Occorre interrogarsi sulle conseguenze sul piano internazionale della situazione a Gaza. Il massacro in corso è senza precedenti. Come accennato dagli esperti delle Nazioni Unite c’è il rischio di un genocidio. Sembra applicabile alla fattispecie la Convenzione sul genocidio del 1948, il cui art. II definisce come segue la fattispecie di genocidio: “Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; (…).”.
L’intento di massacrare la popolazione di Gaza in quanto tale è del tutto esplicito. Si vedano al riguardo le dichiarazioni del presidente israeliano Herzog sulla complicità della stessa in quanto tale coll’attacco del 7 ottobre e sul fatto che quindi i civili a Gaza costituiscono un obiettivo militare legittimo, o le farneticanti dichiarazioni dell’ex ambasciatore israeliano a una televisione italiana secondo il quale occorre distruggere Gaza.
Per la prima volta nella storia dell’umanità stiamo assistendo a un genocidio in diretta. Le vittime civili palestinesi sono ad oggi oltre seimila e la prospettiva della cosiddetta invasione di terra appare immancabilmente destinata a moltiplicare tale cifra fino a dimensioni inimmaginabili.
Se esistesse una qualche forma di governo internazionale razionale (aggettivo espressamente ripudiato dall’ambasciatore appena citato), suo compito dovrebbe essere evidentemente quello di porre fine all’insensato massacro in corso e di punire in modo adeguato i crimini finora commessi, da chiunque essi siano stati commessi, e di richiamare fermamente tutte le parti in causa al rispetto del diritto internazionale umanitario.
Ma tale governo non esiste. Probabilmente non è mai esistito ma a maggior ragione non esiste nella fase attuale, che vede un’evidente spaccatura della comunità internazionale con da un lato gli Stati Uniti e i loro “alleati” (in realtà subordinati) europei e dall’altro il resto del mondo che, ripudiando qualsiasi crimine finora commesso, chiede una pace con giustizia per il popolo palestinese, unica garanzia per la pace mondiale.
Non si tratta di una guerra di religione. Essa viene contrabbandata come tale da Netanyahu, ma anche da governanti europei improvvidi come Macron, che chiamano a una sorta di crociata “della luce contro le tenebre”, linguaggio fondamentalista che costituisce l’humus ideologico adatto per una guerra senza quartiere suscettibile di estendersi ben oltre la regione medio-orientale.
L’approccio degli irresponsabili governanti occidentali dà anche modo di manifestarsi a un certo antisemitismo, di cui si fa portavoce per ora solo qualche idiota, ed è fortunatamente contrastato dalle posizioni assunte da importanti settori ebraici come gli Ebrei per la pace che hanno occupato il Congresso statunitense per protestare contro il massacro in atto.
Il ruolo di Hamas non può essere esorcizzato mediante un improprio parallelismo con l’ISIS. Infatti l’attacco del 7 ottobre, nel corso del quale sono stati commessi con ogni evidenza anche gravi crimini, costituisce, come ravvisato dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, il risultato di frustrazioni, oppressioni, crimini contro il popolo palestinese che vanno avanti da troppo tempo. Il diritto alla lotta armata contro l’occupazione coloniale è del resto riconosciuto dal diritto internazionale, anche se ovviamente deve svolgersi nei limiti consentiti dal diritto internazionale umanitario e non avalla crimini come quelli commessi nei confronti dei civili israeliani durante l’attacco del 7 ottobre.
Come avvertito dalla rivista statunitense Foreign Affairs , il genocidio in atto è inevitabilmente destinato a rafforzare ulteriormente Hamas, sia politicamente che militarmente, e del tutto illusoria e autolesionistica appare la prospettiva di “sradicarla” accoppando decine di migliaia di Palestinesi.
Occorre invece un cessate il fuoco immediato, per porre fine alla strage degli innocenti che è in corso, così come occorrerebbe l’immediato invio di un forte contingente di interposizione, ma una tale soluzione è in netta contraddizione sia con la linea seguita dal governo israeliano, che con quella di quello statunitense.
Il primo, tuttora dominato da Beniamin Netanyahu, ha visto nella situazione attuale, un’occasione di sopravvivenza politica in un momento nel quale la stessa era fortemente messa a repentaglio anche da un forte movimento di protesta interno alla società israeliana e continua a puntare tutte le sue carte sullo sterminio e la pulizia etnica, anche perché il suo sostegno principale è offerto dai movimenti dei coloni che hanno il proprio referente politico nella destra nazifascista dei Ben Gvir e degli Smotrich.
Il secondo sta vivendo un declino epocale senza precedenti che sarebbe senza dubbio accelerato da una sconfitta della linea genocida di Netanyahu cui il malfermo Biden ha legato il suo destino, già fortemente pericolante anche in vista delle prossime elezioni presidenziali dell’ottobre 2024, che vedranno con ogni probabilità la sua irrimediabile fine politica (e sarebbe ora).
I due compari, cui si sono agganciati stolidamente gli obbedienti governanti europei, tra i quali purtroppo la “nostra” Giorgia in prima fila, sono con ogni evidenza in un vicolo cieco, e la continuazione del massacro rende sempre più probabile l’allargamento del conflitto fino a conseguenze oggi inimmaginabili.
Unica alternativa il negoziato tra Israele e le forze palestinesi (Hamas compresa). Come nel caso dell’Ucraina possiamo chiederci quante migliaia di innocenti dovranno ancora perire prima di giungere a questa inevitabile conclusione, e se essa giungerà in tempo per evitare la guerra mondiale in gestazione da tempo.
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