Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni

12/07/2025

Il bluff del Piano Mattei

Un vecchio adagio del mondo del poker recita che sul tavolo verde “non puoi perdere quello che non hai”. Adattando questa massima all’ambiente della finanza, si potrebbe dire che “non puoi investire quello che non hai”, a meno che non si stia deliberatamente tentando un bluff.

A un anno e mezzo dal varo del Piano Mattei, lanciato dal governo Meloni nel novembre del 2023 con il ‘patrocinio’ dell’Unione Europea, che questo sia un bluff appare sempre più evidente.

Lo scorso 30 giugno il Parlamento ha approvato la seconda Relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei per l’Africa. Il documento, consultabile qui, descrive l’avanzamento dei progetti fino al giugno 2025 e gli stanziamenti disponibili al raggiungimento degli scopi prefissati.

Andando oltre la lista della spesa degli interventi presente in ogni comunicazione pubblica sulla magnificenza del ‘rientro italiano in Africa’ – rientro peraltro intriso dell’odioso spirito coloniale ed eurocentrico – andiamo ad analizzare il peso specifico che è in grado di mettere in piedi il governo italiano, senza quindi per ora preoccuparci della natura imperialista o cooperativa della spesa stessa.

Nell’ordine, il rapporto afferma che:
- l’Italia ha aumentato il proprio contributo al rifinanziamento triennale dell’International Development Association, gruppo Banca Mondiale (BM), con 733 milioni di euro al fine di permettere alla BM stessa di rafforzare il proprio sostegno ai progetti realizzati nel quadro del Piano Mattei;
- il canale finanziario multilaterale (“Mattei Plan-Rome Process Financial Facility”) negoziato con la Banca Africana di Sviluppo (BAS) è quindi oggi pienamente operativo con una dotazione di circa 140 milioni di euro provenienti dai contributi del Fondo Italiano per il Clima, dal Mase e dal Maeci;
- è operativo anche il “Plafond Africa” di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) con risorse fino a 500 milioni di euro per il 2025, per progetti che coinvolgano aziende operative in Africa;
- sempre CDP, nel dicembre 2024, ha firmato con BAS l’accordo istitutivo di una piattaforma con dotazione iniziale di 400 milioni di euro;
- altra dotazione è il “Misura Africa” di SIMEST (gruppo SACE), con circa 50 milioni di euro, dei 200 in dotazione, già impegnati in favore di 90 progetti delle PMI italiane in Africa;
- restando in famiglia, in un anno e mezzo SACE ha emesso garanzie per 2 miliardi di euro di investimenti che hanno coinvolto circa 200 imprese italiane in una gamma diversificata di settori.

I calcoli sono presto fatti: aumento del capitale a disposizione della Banca Mondiale, di cui 566 milioni da dedicare all’Africa, e da spalmare in tre anni; 1.240 milioni di euro, neanche un miliardo ‘e un quarto’, gestiti in modo più o meno diretto dalle emanazioni finanziare dello Stato coinvolte nel Piano; 2 miliardi di garanzie concesse alle imprese italiane che stanno investendo nel continente.

Tutto questo ‘ben di dio’ per un continente da 1,5 miliardi di persone, 54 Stati e gli occhi di tutto il mondo puntati addosso.

Per capire la pochezza offerta dal nostro Paese allo ‘sviluppo’ africano, basti pensare che il 30 maggio il mauritano Sidi Ould Tah è stato eletto presidente della già citata Banca Africana di Sviluppo. La BAS, nel 2024, ha erogato 10,6 miliardi di euro in nuovi progetti e ha un capitale stimato in poco più di 300 miliardi di dollari.

Dopo aver guidato per un decennio la Banca Araba per lo Sviluppo Economico in Africa, Tah baserà il suo mandato sul superamento della dipendenza africana dai finanziamenti occidentali tradizionali, provando a mettere a frutto l’esperienza maturata da uomo-ponte tra l’Africa e le petromonarchie del Golfo.

Se si considera che i fondi sovrani del Golfo sono accreditati di circa 4 mila miliardi di dollari, si capisce bene – al di là delle foto di rito e della cortesia di rispondere quando chiamati in causa – quale interesse reale il Piano Mattei possa suscitare nei paesi africani.

Pochi soldi, intenti neocoloniali e nessuna credibilità politica da spendere nel continente, dopo secoli di sfruttamento e depredazione.

Nella crisi di egemonia che investe il mondo occidentale, neanche la storica sede del Ministero degli esteri ubicata negli uffici dell’Eni potrà sopperire alla voglia di rivalsa di quel Sud Globale che guarda con sempre maggior interesse verso Est.

Ps: la sola messa in piedi della macchina tecnico-operativa nei Ministeri italiani coinvolti pesa sulle casse dello Stato per 2,8 milioni di euro. Non sarebbe stato meglio indirizzarli sui capitoli di bilancio della sanità o dell’istruzione?

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento