Mentre si alternavano veloci le lacrime di coccodrillo del palazzo politico sulla vittoria delle astensioni alle elezioni regionali, è giunta la sentenza di assoluzione per Silvio Berlusconi.
Ad Arcore c’erano solo cene eleganti, con generosi e disinteressati regali del padrone di casa alle ospiti, tra le quali una era in buona fede presunta come nipote di Mubarak.
Questo è l’esito della giustizia italiana, la stessa che impone il 41bis a Cospito e non è riuscita a mettere in carcere un solo manager e titolare d’impresa per le migliaia di omicidi sul lavoro, i disastri e le stragi edilizie e ambientali.
Non è una questione di strapotere della magistratura, come lamentano i politici indagati in attesa di assoluzione. E neppure di ingerenze della politica sul libero esercizio del potere giudiziario, come rispondono i magistrati.
L’assenza di giustizia in Italia a partire dal principio fondante di essa, la giustizia uguale per tutti, non è colpa né della corporazione dei magistrati, né di quella dei politici, ma del sistema di potere unificati che le domina entrambe.
Se si vuol capire come funziona questo sistema e come colpisce chi lo vorrebbe mettere in discussione, è illuminante il libro autobiografico di Luigi de Magistris.
Lì viene raccontata con passione e dolore, facendo tutti i nomi e cognomi, la storia dell’estromissione dalla magistratura di colui che poi sarebbe diventato sindaco di Napoli.
De Magistris, giovane magistrato entusiasta figlio e nipote di magistrati, va in Calabria per esercitare la sua funzione con rigore e disinteresse. E qui riceve elogi finché si occupa dei delitti delle persone e della criminalità comuni. Lo Stato si vanta con lui e di lui per stabilire “legge ed ordine”.
Quando però le indagini cominciano a toccare affari ed imprenditori, allora la musica cambia.
Un insieme di legami e di intrecci di interessi uniscono politici, magistrati, imprenditori. E attraverso la catena di questi intrecci, ben oliata dalle logge massoniche, le mafie fanno e nascondono i loro profitti.
Ecco allora che quando de Magistris comincia ad indagare sul sistema di potere, questo subito si mette in moto per fermarlo. Prima con blandizie, collocazioni migliori, elogi e prospettive di carriera. Poi, quando capisce che i mezzi di assimilazione e neutralizzazione non funzionano, allora il sistema colpisce con tutta la sua forza brutale.
Non si pensi che, quando si parla di sistema di potere nemico della ‘giustizia uguale per tutti’, si intenda solo la destra berlusconiana. No, se avesse di fronte una vera alternativa il sistema non potrebbe funzionare, si romperebbe. Per reggere deve essere profondamente bipartisan e pervasivo.
Così de Magistris raccoglie interrogazioni parlamentari contro il suo operare a destra e a sinistra, in Forza Italia come nel PD, o come si chiamavano allora. Il capo dell’Associazione Magistrati Palamara, che poi sotto indagine parlerà anch’egli di “sistema”, il ministro della giustizia Mancino – di centrosinistra – il procuratore generale e poi leader politico berlusconiano Chiaravallotti, tutti si uniscono nella caccia al magistrato rompiscatole.
Quando poi, in una delle sue indagini, de Magistris arriva a coinvolgere persone legate a Romano Prodi, ciò segna la sua fine. Contro di lui si susseguono denunce ed indagini; magistrati, come quelli di Salerno, che dimostrano la totale correttezza e fondatezza delle inchieste, vengono trasferiti e si rovinano la carriera.
Alla fine tutti i poteri dello Stato, con il suggello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, mettono Luigi de Magistris nell’impossibilità di continuare a fare il suo lavoro e nei fatti lo buttano fuori dalla magistratura.
“Nessuno mai saprà quello che si stava scoprendo, del resto – come non mi stanco di ripetere – lo stato non poteva certo farsi processare, tanto più se il mandante era nientemeno il capo dello stato”. Così conclude de Magistris nel suo libro.
Il potere in Italia oramai è fissato in un sistema ove politici, imprenditori, pubblici funzionari agiscono e si tutelano assieme. Certo, a volte le varie parti del sistema confliggono tra loro, ma sono sempre tutte unite quando “il sistema” stesso si sente minacciato.
Il vincolo esterno delle politiche di austerità europee e delle guerre della NATO ha poi legittimato e reso ancora più rigido e irriformabile il sistema di potere.
Sia chiaro, non è la guerra che ha unificato le principali forze politiche, ma è il loro sistema di potere consociativo che è naturalmente confluito nell’unità militarista della guerra.
La maggioranza dei cittadini non vota più perché ritiene che tutti i principali attori della politica siano sostanzialmente uguali e che chiunque governi, nulla cambi davvero.
Questo è assolutamente vero, ma paradossalmente l’astensione rafforza il sistema di potere, che ha sempre meno bisogno del voto dei cittadini, gli basta quella quota sufficiente a legittimare formalisticamente il suo perpetuarsi.
Così finiscono la democrazia e la giustizia in Italia; chi è contro il sistema di potere deve esserne consapevole.
Oggi in politica accade esattamente quello che è successo a de Magistris in magistratura.
Se rompi le scatole ti fanno fuori, con il sistema elettorale, coi soldi, se non basta con la repressione.
Oggi una forza che voglia essere contro il sistema di potere deve sapere che il suo non è un compito facile e di breve periodo. Credere che basti un poco di onestà per sconfiggere il sistema porta alle illusioni e alle sconfitte dei cinque stelle.
Il sistema italiano non è riformabile, può solo essere rovesciato e questo richiede il lento, faticoso necessario accumulo delle forze necessarie a farlo.
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