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23/07/2025

Nato e Ue spingono la Moldavia in guerra contro la Russia

Lo scorso 14 luglio, il Servizio di intelligence estero (Svr) della Federazione russa ha accusato la Nato e l’Unione europea di preparare la Moldavia a un futuro conflitto militare con la Russia.

Secondo quanto si apprende dal Rapporto, la Nato sta trasformando il piccolo Paese stretto tra Ucraina e Romania in un avamposto strategico sul fianco orientale, modernizzando gli aeroporti, creando hub logistici e adattando le ferrovie all’eventuale rapido dispiegamento delle forze atlantiche ai confini con la Russia.

Il rapporto del Servizio di intelligence estero russo

“La Nato si sta preparando attivamente a utilizzare la Moldavia in un possibile conflitto armato con la Russia. A Bruxelles è stata presa la decisione di accelerare la trasformazione di questo Paese in una testa di ponte avanzata dell’alleanza sul fianco orientale”, si legge nel Rapporto.

“Le forze Nato stanno trasformando la repubblica agraria, un tempo pacifica, in un banco di prova militare, attuando progetti per il passaggio allo scartamento ferroviario europeo e per l’aumento della capacità di transito dei ponti. Si stanno costruendo hub logistici, grandi magazzini e siti per la concentrazione di equipaggiamento militare”, continua l’Svr.

A oggi, la Moldavia non fa parte né dell’Unione Europea, né della Nato. Ma dalla salita al potere nel dicembre del 2020 della presidente Maia Sandu, il Paese sta scivolando verso l’Occidente, cavalcando d’altra parte la retorica antirussa e reprimendo duramente chiunque si opponga al percorso euroatlantico dell’ex Repubblica sovietica.
 
La presidente Sandu schiera la Moldavia con l’Occidente

I governi occidentali “stanno costringendo Chisinau ad adottare i concetti di guerra della Nato. L’esercito moldavo viene inondato di istruttori militari provenienti dagli stati dell’alleanza”, continua il Rapporto.

“Il regime di Maia Sandu è pronto a soddisfare tutte le richieste dell’Occidente. Chisinau conta molto sul sostegno materiale e organizzativo degli stati membri della Nato per il partito della presidente Azione e solidarietà (Pas) alle prossime elezioni parlamentari del 28 settembre”, afferma l’Svr.

Al di là della propaganda contenuta nel rapporto, è da registrare che la presidente Sandu ha promesso ai vertici Nato di revocare lo status di Stato neutrale per la Moldavia in caso di vittoria parlamentare da parte del Pas.

Guerra e repressione nell’agenda politica moldava

Ad aumentare la tensione non solo le parole, ma i fatti. Solo pochi giorni fa, il 19 luglio il Comitato elettorale centrale della Moldavia ha vietato all’opposizione di Victoria-Pobeda la partecipazione alle prossime elezioni parlamentari con l’accusa di essere filorussi.

La dinamica è simile a quanto è avvenuto negli ultimi anni in Ucraina, dove dal 2022 il regime di Zelensky – il cui mandato ricordiamo è scaduto nella primavera del 2024 – ha messo fuorilegge ben 11 partiti con la stessa accusa.

A fine novembre 2024 invece la Moldavia e il Regno Unito, alla presenza interessata della ministra degli Esteri della Romania, hanno firmato un accordo di collaborazione nel campo della difesa e della sicurezza con l’obiettivo di contrastare le “minacce provenienti dalla Russia”.

A scuotere il Paese ci aveva già pensato a fine ottobre il contestato esito referendario per l’inserimento in Costituzione dell’adesione della Moldavia all’Ue. In quell’occasione, il Sì aveva vinto per un pugno di voti dopo che i sondaggi attribuivano un solido vantaggio al No e dopo che l’opzione contraria era stata in vantaggio per tutto il conteggio notturno. A differenza di quanto avvenuto in Romania, i vertici occidentali riconobbero immediatamente il voto.

Non sorprende che l’avvicinamento al referendum e alle elezioni presidenziali, vinte dal Pas al ballottaggio, sia stato caratterizzato da forti proteste antigovernative e da un clima repressivo cresciuto durante la presidenza Sandu. 

La guerra a oltranza di Nato e Ue contro la Russia

Il rapporto dell’Svr si inserisce nel più generale “piano B” di continuazione della guerra a oltranza contro la Russia in caso di sconfitta occidentale sul campo ucraino.

Come dichiarato alla Tass da Ralph Bosshard, ufficiale svizzero ed ex consigliere militare del segretario generale dell’Osce, l’utilizzo della Moldavia come ariete contro Mosca significa che Bruxelles considera compromessa la difesa ucraina delle regioni meridionali, in particolare le aree costiere come Odessa, le quali secondo l’analista “prima o poi passeranno alla Russia”.

