezza”. Un classico dell’atteggiamento “poliziottesco”, che non mira mai a risolvere un problema sociale, ma sempre e soltanto ad aumentare la discrezionalità delle polizie e l’uso politico della paura.
Dice infatti Lamorgese che abbandonare le persone “senza offrire loro una prospettiva alimenta il rischio che vengano attratti dai circuiti criminali. Se i migranti si sentono rifiutati dallo stato, tra l’altro, si corre anche il rischio che rispondano al richiamo della radicalizzazione”. Vero, ci mancherebbe. Tutti, anche ai piani alti dell’establishment, avevano criticato questo lato dei “decreti Salvini” per lo stesso motivo. Sottolineiamo, però, che anche la “correzione” avviene nel solco della stessa logica: immigrato = potenziale pericolo (delinquenziale o terroristico). Insomma, si corregge per facilitare l’operatività delle polizia, non per favorire processi di integrazione reale.
La continuità di impostazione porta Lamorgese a suggerire una seconda correzione sul piano dei fondi per le strutture. Qui Salvini aveva operato tagli draconiani, tali da rendere impossibile per chiunque (tranne forse la Caritas, che viene di fatto finanziata dal Vaticano con le risorse dell’8×1000) la gestione di centri di accoglienza, di qualsiasi dimensione.
C’è bisogno “di risorse adeguate” e per questo motivo il Viminale, “davanti a una grave situazione in cui i bandi di gara andavano sempre deserti a causa di tagli lineari, ha riconosciuto ai prefetti la possibilità di aumentare in modo flessibile, a seconda delle diverse esigenze territoriali, i fondi da destinare ai servizi per i migranti”.
Anche qui si corregge un “eccesso propagandistico” del “Truce”, che aveva creato ulteriori problemi invece di risolverli. Ma non si cambia la logica complessiva. Diventa insomma una questione di “grado” e di “efficienza”, non una “cultura” più democratica – e realistica – nei confronti dell’immigrazione.
Tutto qui. Non c’è altro, per il momento. Per gli immigrati cambia davvero poco, come fanno già stamattina notare tanti operatori del settore.
Per esempio. Il primo decreto sicurezza (decreto legge 113/2018, articolo 13) ha stabilito che il permesso di soggiorno temporaneo rilasciato ai richiedenti asilo non rappresenta titolo per l’iscrizione anagrafica. Due successive circolari ministeriali avevano “chiarito” che la norma andava intesa come un divieto assoluto di iscrizione anagrafica per i “richiedenti asilo”. I Comuni che l’avessero comunque concessa avrebbero avuto delle imprecisate ma pesanti conseguenze amministrative.
Una norma non solo ottusa sul piano dei valori, ma anche in contrasto con un intero sistema di leggi che regolano la materia, per le quali lo straniero, regolarmente soggiornante, deve poter effettuare le iscrizioni e variazioni anagrafiche alle medesime condizioni dei cittadini italiani (articolo 6, comma 7 del decreto legislativo 286/1998 – Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). Tanto che molti Tribunali, affrontando ricorsi legali, avevano di fatto già reso inapplicabile il diktat salviniano. In qualche caso sollevando la questione di legittimità costituzionale.
Senza iscrizione anagrafica nessuna persona – né italiana, né tanto meno straniera – può fare nulla. Non può essere assunto, non può frequentare corsi di formazione e persino di istruzione (come fa a imparare la lingua italiana o un mestiere?). Non ha diritto ad esistere e sopravvivere.
Questo “divieto di iscrizione” non viene invece neanche nominato dal ministro Lamorgese, quindi è intuibile che non verrà “corretto” se non nella misura minima necessaria ad evitare altre condanne in tribunale.
E allora dove è la differenza rispetto a Salvini? Nel fatto che ora non si strepita mediaticamente ad ogni nave che soccorre naufraghi in mare? E che cambia se poi, quando infine vengono fatti sbarcare, li si tratta nello stesso modo?
Ma è sul terreno propriamente repressivo che questo governo non fa neanche finta di voler fare qualcosa di diverso dal precedente. Tutta la parte riguardante le manifestazioni di piazza resta intoccata. Parliamo di norme fascistissime, come quella art. 5 bis: «chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.»
O l’art. 7, che supera il ridicolo – in difesa della “proprietà privata” – quando prescrive la punizione di «Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni».
Ricordiamo che Nicoletta Dosio e altri attivisti NO Tav sono attualmente in carcere per aver fatto guadagnare ognuno 38 euro in meno a testa al concessionario autostrade Gavio, con l’apertura delle sbarre del casello in Val Susa. Un anno di carcere per 38 euro... Questa è la misura della follia repressiva.
Questo è quanto il “governo non salviniano” vuol mantenere con ogni mezzo.
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