Ieri il presidente francese Emmanuel Macron si è recato a Tel Aviv per incontrare l’omologo israeliano, Isaac Herzog, e il primo ministro Benjamin Netanyahu. Ovviamente, l’argomento al centro del confronto è stato il conflitto palestinese, con l’inquilino dell’Eliseo che vuole percorrere di nuovo la strada dell’avventurismo bellico.
Due giorni fa, dal palazzo presidenziale, avevano fatto sapere che l’obiettivo del viaggio era di ottenere “la ripresa di un vero processo di pace” attraverso l’effettiva creazione di uno stato palestinese. Per le fonti era certo necessario sostenere Israele “contro il terrorismo”, ma era altrettanto necessario arrivare alla “fine della colonizzazione della Cisgiordania”.
Macron si è ricordato solo del punto sul “terrorismo”, quello che asseconda la narrazione israeliana sul genocidio che stanno portando avanti e sulla legittima difesa dalle azioni popolo palestinese. Ha così invocato l’ampliamento degli obiettivi della coalizione anti-Isis che opera in Iraq e Siria anche ad Hamas.
Il politico francese ha fatto leva sulla battaglia comune contro il “terrorismo” e ha così recuperato la retorica delle «guerre umanitarie» che tutta la filiera euroatlantica ha adottato negli ultimi decenni. Nel farlo, ha anche assimilato l’organizzazione palestinese al Califfato.
Un’associazione che è stata fatta anche in passato dallo stesso Netanyahu, ma che ha poca ragion d’essere, perché Stati Uniti e Israele sono stati i primi ad alimentare i gruppi jihadisti con lo scopo di indebolire la «Mezzaluna sciita», da Teheran alla Siria, destabilizzando quest’ultima.
Gli USA sostengono in tutto e per tutto il governo sionista, ma vogliono anche andare cauti con l’ipotesi di allargare il conflitto e così, da parte israeliana, si è evitato qualsiasi commento nel merito.
Netanyahu ha detto semplicemente che si tratta di uno scontro tra “l’asse del male” e “il mondo libero”, ricalcando l’opposizione largamente usata in Occidente tra democrazie e autocrazie.
Tel Aviv, che ha sempre preferito l’Isis all’Iran e ha più volte bombardato i siriani che gli si opponevano, sta temporeggiando sull’invasione di terra di Gaza, ma si prepara all’escalation.
Intanto, da fonti del Financial Times si sa che Washington parla con Teheran per barcamenarsi tra l’appoggio a Israele e la conflagrazione del conflitto a livello regionale, di cui vi sono già state avvisaglie e che, ad oggi, non è negli interessi di nessun attore dell’area.
Dal primo gennaio del nuovo anno Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto entreranno a pieno titolo nei BRICS. La normalizzazione dei rapporti con Israele voluta da Riyadh si trova in salita, e la realtà è che la filiera euroatlantica difficilmente può imbarcarsi in un’altra guerra, data anche la crisi economica e le difficoltà interne.
Questa debolezza risulta immediatamente visibile quando la proposta fatta da Macron, che ricalca il sostegno incondizionato promesso dalla Von der Leyen a Israele,
è stata di fatto sconfessata dall’Alto rappresentante per la politica estera UE, Borrell che, addirittura, ha criticare le pratiche israeliane nell’assedio della striscia di Gaza.
Forse il presidente francese, che ha dovuto registrare la morte della FrançAfrique, cerca spazi altrove per la visione coloniale di Parigi e per le mire strategiche della UE. Ma i fallimenti nella zona bruciano ancora e i rapporti di forza in un mondo multipolare non sono più favorevoli come lo erano un tempo.
Questa volta la resistenza palestinese rappresenta un punto di svolta il cui significato va ben oltre quella sottile striscia di terra. Per questo il sostegno internazionale è fondamentale, come in Italia saranno fondamentali le manifestazioni del 28 ottobre e del 4 novembre.
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