Gli iscritti al PD hanno votato a maggioranza per Bonaccini, ma gli elettori ai gazebo hanno incoronato Elly Schlein.
La Schlein è dunque la nuova segretaria del PD. Il testa a testa tra i due è durato circa tre ore, con le proiezioni e i dati ufficiosi che si rincorrevano. Alla fine la commissione congressuale ha sancito che Elly Schlein è la nuova segretaria.
Con l’80% delle schede scrutinate, la Schlein conquista il 57,3% contro il 42,7% di Stefano Bonaccini. Un risultato rovesciato rispetto a quello espresso dagli iscritti del PD nel voto avvenuto nei circoli, che una settimana fa avevano invece votato Stefano Bonaccini al 52,87% con 79.787 voti ed Elly Schlein al 34,88% con 52.637 voti.
E adesso arrivano i problemi. La vittoria della Schlein apre infatti diversi scenari. Il primo sarà il rapporto con la nuova minoranza interna. Sconfitta, ma niente affatto residuale. Anzi: i gruppi parlamentari dem contano un buon numero di esponenti che hanno sostenuto Stefano Bonaccini nella campagna congressuale, così come la maggioranza degli iscritti al PD.
Quella che voleva essere la soluzione per ridare ossigeno ad un PD in declino rischia perciò di essere un piede sul tubo.
Il meccanismo delle primarie “aperte” in cui i passanti in fila ai gazebo, pagando due euro, possono incidere sul partito e decidere diversamente dagli iscritti, è una anomalia che stavolta ha prodotto una contraddizione grossa come una casa.
Qual è la legittimità di un “capo politico” – così la legge elettorale vigente obbliga a definire il leader – che viene scelto dai “passanti” invece che da chi condivide un progetto politico (ammesso e non concesso che il PD ne abbia mai avuto uno)?
Infine, e non certo per importanza, rimane il problema dei contenuti, al di là delle chiacchiere sulle vuote forme. La Schlein, appena iscrittasi al PD per poter concorrere come leader del partito, è donna e giovane, e questo viene narrato come un “valore aggiunto” che dovrebbe per qualche motivo garantire “cambiamento” e “innovazione”.
Occorre rammentare però due precedenti che non fanno prefigurare futuri radiosi ma il loro contrario. Alla fine del 1993 Bertinotti non aveva ancora la tessera del PRC ma appena due mesi dopo veniva “eletto” (sarebbe meglio dire assunto come un manager) segretario del partito. Lo stesso Renzi stravinse le primarie e veniva indicato come il vento del cambiamento (passando per la rottamazione del vecchio partito). I risultati si sono visti.
Sul piano dei contenuti, dei programmi, della visione sociale, ecc., la Schlein è poi evanescente o sfuggente come un’anguilla, più che come una sardina. Molto bla bla sui diritti civili, sempre benvenuti ma a costo zero, e parole vaghe su quelli sociali (salario, tutele, pensioni, sanità, ecc).
Bonaccini è invece uno storico esponente del partito degli amministratori locali, i nuovi terminali di potere spesso decisivi in un partito in cui la frammentazione e la territorializzazione degli interessi è diventata dominante. Quel milieu di funzionari, insomma, per cui il futuro non importa e conta soltanto la combinazione ottimale di richieste e soluzioni di corto respiro.
Individuare in questa polarizzazione il meno peggio è un esercizio impossibile. Immaginare che possa prodursi una polverizzazione di questo “super comitato elettorale” impropriamente chiamato “partito” è dunque un esercizio di realismo. Non esiste alcuna ragione valoriale reale per tenerli insieme e, si sa, gli interessi seguono la logica del denaro: vanno dove possono essere garantiti.
Adesso spetta all’assemblea nazionale del PD incoronare la neo segretaria. L’assise dem potrebbe essere convocata domenica 5 marzo o, al più tardi, domenica 12 marzo.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento