I piani yankee hanno questo di caratteristico: sono quasi sempre abbastanza prevedibili; anche se per questo non meno pericolosi. La traiettoria che avrebbe preso la Moldavia era ben pronosticabile già da qualche anno. Oggi quel corso sembra accelerarsi.
Prima ancora che diventasse Presidente, a fine 2020, e prima ancora che entrasse in carica quale primo ministro, nel 2019, la Presidente moldava, Maia Sandu, aveva fornito sufficienti prove di fedeltà: ex Ministro per l’istruzione, laureata alla Harvard Kennedy School of Government del Massachusetts, ex Consigliere alla direzione esecutiva della Banca mondiale, protégé della fondazione “Soros” e dell’ambasciata USA e leader di un movimento schierato a favore di UE e Nato.
Le elezioni parlamentari del febbraio 2019, giocate praticamente sul terreno della “eurointegrazione” e dell’avvicinamento alla NATO, avevano fornito pericolose ulteriori avvisaglie sulla stabilità dell’allora Presidente Igor Dodon, considerato, non proprio a ragione, filo-russo. Il via era stato dato da tempo e la strada era segnata: se all’epoca, a finire nel mirino era l’opposizione comunista, oggi è addirittura quella moderata.
Lo schema è quello sperimentato: si grida al tentativo di colpo di stato “organizzato da Mosca” – la soffiata verrebbe da fonte del tutto irreprensibile: Vladimir Zelenskij (non ridete...) che ne aveva parlato il 9 febbraio intervenendo al Consiglio d’Europa – che mirerebbe a «rovesciare l’ordine costituzionale e sostituire il potere legittimo di Kišinev con uno illegittimo», per poter disporre di un pretesto per introdurre una appropriata “legislazione” securitaria e attrezzarsi per gli ulteriori ordini che arriveranno da ovest.
Se qualche mese fa nel mirino degli “attenti al lupo” della diligente Maia era finita la Transnistria (anche questa, ca va sans dire, troppo vicina a Mosca) oggi tocca alla Serbia, accusata di far comunella con Mosca per la «distruzione dell’ordine democratico» moldavo; bisogna pur in qualche modo convincere Vucic a prender finalmente posizione: o con la “democrazia” o con il Cremlino.
Nella cricca “complottista”, ci sarebbe stato anche il partito “Shor”, non esattamente una formazione rivoluzionaria (fa capo all’affarista Ilan Shor, compromesso con la scomparsa di un miliardo di dollari dalle casse statali, che aveva portato alle proteste di massa del 2015) che però controbatte e accusa Sandu di usurpazione del potere, per il piano di rivolgersi al Parlamento, chiedendo l’attribuzione di pieni poteri ai Servizi di sicurezza e altre strutture di polizia «per impedire la destabilizzazione del paese».
La vice presidente di “Shor”, Marina Tauber, accusa Maia Sandu di voler imbavagliare, col pretesto dell’attentato “all’ordine costituito”, le proteste organizzate dal “Movimento per il popolo” contro gli aumenti dei prezzi energetici a causa della rinuncia alle fonti russe: il gas aumentato di sette volte e l’elettricità di quattro.
Tra gli scontenti moldavi, anche buona parte del settore agricolo, privato di un largo mercato di sbocco verso la Russia e messo di fronte a un “mercato” europeo chiuso alla produzione moldava. Ma anche le proteste, a detta di Maia, rientrerebbero nel “disegno eversivo”.
Secondo la “versione Sandu”, nel corso delle proteste, agenti russi, bielorussi, serbi e montenegrini, infiltrati tra le squadre di soccorso inviate in Turchia – la malignità degli aiuti russi: lo sanno al PD? – si sarebbero introdotte in Moldavia, dando l’assalto a edifici governativi moldavi e catturando ostaggi. Ovviamente, un aiuto esterno sarebbe arrivato anche dall’oligarca e ex leader del PD moldavo, Vladimir Plahotniuc, da tempo fuggito all’estero.
Un piano che, manco a dirlo, avrebbe dovuto «fermare il processo di eurointegrazione e mettere a disposizione il territorio moldavo per azioni contro l’Ucraina»: parola di Maia Sandu. Così, Maia rimuove il Presidente del consiglio e nomina al suo posto quel Dorin Recean, oggi segretario del Consiglio di sicurezza, ma che all’epoca dello scandalo del miliardo scomparso, come Ministro degli interni, non aveva “visto nulla”.
