Ieri Joe Biden era a Kiev. Sembra vi sia giunto in aereo direttamente dagli Stati Uniti, prima della visita in Polonia, programmata da tempo. Fino a pochi giorni fa, la Casa Bianca aveva risolutamente negato una possibile tappa ucraina del presidente, durante il suo viaggio europeo.
Evidentemente, si è voluto scegliere Kiev per annunciare nuove sanzioni anti-russe e un ulteriore aiuto militare per 500 milioni di dollari e lo si è fatto nel giorno istituito ufficialmente per ricordare i “martiri” golpisti del febbraio 2014.
Per Biden, quella di ieri è stata la prima visita in Ucraina da presidente; da vice di Barack Obama, vi si era recato nel 2009, tre volte nel 2014 e ancora nel 2015 e quindi nel 2017, anche per affari di famiglia.
Ma il cuore del viaggio europeo di Joe Biden è la Polonia, dove invece ieri c’era Giorgia Meloni, a ribadire il giro d’affari italo-polacco, che lo scorso anno ha «raggiunto la cifra record di 29 miliardi di euro». Un giro d’affari che si intreccia con gli interessi economico-politici del complesso militare industriale italiano, nel sostegno all’Ucraina nazigolpista da parte di fascisti italiani e sanfedisti di Polonia.
Una Polonia che sta cercando di raggiungere la leadership militare nella UE, avendo in mente un potenziale conflitto con la Russia, scrive Artëm Ignatev su Fond Strategiceskoj Kultury.
Le principali forze della NATO si stanno spostando verso la Polonia, scriveva The Times alla vigilia della visita di Joe Biden. E ancora: «Sembra che il centro di gravità europeo si sia spostato a est», afferma l’ex comandante delle forze yankee in Europa, Ben Hodges.
A fine giugno sarà polacco anche il comandante dell’Eurocorps, il generale Yaroslav Gromadzinsky, ora responsabile dell’addestramento dell’esercito ucraino in Germania al Gruppo di assistenza all’Ucraina.
Lo scorso novembre, Politico scriveva che «La Polonia ha forse il miglior esercito d’Europa. Ci sono circa 150.000 uomini in servizio, di cui 30.000 nella milizia territoriale. Questi “soldati del fine settimana” seguono 16 giorni di addestramento e poi corsi di aggiornamento e, sull’esempio dell’Ucraina, sono dotati di missili anticarro e antiaerei».
Varsavia, che già schiera 647 carri armati (quasi tre volte di più della Gran Bretagna) e ha un bilancio di guerra che raggiunge il 4%, ha un accordo da 4,9 miliardi di euro con Washington per 250 carri Abrams, in sostituzione dei 240 carri d’epoca sovietica inviati in Ucraina, e altri 116 Abrams seguiranno più tardi. L’aeronautica dispone di F-16 americani e c’è un accordo da 4,6 miliardi di dollari per 32 F-35.
Con la Corea del Sud, la Polonia ha una serie di accordi da 10-12 miliardi di dollari per l’acquisto di armamenti vari, tra cui 1.000 carri armati K2, 600 pezzi di artiglieria semovente e 288 lanciarazzi multipli K9A1 “Chunmoo”.
Ormai è noto a tutti il ruolo di Varsavia nelle forniture militari a Kiev e nell’addestramento delle sue truppe. Ma c’è di più e c’è qualcosa cui Varsavia tiene particolarmente.
Il 16 febbraio, alla vigilia della conferenza di Monaco, il presidente polacco Andrzej Duda è volato a Londra, per discutere col premier britannico Rishi Sunak dell’addestramento di piloti ucraini su aerei NATO, cui presto si darà il via in Gran Bretagna, ma soprattutto di un prossimo significativo aumento di truppe NATO in territorio polacco.
Il polonista Stanislav Stremidlovskij suppone però che la visita di Duda a Londra, quando avrebbe potuto benissimo incontrare Sunak due giorni dopo a Monaco, nasconda qualche piano polacco-britannico in occasione della visita di Biden a Varsavia.
Dunque, non solo The Times, ma anche The Spectator parla di uno spostamento «del centro di gravità europeo verso la Polonia», con la politica filoamericana e filo NATO di Varsavia che «contrasta con i sogni persistenti e infruttuosi della Francia di una politica estera e di sicurezza europea comune, e anche col desiderio di creare un esercito europeo», mentre il deciso «sostegno della Polonia a Kiev contrasta con l’ambivalenza di Macron e l’evasività di Scholz».
Secondo The Telegraph, «la leadership polacca» ha dimostrato che Varsavia non ha più bisogno dell’asse franco-tedesco, ma pretende larga autonomia e «ha il pieno diritto di raggiungerla».
Tuttavia, la Polonia non si è guadagnata da sola questo “nuovo status”, ma l’ha solo preso in prestito, osserva Stremidlovskij, e prima o poi dovrà rimborsarlo. Al momento, gioca sullo status di “paese di prima linea“, ma quando il conflitto ucraino finirà, il centro di gravità d’Europa si sposterà nuovamente verso Berlino e Parigi.
Ecco quindi che The Times raccomanda ai polacchi di «stabilire una cooperazione con la Germania nella lotta contro Putin».
