Intervenendo al congresso di Solidarnosc, il presidente polacco Andrzej Duda ha detto, tra le altre cose, che «la Polonia ha di nuovo mostrato come si sia radicata qui da noi la democrazia. Ricordiamo bene che prima del 1989 solo i maiali si recassero alle urne. Le persone che conoscevano la situazione, comprendevano quale farsa rappresentassero le elezioni comuniste e quindi non vi partecipavano».
Ormai da più di trent’anni le élite polacche dipingono la Repubblica popolare come un periodo di “non libertà”, di “occupazione sovietica”, plaudendo di contro all’abbattimento dei memoriali ai soldati sovietici caduti per la liberazione della Polonia, al divieto di “propaganda del regime comunista”.
Ora si aggiunge l’epiteto attribuito da Duda a tutti coloro che partecipavano alle elezioni nella Repubblica popolare, fino alle ultime tenutesi nel 1985. Lui, per ragioni anagrafiche, non può definirsi “maiale”; a differenza di suo padre e sua madre, accademici, cresciuti e affermatisi sotto il “dominio dei maiali”.
Ma cosa c’è dietro la contumelia del “presidente”, pronunciata per di più nel momento in cui Varsavia è alle prese con la formazione di un nuovo governo, dopo il voto del 15 ottobre?
Di certo, c’è la ricerca del consenso delle formazioni che stanno ancora più a destra di “Diritto e Giustizia” (PiS) di Jaroslaw Kaczynski, partito dello stesso Duda che, pur avendo ottenuto il più alto numero di voti, si trova però in minoranza nel parlamento, surclassato dall’alleanza liberal-“europeista” di “Piattaforma civica” di Donald Tusk, centrodestra di “Terza via” e socialdemocratici di “Nuova sinistra”: una coalizione che pare abbia beneficiato della inconsueta affluenza di oltre il 74% degli elettori.
Al momento, comunque, difficile escludere una qualsiasi combinazione di alleanze, comprese quelle che potrebbero vedere la “Sinistra” a braccetto di PiS.
D’altronde, se si escludono gli “ultra-destri” di “Confederazione” (dati per “filo-russi”; ma, semmai, piuttosto anti-ucraini), basta guardare ai programmi delle diverse formazioni in campo militare, che non si differenziano per quanto riguarda assoluta fedeltà alla NATO, voglia di basi americane stanziate in permanenza, sogno di una disfatta strategica russa e pieno sostegno all’Ucraina nazigolpista.
Proprio riguardo all’ultimo punto, una critica a Kiev arriva dall’ufficiale Rzeczpospolita, che imputa a Vladimir Zelenskij «tre errori fondamentali», considerato che per il “conflitto” commerciale con Varsavia, gli ucraini «hanno scelto né il momento, né il luogo, né gli argomenti migliori».
A proposito della denuncia ucraina per l’embargo polacco sul grano, presentata al OMC senza attendere le elezioni polacche del 15 ottobre, secondo il quotidiano Kiev sarebbe entrata consapevolmente a gamba tesa nella campagna elettorale polacca e questo «è stato il primo errore di Zelenskij», che avrebbe potuto «aspettare con calma qualche settimana», perché per gli ucraini è «molto più vantaggioso» che Varsavia pensi a «come contrapporsi alla Russia, che non a come bloccare l’importazione di grano» ucraino.
In altre parole, Rzeczpospolita rimprovera a Kiev di aver danneggiato, con la disputa cerealicola, quei politici polacchi che puntavano all’appoggio dell’elettorato più disposto a sostenere l’Ucraina. Il carattere «assurdo delle autorità ucraine ha invece aggiunto popolarità alla destra e ha indotto PiS a ricordarsi degli interessi nazionali polacchi».
Il secondo errore Zelenskij l’ha commesso quando all’ONU ha imputato a Varsavia di fare il gioco di Mosca.
Il terzo errore è stato la premiazione a Lublino, subito dopo l’annullamento dell’incontro con Duda a New York, di Bianka Zalewska (a suo tempo “famosa” per i reportage dal Donbass a bordo di un tank dei nazisti di “Ajdar” e nel 2014 sospettata di essere in realtà una cecchino filo-nazista), del canale di opposizione TVN.