Il Blocco Comunisti-Socialisti (Blocul Comuniștilor și Socialiștilor) ha chiesto di sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate e ha anche denunciato il tentativo di inasprire le repressioni contro l’opposizione, volte a coinvolgere la Moldavia nel conflitto ucraino.
Ne aveva accennato pochi giorni fa anche il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, parlando anche dei disegni di unione (o inglobamento) della Moldavia alla Romania, membro della NATO. Lavrov aveva ricordato che Sandu rifiuta di proseguire i colloqui “5+2” (Moldavia, Transnistria, Russia, Ucraina e OSCE, con USA e UE come osservatori), avendo in mente soluzioni militari nei confronti di Tiraspol.
Il diplomatico russo Aleksej Polušchuk ha dichiarato che a Ovest si spinge Kišinëv ad abbandonare lo status di paese neutrale, previsto dalla Costituzione: la stessa cosa era avvenuta a suo tempo per Kiev.
A parere del politologo Andrej Suzdal’tsev, Sandu sta facendo il gioco di Zelenskij, interessato alle grosse riserve di armamenti rimaste in Moldavia dall’epoca sovietica e cerca ogni mezzo per entrarne in possesso: una destabilizzazione nel paese è quello che occorre non solo a Kiev, ma anche ai piani dell’Occidente, interessato ad accaparrarsi «l’ennesimo potenziale nemico della Russia».
Al Ministero degli esteri moldavo si parla di Mosca come origine dei problemi con cui è alle prese il paese, sullo sfondo del conflitto in Ucraina; per questo, è necessaria la piena «solidarietà dei nostri amici, per superare i molti problemi ibridi che ci stanno di fronte». Così, Kišinëv è interessata «al rafforzamento della nostra stabilità, anche per mezzo della NATO, del piano individuale di partnership con la NATO, di programmi di sviluppo professionale e altre iniziative».
Già nel maggio dello scorso anno, in un’intervista a PRO TV, Sandu aveva espresso «interesse» a ottenere armamenti occidentali, sostenendo che lo status neutrale non garantirebbe il paese dai rischi di attentati alla sua integrità territoriale.
A luglio, fonti del Ministero della difesa avevano rivelato al sito Newsmaker che il paese stava già ricevendo armi leggere occidentali, ma è interessato anche a artiglierie ed elicotteri.
A settembre, lo stesso Dorin Recean aveva dichiarato che per la Moldavia non è più possibile contare sulla neutralità e deve rafforzare il proprio potenziale difensivo.
A dicembre, il direttore del Servizio di informazione e sicurezza Alexandru Mustiata aveva detto a TVR Moldova che «la questione non è “se” la Russia effettuerà un nuovo attacco, al territorio moldavo, ma “quando” questo avverrà: a inizio anno, gennaio-febbraio, oppure più tardi a marzo-aprile», con l’obiettivo di unirla alla Transnistria.
Così che, a ben vedere, al Consiglio d’Europa Vladimir Zelenskij non ha “rivelato” nulla di nuovo. Da attore studiato, si è limitato a seguire la sceneggiatura e ripetere sul palcoscenico le perentorie indicazioni della regia, che non è né moldava, né ucraina.
Il deputato del Partidul Comuniștilor din Republica Moldova, Konstantin Starish, in maniera sarcastica, ha detto che le dichiarazioni di Maia Sandu sul presunto imminente colpo di stato, gli sono giunte mentre stava leggendo il racconto fantastico di Vladimir Sorokin sul “Cinghiale Gambit”: il delirante presidente di un piccolo paese europeo, che scioglieva gli avversari nell’acido. Nel racconto, si parla di super droni, indistinguibili da corvi, a caccia del presidente.
Ora, in cosa si differenziano «i droni-corvi dai “militari ceceni”, inviati in Turchia mascherati da soccorritori, per poi esser trasferiti in Moldavia?» si chiede Starish; e conclude: «il genere di Sorokin è la fantasmagoria letteraria, che non è diversa dalle dichiarazioni della Sandu».
L’ex Presidente e leader del Partito socialista, Igor Dodon, ha detto che la sortita di Maia Sandu su una possibile destabilizzazione del paese, su sabotatori e ostaggi, non è che pura speculazione. Maia cerca di spaventare le persone con degli spauracchi, nella speranza di risollevare il proprio rating. Dodon ha lanciato un appello alla popolazione per l’organizzazione di proteste di massa contro i piani di Maia Sandu e dei suoi curatori UE-NATO.
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