E allora, cosa cercava davvero Duda a Londra? Quasi sicuramente, quello che cercano tutti, Italia compresa. Dopo aver partecipato alla distruzione dell’Ucraina, inviando sempre più armi e sempre più distruttive, che continuano a ingrassare le industrie militari, ora sono tutti in corsa per accaparrarsi anche un posto al tavolo della ricostruzione e guadagnare anche da quella.
Al termine dell’incontro di Londra, Duda, secondo le sue stesse parole, ha infatti detto a Sunak di aspettarsi «il sostegno del Regno Unito per entrare a far parte di una coalizione di paesi che parteciperanno alla ripresa economica dell’Ucraina... la nostra partecipazione a questo processo è qualcosa che do per scontato».
Così, il Ministro dello sviluppo e della tecnologia, Waldemar Buda, parla di 1.750 aziende polacche – edilizie, alimentari e farmaceutiche – ansiose di partecipare alla ricostruzione che, in base ai dati di Kiev, comporterà investimenti per 750 miliardi di dollari, di cui Varsavia ne rivendica almeno un decimo, senza contare la mano d’opera a costo quasi-zero fornita proprio dagli ucraini, ridotti ormai da anni a elemosinare lavoro in Polonia.
C’è però da sgomitare per farsi largo tra la concorrenza che, secondo The New York Times, è data da migliaia di imprese che, «in tutto il mondo, sono prese da una febbre dell’oro multimiliardaria». Dunque, bisogna muoversi in fretta, cercando i giusti appoggi.
Anche perché i governi che stanzieranno i fondi per la ricostruzione, vorranno che siano le proprie imprese a ottenere contratti, in proporzione a quei fondi. Sembra dunque che Varsavia cerchi a Londra una solida sponda per partecipare in grande all’affare ucraino.
Ma, per ottenere il risultato voluto, osserva Strmidlovskij, Varsavia dovrebbe avere un “rapporto speciale” con Londra, che invece non appare molto solido. In materia di armamenti, Varsavia si affida a Washington, non a Londra, con grossi profitti del complesso militare-industriale americano, ma non di quello britannico. E a Londra non è che ne siano così entusiasti.
Insomma, la visita di Biden rientra in tutti quei momenti che contribuiscono a spiegare il forte interesse di Varsavia a che la guerra in Ucraina vada avanti il più a lungo possibile, infischiandosene ovviamente, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, della «conclusione vittoriosa» del conflitto da parte di Kiev: è importante per la Polonia, che Russia e Ucraina si dissanguino.
Di più: Varsavia farà di tutto perché l’Ucraina (o quel che rimarrà del suo territorio) conservi in ogni caso una posizione secondaria, che non intralci le mire polacche alla leadership europea.
Andrzej Szlezak, ex sindaco di Stalowa Wola, nel Voivodato della Precarpazia, dice chiaro e tondo che l’ideale per Varsavia sarebbe che né Russia, né Ucraina vincessero la guerra: «la vittoria russa costituirebbe una vera minaccia per la Polonia che, a causa dell’intervento in questa guerra, è economicamente esausta, emarginata e politicamente distrutta dall’interno. La vittoria dell’Ucraina trasformerebbe la Polonia in una sua appendice, controllata politicamente dagli USA ed economicamente dalla Germania...
Se né Russia né Ucraina vincono, si verificherà una situazione per cui entrambe saranno indebolite a tal punto da non poter minacciare le posizioni geopolitiche della Polonia».
Una visione, quella di Szlezak, che fa il paio con le ripetute omelie, ad esempio, della Fondazione “Libertà e Democrazia”, che non perde occasione per giurare sulla “polonicità storica” di regioni quali quelle di Kiev, L’vov, Ternopol, Cernigov, Cerkassy, Dnepropetrov.
Un po’ come se Stoccolma, osserva Valentin Lesnik su Odna Rodina, dichiarasse che la Polonia è svedese, dal momento che tale fu dal 1655 al 1660. Di fatto: non pare che qualcuno, a Varsavia, abbia mai smesso di guardare a quelle terre.
Insomma, nei rapporti polacco-ucraini si è di fronte a una situazione per cui a Varsavia, per obbedire agli interessi USA, si deve ostentare “amore” per Kiev, ma non per questo si ha intenzione di dimenticare alcunché del passato, anche di quello recente.
Su News Front, Julija Vitjazeva riferisce di come, appena pochi giorni fa, il rappresentante statunitense presso la Helsinki Commission, Paul Massaro, avesse postato un selfie con un gallone raffigurante Stepan Bandera, rimuovendolo dopo poche ore «su richiesta di un caro amico polacco».
Se Varsavia si muove al seguito di Washington, anche per quest’ultima è oggi estremamente poco vantaggioso inimicarsi Varsavia, per la quale le carneficine in Volinya di 80 anni fa, commesse dai nazionalisti ucraini di Bandera, non possono essere dimenticate.
Joe Biden può ben giurare a Vladimir Zelenskij che gli USA “rimarranno a fianco di Kiev finché sarà necessario”; ma è a Varsavia che si sta tirando la volata.
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