L’Istat ha reso pubblici gli ennesimi dati che mostrano il peggiorare della crisi in Italia, soprattutto a causa dell’inflazione, e la mancanza di una qualsiasi risposta efficace da parte governativa. Dati che, come sempre, verranno ignorati dalle forze parlamentari, o nel migliore dei casi verranno agitati per stracciarsi le vesti, per poi dimenticarsene in fretta.
Nel 2022, dice l’istituto di statistica, le famiglie in povertà assoluta sono 2,18 milioni (l’8,3% dal 7,7% del 2021), per un totale di 5,6 milioni di individui (dal 9,1% al 9,7%, quasi una persona su dieci). Le famiglie in povertà relativa sono 2,8 milioni, diminuendo di un misero 0,1% (dall’11% al 10,9%).
Questa diminuzione – se così possiamo chiamarla – non proviene inoltre da migliori lavori con migliori salari, ma bensì dalle misure tampone e palliative contro l’impennata dei prezzi di energia e gas. Per quanto riguarda la povertà assoluta, l’Istat ha infatti calcolato che esse ne abbiano ridotto l’incidenza di sette decimi di punto, e gli effetti si sono avuti ovviamente anche su quella relativa.
A soffrire di più, come sempre, sono le famiglie del Sud e quelle con almeno uno straniero: più di una su dieci in povertà assoluta nel primo caso, quasi una su tre nel secondo. In questa condizione si trovano, come risultato, anche 1,27 milioni di minori, il 13,4% del totale.
Comunque, sono in generale i nuclei che erano già poveri ad aver subito un duro colpo dall’inflazione, che nel 2022 ha portato l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) a un +8,7%. L’aumento dei prezzi per il primo quinto di famiglie (quelle meno abbienti) è stato pari al 12,1%, comportando un’ulteriore contrazione in termini reali della loro spesa equivalente del 2,5%.
È interessante poi notare due elementi, in virtù del dibattito politico a cui assistiamo oggi. Il 45% di tutti i nuclei in povertà assoluta è in affitto, mentre il movimento per la casa così come gli studenti universitari sono tornati in piazza insieme per rivendicare un diritto fondamentale come quello di avere un tetto sopra la testa.
Le famiglie in povertà assoluta la cui persona di riferimento all’anagrafe è un operaio o assimilabile ad esso sono il 14,7%, in aumento di quasi un punto percentuale nell’arco di un anno. È il valore più alto, al di là di quello dei disoccupati, e questo non fa che ribadire come stia tornando dirimente nella vita del paese una nuova questione operaia, chiaramente dai contorni diversi da quelli novecenteschi.
Per riassumere, ci troviamo di fronte a un peggioramento generale delle condizioni di vita, persino alimentare, che non accenna a fermarsi. Non possono essere certo provvedimenti estemporanei a risolvere il problema, ma solo un aumento generale dei salari e il ritorno del pubblico a dirigere il mercato, verso i bisogni collettivi di cui il mercato non si preoccupa.
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