Tunisi ha deciso di rimandare indietro 60 milioni del prestito arrivato dalla UE lo scorso 3 ottobre, cioè poco meno della metà dell’ammontare appena ricevuto. La somma era legata all’attuazione del Memorandum sui flussi migratori e sulle riforme da attuare per ricevere i fondi necessari a far fronte alle pesanti difficoltà economiche del paese.
Il presidente tunisino Saied, pur rappresentando indirizzi conservatori fino al razzismo verso le genti del Sahel, non aveva tuttavia nascosto la vera natura di tale accordo. L’idea di essere i “gendarmi dei confini europei” era stata criticata sin dall’inizio.
La discussione è continuata tra tante tensioni, con Saied che a fine settembre aveva nuovamente rimandato l’incontro con i funzionari di Bruxelles. Ma infine, a inizio ottobre, un bonifico da 127 milioni era arrivato dalla Commissione Europea nelle casse tunisine.
Qui è cominciato un nuovo caso diplomatico: 60 milioni erano in realtà parte di fondi promessi in tempo di pandemia e mai versati, e solo 42 erano parte effettiva del Memorandum. Soldi richiesti dall’esecutivo di Tunisi, ma in un gioco di propaganda sul sostegno internazionale garantito dalla UE che non è andato giù a Saied.
Egli aveva infatti dichiarato che “la Tunisia accetta la cooperazione, ma non accetta nulla che assomigli alla carità”. Il 5 ottobre, in maniera tutto fuorché diplomatica, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato, Olivér Várhelyi, aveva scritto su X (Twitter) che la Tunisia era libera di restituire i 60 milioni, qualora lo desiderasse.
Così è successo, nell’evidente imbarazzo delle cancellerie europee, per le quali l’intesa rimane valida, ma con evidenti incrinature. Il ministro degli esteri Ammar ha inoltre rincarato la dose, minacciandole di rivelare “verità che non sono nel vostro interesse”.
Ha anche aggiunto: “non imploriamo nessuno e il mondo non si ferma davanti all’uno o all’altro partner: noi non abbiamo iniziato guerre e non abbiamo gettato l’umanità in guerre mondiali come avete fatto voi, per noi la sovranità non è armi e mezzi ma dignità e forza per dire la verità forte e chiara”. Al di là della strumentalità di queste parole in questa occasione, il loro contenuto mette a nudo le reali mire della UE.
Tra essa e la Tunisia, in ginocchio per colpa della crisi, il confronto sul tema migranti e su quello investimenti va avanti da mesi, da prima dell’estate. Il governo Meloni è stato in prima linea nel cercare un accordo per limitare gli sbarchi, ma anche per porre le basi di un nuovo partenariato strategico.
L’esecutivo italiano, sulla scia dei decreti susseguitisi a prescindere da quale fosse il colore della maggioranza, ha spinto lungamente per un’intesa «alla libica». In pratica, soldi in cambio del controllo dei flussi migratori, con i trafficanti di esseri umani che ringraziano il democratico Occidente.
Ma non è solo una questione di persone in fuga da fame e guerra. Anche la Von der Leyen e l’ex presidente del consiglio olandese, Mark Rutte, hanno lavorato in prima persona affinché questo accordo fosse il preludio di una completa ristrutturazione dei rapporti economici con l’altra sponda del Mediterraneo.
A Bruxelles hanno pensato che il binomio di esternalizzazione dei confini e fondi fosse la via adeguata a fare del Nord Africa il «cortile di casa» dell’imperialismo europeo. La Tunisia, con pesanti difficoltà interne e nella necessità di ricevere prestiti dal FMI, doveva essere un esempio di questa strategia.
Invece, il mondo non è più quello in cui le potenze euroatlantiche possono fare il bello e il cattivo tempo, consapevoli di essere l’unico referente di un sistema unipolare. Il 25 settembre Ammar ha firmato con Lavrov un accordo commerciale, Tunisi ha importanti relazioni con l’Algeria e secondo alcune fonti guarda all’Arabia Saudita (da poco nei BRICS).
La perdita di presa sul Sahel dopo i fatti del Niger completa il quadro, anche se a Saied probabilmente interessa più per strappare migliori condizioni che per altro. La condotta del governo tunisino è però un altro inceppamento del percorso di una UE compiutamente imperialista, che invece arranca tra mille difficoltà.
Un’opportunità ancora più propizia per chi vuole proporre un’ipotesi di alternativa di modello, che tenga insieme relazioni complementari tra le due sponde del Mediterraneo.
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