Ma è tutta l’Europa orientale ad accentuare la retorica bellicista e filoatlantica del ritorno dell’“orso russo”. Dalla Scandinavia al Mar Nero, passando per i Paesi baltici, Polonia, Romania e Bulgaria (con le sole eccezioni di Ungheria e Slovacchia, a guida di conservatori o socialdemocratici), è tutto un pericoloso richiamo alle armi per la difesa del suprematismo europeo, mascherato ovviamente da libertà occidentale.

Lo spostamento a est dell’asse europeo rispetto al duo Parigi-Berlino non fa che ridurre all’opzione guerrafondaia la strategia dell’Unione europea per rispondere alla crisi sistemica in cui sono finiti gli imperialismi occidentali.

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24/11/2024

Accordo sulla Difesa tra Moldavia e Regno Unito, obiettivo la Russia

In visita in Moldavia, il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Lammy, ha siglato un accordo di collaborazione nel campo della difesa e della sicurezza con il nuovo governo di Maia Sandu. L’obiettivo è indicato esplicitamente nel contrasto alle “minacce provenienti dalla Russia”.

L’incontro è stato in realtà a tre, anche con la ministra degli Esteri della Romania Luminita Odobescu. La quale ha accolto positivamente il risultato delle elezioni appena svoltesi, e ha offerto anch’essa il sostegno del suo paese nell’affrontare gli effetti del conflitto nella vicina Ucraina.

Son passate poco più di due settimane dal ballottaggio che ha portato al secondo mandato della Sandu alla guida del paese. Di cui una parte, la Transnistria, è indipendente de facto, e in cui la riconferma della presidentessa è stata possibile solo grazie ai voti provenienti dall’estero.

Che uno dei primi atti sia la firma di un accordo sulla difesa con Londra, che è ovviamente il risultato di un più lungo lavoro diplomatico, è piuttosto significativo del saldamento che Sandu vuole promuovere con l’apparato bellico occidentale.

E dunque anche con l’orizzonte di escalation contro la Russia. Lammy ha dichiarato che con “con l’Ucraina accanto, ai moldavi viene costantemente ricordata l’oppressione, l’imperialismo e l’aggressione della Russia”.

Il riferimento è anche al gran numero di immigrati ucraini arrivati dal febbraio 2022, e difatti, con l’occasione, è stata firmata anche un’intesa per il contrasto all’immigrazione illegale.

Nel concreto, il partenariato prevede un finanziamento di 2 milioni di sterline per il rafforzamento della cybersicurezza moldava, 5 milioni per i rifugiati ucraini in Moldavia e oltre mezzo milione per la lotta alla corruzione.

La cybersicurezza è sicuramente il settore più delicato, viste le questioni sollevate negli ultimi mesi. Infatti, tante sono state le denunce fatte dalle forze filo-occidentali rispetto agli attacchi e alla propaganda informatici provenienti da Mosca.

Silenzio c’è invece stato sulla repressione che negli ultimi mesi ha colpito i partiti dell’opposizione, in un paese che, come si diceva all’inizio, si presenta profondamente polarizzato.

Così come sono stati passati sotto silenzio gli eventi a dir poco dubbi che hanno portato alla risicata vittoria del fronte europeista nel referendum sull’inserimento in Costituzione dell’obiettivo di ingresso nella UE. Mentre mercoledì il primo ministro Dorin Recean ha giù presentato una bozza di integrazione costituzionale.

La strada intrapresa da Sandu, confermata dalla firma di questo accordo, non può che accentuare questa polarizzazione, e con essa le preoccupazioni rispetto al surriscaldamento delle tensioni globali.

Infatti, le elezioni parlamentari moldave sono previste per la prossima estate, ed è chiaro che con esse si giocheranno importanti equilibri interni del paese.

Già il 2024 ha visto un forte restringimento della vita democratica moldava. L’avvicinamento alle elezioni con un governo che, invece di ricomporre le fratture del paese, cementa i rapporti con la filiera euroatlantica, non può che segnalare il peggioramento della situazione.

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22/10/2024

Moldavia - Per imporre l’opzione euroatlantica sono ricorsi ai brogli

I fatti sono questi. Dopo una notte di vantaggio del “No” nel referendum sull’adesione della Moldavia all’Unione Europea (in realtà all’inserimento di questo obiettivo nella Costituzione), arriva la mattina e improvvisamente il “Sì” è passato in vantaggio per un pugno di voti. Il risultato alla fine è stato che il Sì all’ingresso della Moldavia in Ue ha ottenuto il 50,4% (747.347 voti) e il No all’ingresso della Moldavia in Ue: 49,5% (735.104 voti).

Una stranezza che suscita più di qualche sospetto di brogli.

Ma la canea politica-mediatica in Europa ci ha abituato – o meglio, vorrebbe farci abituare – all’idea che i brogli li fanno solo gli “altri”, gli stati inseriti sulla “lista nera” di chi ha diviso il mondo nel Giardino e la Jungla.

In questo caso, invece, sembra proprio che i brogli possano essere ascritti agli amici della Ue e della Nato. Soprattutto attraverso la filiera dei voti dei moldavi all’estero. Gran parte della diaspora è appunto nei paesi europei, e questi hanno ricevuto tutto il necessario per votare. Al contrario, per il quasi mezzo milione di moldavi residenti in Russia il governo Sandu ha messo a disposizione solo 10.000 schede.

