L’annuale Conferenza sulla Sicurezza e lo stato dei rapporti
transatlantici, organizzata nel fine settimana a Monaco di Baviera, si è
trasformata nell’ennesimo vertice frequentato da esponenti di spicco
dei governi occidentali che ha mostrato il livello avanzato di conflitto
tra gli interessi economici e strategici degli Stati Uniti, da una
parte, e degli alleati europei dall’altra. I leader di Germania e
Francia sono stati tra quelli che hanno sottolineato maggiormente le
divisioni, denunciando senza mezzi termini le tendenze
ultra-nazionaliste dell’amministrazione Trump e la gestione americana
delle relazioni con potenze come Russia e Cina.
Lo stesso titolo ufficiale dell’incontro – “Westlessness” – è stato
inteso dagli organizzatori come un motivo di dibattito attorno al
disimpegno degli Stati Uniti di Trump nei confronti dell’Europa e al
deteriorarsi sempre più evidente della leadership americana. Il tema
centrale della conferenza di Monaco è stato proposto per suonare un
allarme su questo punto, con l’obiettivo di sollecitare il ritorno a
politiche di potenza in Europa e di offrire nel concreto e in primo
luogo un pericoloso input al militarismo nel vecchio continente.
Il presidente tedesco, Franz-Walter Steinmeier, è stato tra i più
duri verso la Casa Bianca. All’apertura del vertice, Steinmeier ha
accusato l’amministrazione Trump di avere “respinto l’idea di comunità
internazionale”, poiché le politiche che intendono mettere gli USA “al
primo posto” o far tornare questo paese “di nuovo grande” lasciano
“vicini e alleati a farne le spese”.
L’intervento dell’ex ministro degli Esteri socialdemocratico sarebbe
stato sufficiente a misurare lo stato dei rapporti tra USA e UE, ma, se
mai fossero rimaste incertezze, il discorso del presidente francese,
Emmanuel Macron, ha finito per spazzarle via definitivamente. Macron è
stato tanto più incisivo in quanto ha evitato di nominare Trump e di
citare esplicitamente il comportamento del governo americano, in questo
modo ridimensionato ancora di più. A trovare spazio sono stati infatti
gli inviti a costruire un sistema di “difesa” europeo autonomo,
chiaramente in contrasto con gli Stati Uniti e l’ombrella della NATO, e
la presa d’atto della natura contrastante degli interessi degli alleati
sulle due sponde dell’Atlantico.
Proprio Macron ha toccato una delle questioni più calde, ovvero i
rapporti con Mosca. Il presidente francese rappresenta da tempo la voce
più critica in Europa delle posizioni anti-russe di Washington. A
Monaco, Macron ha così ribadito la necessità di trovare una strada
alternativa alla contrapposizione alimentata dagli USA, in modo da far
ripartire un “dialogo strategico” con il Cremlino.
Attorno al nodo russo ci sono forti contrasti anche all’interno della
stessa Europa. Se la gamma delle attitudini della maggior parte dei
governi va dalla cautela all’impegno per il ritorno a relazioni
cordiali, i paesi baltici e la Polonia sposano invece la linea dura di
Washington. In merito alla Russia, una delle controversie più accese
continua a essere quella del raddoppio del gasdotto Nord Stream (“Nord
Stream II”). Questo progetto, che dovrebbe affiancarsi all’impianto che
già garantisce il trasporto di gas naturale dalla Russia alla Germania, è
bersagliato da sanzioni americane nel tentativo di impedirne il
completamento.
A Monaco, il segretario all’Energia di Trump, Dan Brouillette, ha
ostentato il successo del suo governo nel ritardare i lavori nel Mare
del Nord, soprattutto dopo la rinuncia di una compagnia svizzera
impegnata nel progetto per paura di incorrere nelle sanzioni punitive di
Washington. L’opera è ritenuta di importanza cruciale sia dagli USA sia
da Berlino, proprio perché, se ultimata, rafforzerebbe il legame
energetico e, quindi, anche strategico tra la Russia, la Germania e il
resto dell’Europa, a discapito di Washington e del gas americano.
Le divergenze sulla Russia hanno tenuto banco durante molti degli
interventi della folta delegazione arrivata dagli Stati Uniti. In tutti i
casi, è apparsa chiara l’inquietudine americana verso alleati che
intendono puntare i piedi e, a sei anni dall’esplosione della crisi in
Ucraina, esplorare un ritorno alla normalità nei rapporti con Mosca. A
Washington, al contrario, si continua a strumentalizzare qualsiasi
questione di rilievo internazionale per mettere all’angolo il Cremlino.
