Il caso dei “40 bambini decapitati” da Hamas e degli stupri di massa è un falso. Ecco come si fabbrica una fake news. Non facciamoci arruolare dalla propaganda di Netanyahu.
Premessa: in Palestina è in corso un conflitto armato, e come con tutti i conflitti siamo messi di fronte all’atrocità e alla barbarie della morte violenta ovunque. Come in tutti i conflitti, però, alcune atrocità vengono rimosse, altre pompate o addirittura, come in questo caso, create ad arte per orientare l’opinione pubblica.
Noi non vogliamo fare disinformazione al contrario, anzi. Il nostro ruolo come comunità internazionale deve essere quello di fare corretta informazione e lavorare incessantemente per l’unica soluzione possibile: il cessate il fuoco, la fine dell’occupazione militare e dell’apartheid in Palestina.
C’è una notizia che sta circolando in queste ore, quella di 40 bambini decapitati dai miliziani di Hamas durante l’incursione nel Kibbutz di Kfar Aza. La notizia è stata diffusa, in diretta, da Nicole Zedek, una giornalista di I24, che è una emittente israeliana vicina alla corrente di Netanyahu.
La notizia fa il giro del mondo, tanto che altre importanti emittenti iniziano a contattare direttamente l’esercito israeliano. Anadolou, agenzia di stampa turca, contatta le IDF che affermano “di non essere in possesso di documenti che provano le decapitazioni di bambini da parte di Hamas“.
Alcuni reporter francesi e il giornalista israeliano Oren Ziv, che si trovavano insieme a Nicole Zedek a Kfar Aza e all’esercito israeliano confermano i dubbi: non hanno visto i bambini.
A quel punto la stessa giornalista ammette di non aver mai visto i corpi, ma che la notizia le era stata riferita dai soldati stessi che stavano rastrellando le case.
Lo stesso avviene per gli stupri di massa, riferiti dallo stesso Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu al Presidente Biden. La notizia circola in tutto il mondo, ma di fronte all’assenza di evidenze questa volta è il Los Angeles Times che pubblica per primo la smentita, agendo secondo deontologia professionale.
In Italia solo ora le agenzie stanno battendo la notizia che si tratti di un falso.
Ma ormai la macchina della disinformazione è partita, basta googlare i titoli dei pezzi scritti dai principali quotidiani online. Molinari, il direttore di Repubblica, in prima fila con toni da guerra santa, accetta la notizia per vera senza verificarla e parla di un “Male che si manifesta decapitando e bruciando bambini inermi“, affermando che Hamas avrebbe ucciso per odio contro gli ebrei in quanto ebrei, dunque per antisemitismo, come i nazisti, e non perché impegnata in un’azione di guerriglia contro un esercito occupante, come la stessa Hamas afferma nel suo comunicato.
Quello di Molinari, che esclude qualsiasi verifica delle fonti, non è giornalismo, ma propaganda di guerra.
La figura del giornalista "arruolato"
Dalla Prima Guerra Mondiale in avanti quella dell’arruolamento di intellettuali e giornalisti è una pratica ben sperimentata dagli eserciti. La costruzione di notizie false serve a deumanizzare il nemico, rappresentandolo come una “bestia umana”, contro cui qualsiasi crimine di guerra è possibile, e per dare all’opinione pubblica quella giusta dose di irrazionalità che serve per sostenere il sacrificio del combattimento.
L’esercito israeliano deve far dimenticare al mondo che esso è l’occupante e il principale responsabile dell’apartheid dei palestinesi e deve produrre un sentimento emotivo tale da giustificare un assedio medievale e il bombardamento della popolazione civile rinchiusa nella striscia di Gaza senza possibilità di uscire, senza fonti d’acqua, cibo e medicinali dall’esterno.
Per questo, come denunciato da Yumna Patel, direttrice della news agency Mondoweiss di Betlemme, l’esercito israeliano sta organizzando dei veri e propri “tour” della morte per mostrare le atrocità di cui i miliziani di Hamas si sarebbero macchiati.
A nessun giornalista internazionale è permesso di recarsi nei luoghi delle stragi al di fuori dei tour organizzati dall’esercito, e men che meno a giornalisti che parlano l’ebraico, ai quali si vuole impedire di raccogliere critiche in merito all’operato del Governo Netanyahu, che molti giornali israeliani stanno accusando di essere il vero responsabile della situazione.
Ovviamente, a nessun giornalista internazionale è permesso di entrare a Gaza, fatto che mina alla base il diritto all’informazione.
Come scrive Yumna Patel: “questa è una situazione win-win per Israele. Può mostrare al mondo le immagini che vuole (Israeliani morti), limitando al tempo stesso cosa non vuole che si veda (la vita vera a Gaza e i suoi abitanti come esseri umani), ed evitando che la verità dell’enorme fallimento della sua politica arrivi alle orecchie dei suoi concittadini israeliani”.
Benvenuti nella Terra Promessa
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