Candidata ideale per l’assegnazione del premio, dal punto di vista dell’Ucraina, commenta Rzeczpospolita, ma non altrettanto per i polacchi, infuriati perché Zelenskij non si sia consultato con Varsavia sui nomi da premiare.
«E perché mai avrebbe dovuto consultarsi coi polacchi? Dopotutto gli USA avevano premiato Zalewska col International Woman of Courage; dunque, Zelenskij si è probabilmente consultato con gli americani».
Ma, al di là degli errori rinfacciati a Kiev, pare che i pan polacchi temano che, alla fin fine, la Polonia possa trovarsi fuori dai giochi quando, prima o poi, si discuterà della “ricostruzione” dell’Ucraina e della spartizione dei suoi territori.
Intanto, Varsavia è alle prese con la formazione del nuovo governo. Duda comincerà le consultazioni la prossima settimana, ma è opinione comune che in nessun modo PiS, a dispetto dei timori di Rzeczpospolita, riuscirà ad accaparrarsi una terza conferma.
Il vice-leader di Piattaforma civica e Sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski, ha confermato che il partito indicherà Donald Tusk quale candidato a primo ministro. E in questo non c’è alcuna novità, se non quella che il prossimo governo eredita dal precedente un enorme deficit di bilancio, che a fine anno rischia di raggiungere i 22 miliardi di dollari (rispetto ai 14 previsti; con un deficit finanziario superiore al 5% del PIL) e che la solita Rzeczpospolita definisce come “buco di Morawiecki”, primo ministro uscente.
Per cui, una delle prime preoccupazioni del prossimo esecutivo sarà quella di operare tagli, che presumibilmente, nel più affermato stile liberal-”europeista”, colpiranno la spesa sociale.
Così che il tanto atteso – a Bruxelles e dintorni – rientro di Varsavia nella “famiglia europeista”, con il probabile insediamento dell’ex primo ministro ed ex presidente del Consiglio europeo, potrebbe portare ad appianare alcuni “attriti” con Bruxelles, e forse anche a smussare le punte più sanfediste del decennale governo PiS.
In politica estera, confermato il comune (escludendo forse “Confederazione”) astio anti-russo, alcune novità sono attese nei rapporti con l’ovest d’Europa.
È di questa opinione, ad esempio, Aleksandra Rybinska, presidente del Fondo di cooperazione polacco-tedesco, la quale ha dichiarato a Polskie Radio che proprio sui fronti di Bruxelles e Berlino si attendono i maggiori cambiamenti di linea governativa e, nello specifico, Varsavia andrà verso aperte concessioni a UE e Germania.
Questo è quanto si era verificato nel periodo del governo di coalizione di Piattaforma civica e Partito contadino, nel 2008-2015. Nei confronti di Berlino, ad esempio, è probabile che Tusk rinunci al progetto di Porto centrale di comunicazioni, inviso alla Germania, mentre da Bruxelles si attendono i fondi del Recovery Plan.
Credo, afferma Rybinska, che “Piattaforma” riesca a convincere i polacchi che sia «sufficiente fare concessioni a Berlino e Bruxelles in diverse sfere, perché Varsavia possa sedersi al tavolo a cui si adottano le decisioni più importanti».
A suo parere, Germania e Francia intendono approfittare di un possibile governo Tusk per accelerare i piani di federalizzazione della UE – trasferimento di ampie competenze agli organi UE, con conseguente ulteriore restrizione delle sovranità nazionali – prima delle europee del prossimo giugno.
Per quanto riguarda l’appoggio all’Ucraina, secondo Rybinska, la posizione polacca è relativamente importante ed è probabile che si mantenga al precedente livello: fondamentali (ma guarda!) sono gli stanziamenti americani, soprattutto ora, con gli eventi mediorientali.
Il fatto è che, in Polonia, della politica estera rispondono sia il governo che il presidente, che ora appartengono a due schieramenti diversi.
Dal momento che il mandato presidenziale scade ad agosto 2025, non è escluso che in questi due anni che rimangono, si ripeta la situazione del periodo del precedente governo Tusk, con l’allora presidente Lech Kaczynski, gemello dell’attuale leader di PiS, Jaroslaw, che riuscì a bloccare tutta una serie di leggi.
Non ci sarà da annoiarsi.
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