Un esempio di ciò sono i fatti di Idlib, in Siria, dove è in corso
un’offensiva delle forze di Damasco e di quelle russe per liberare il
territorio dalla presenza dei gruppi armati jihadisti. Più di un membro
della pattuglia americana a Monaco ha lamentato a questo proposito
l’assenza di una condanna sufficientemente dura dell’azione militare
appoggiata da Mosca.
Ancora più bollente è ad ogni modo il fronte cinese. Alla base del
disaccordo tra alleati c’è un conflitto insanabile sulla visione della
crescita e delle ambizioni di Pechino. Se gli Stati Uniti vedono la Cina
come una minaccia vitale alla propria egemonia planetaria, da
combattere in tutti i modi e idealmente con la collaborazione di tutti i
propri alleati, l’Europa e, soprattutto, il capitalismo europeo
prediligono un’attitudine più aperta, nel tentativo di sfruttare o,
quanto meno, di non perdere le occasioni offerte dai piani di sviluppo
della Repubblica Popolare.
Come in qualsiasi altra occasione che negli ultimi anni abbia messo
nella stessa stanza rappresentanti dei governi europei e di quello
americano, anche nel corso della conferenza di Monaco le scintille sul
nodo cinese non sono mancate. Mike Pompeo e Mark Esper, rispettivamente
segretario di Stato e alla Difesa USA, hanno ripetuto il punto di vista
di Washington sulla Cina, considerata una minaccia per il loro paese e,
automaticamente, per il resto del pianeta.
La disputa su Huawei ha anche in questa occasione riassunto i
contrasti e l’intreccio tra interessi economici e strategici che sta
segnando il passaggio alla nuova generazione di tecnologia delle
comunicazioni elettroniche. La polemica sul 5G ha accompagnato tutta la
tre giorni nel capoluogo bavarese, dove al centro del dibattito ci sono
state ancora una volta le pressioni americane sugli alleati per
escludere Huawei dalle proprie infrastrutture dedicate alla nuova rete in
fase di sviluppo.
In svariati interventi di rappresentanti del governo USA è emerso il
risentimento per la resistenza mostrata da Germania, Francia, Regno
Unito e altri paesi a escludere Huawei, visto il livello decisamente più
avanzato in materia di 5G di quest’ultima compagnia rispetto ai rivali
europei come Nokia o Ericsson. La “speaker” democratica della Camera dei
Rappresentanti di Washington, Nancy Pelosi, ha parlato di scelta tra
“tirannia” e “democrazia” nella decisione dei singoli paesi di escludere
Huawei, per poi ricordare minacciosamente il “prezzo da pagare” se le
raccomandazioni americane non dovessero essere ascoltate.
Ad agitare le acque nei rapporti transatlantici ci sono poi altre
questioni, dall’Iran alla guerra commerciale, dal contributo finanziario
alla NATO da parte dei singoli membri ai negoziati per un
complicatissimo accordo di libero scambio USA-UE. Dopo più di tre anni
dall’insediamento alla Casa Bianca di Trump, il peggioramento dei
rapporti tra alleati sembra essere diventato ormai un elemento
strutturale e non solo la conseguenza momentanea dell’impulsività delle
decisioni del presidente repubblicano.
La tendenza in Europa sembra essere perciò quella di cercare un
percorso strategico autonomo e relativamente svincolato da Washington,
tanto più in presenza di segnali che indicano una probabile rielezione
di Trump da qui a nove mesi. Alla base del deterioramento dei rapporti
ci sono tuttavia soprattutto elementi oggettivi, collegati alle
dinamiche di crisi del capitalismo occidentale.
Con il rallentare dell’economia su scala globale e l’intensificarsi della
competitività, l’inevitabile declino della posizione internazionale
degli Stati Uniti porta cioè sempre più a galla i motivi di contrasto
anche con gli alleati nominali, a loro volta attratti nell’orbita dei
processi multipolari in atto che Washington intende ostacolare con tutti
i mezzi a disposizione.
In questo quadro, vertici e conferenze che fino a poco tempo fa
rappresentavano occasioni per ostentare, almeno apparentemente,
concordia e unità di intenti tra alleati, diventeranno sempre più eventi
nei quali vengono messe a nudo le tensioni esplosive che stanno
caratterizzando le relazioni internazionali.
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