Per coprire questa contraddizione e il rovesciamento repentino di un risultato che appariva acquisito, i mass media europei diffondono l’idea che i brogli si che c’erano e che ci sarebbero stati, solo da parte dei partiti anti-Ue e filo-russi ovviamente, ma “prima” del referendum e delle elezioni presidenziali svoltesi domenica.

Per condizionare politicamente e materialmente il voto, il governo Sandu – sostenuto dalla Ue e dalla Nato – nelle settimane precedenti il referendum e le elezioni aveva dato vita a centinaia di arresti di militanti dei partiti dell’opposizione con l’accusa, ormai dilagante e troppo spesso ingiustificata, di essere “filo-russi”.

Su questa repressione di massa in Moldavia l’Unione Europea è stata totalmente silente e complice. Fosse avvenuto in Venezuela gli strepiti si sarebbero sentiti fino su Marte.

Ma la partita potrebbe non essere chiusa. Non solo la polarizzazione si è rivelata comunque enorme, ma la presidente filo-Ue e filo-Nato, Maia Sandu, è costretta ad andare al ballottaggio contro il candidato del Partito Socialista avendo ottenuto al primo turno meno del 42%.

Non sappiamo se gli osservatori internazionali occidentali anche al ballottaggio si gireranno dall’altra parte, ma la prossima volta che un governo o un giornale europeo strillerà ai brogli in qualche altro paese che non gli garba meriterà, senza sconto alcuno, un sonoro calcio nel culo.

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21/10/2024

Moldavia - “Strano capovolgimento” dei risultati nel referendum sull’adesione alla Ue

Le prime proiezioni sui risultati del referendum consultivo per l’adesione della Moldavia alla Ue davano in vantaggio il No gelando le aspettative per un cambio della Costituzione voluto dalla presidente filo Ue e filo Nato Maia Sandu.

Il No era in testa con il 58,1%, contro il 41,9% del Sì. Un clamoroso rovesciamento rispetto al 55% per il Sì previsto dai sondaggi della vigilia. All’improvviso i dati sono cambiati. Da un paio d’ore non è accessibile online il dato della Commissione elettorale. Con 2.200 sezioni scrutinate su 2.219 il Sì è passato in testa al 50,31% con 742.819 voti. Il No ha 733.711 voti e il 49,69%. Manca dunque la scelta di 2.423 votanti mentre lo scarto a favore del sì è di 9.108 voti.

Il direttore dell’organizzazione non governativa Promo-LEX, Nicolae Panfil, ha affermato che gli osservatori hanno ricevuto oltre 170 segnalazioni di incidenti durante le elezioni, di cui 34 sono stati confermati.

Se si fosse votato in altri paesi i governi occidentali avrebbero già gridato ai brogli, in questo caso sono silenti.

Intanto anche il voto dalle prime proiezioni delle elezioni presidenziali indica una vittoria amarissima per la Sandu, in testa nella proiezioni ma che dovrà giocarsela al ballottaggio con il candidato socialista Alexandr Stoianoglo, con un risultato nettamente inferiore al sondaggio Cbs-Axa che la vedeva vittoriosa.

La Commissione elettorale pur registrando diversi incidenti ha dichiarato valido il voto, che ha visto un’affluenza piuttosto alta: il 51,5% alle 21 rispetto al 48,3% registrato alla stessa ora nelle politiche del 2021 e al 45,6% delle presidenziali del 2020.

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15/06/2024

Moldavia - Si accentua la repressione contro i partiti dell’opposizione

In un clima fortemente condizionato dalla vicina guerra in Ucraina e dall’isteria antirussa, il governo della presidente filo Ue e filo Nato, Sandu, sta accentuando pesantemente la repressione fuori e dentro il Parlamento contro i partiti dell’opposizione, spesso liquidati in Occidente come filo-russi, legittimando in questo modo misure repressive che in altri paesi – vedi la Georgia – vengono invece stigmatizzate dall’Unione Europea secondo la logica di un inaccettabile “doppio standard” che il mondo comincia a non accettare più.

La tensione politica nel paese è altissima in previsione del referendum di ottobre sull’adesione all’UE da tenersi insieme alle elezioni presidenziali. Mentre il governo della Sandu vuole aderire alla Ue e alla Nato, i partiti dell’opposizione propendono per aderire all’Unione commerciale con la Russia. Una contrapposizione simile a quello che portò al colpo di stato di Euromaidan in Ucraina.

Più di 30 partecipanti ad una manifestazione che si stava svolgendo vicino all’edificio del parlamento moldavo a sostegno dei deputati del blocco della Vittoria privati del diritto di partecipare alle riunioni, sono stati arrestati e portati nelle caserme della polizia nella capitale moldava Chisinau. “Oggi, i cittadini comuni che volevano manifestare pacificamente sono stati arrestati durante questa manifestazione di protesta! Circa 30-35 persone sono state portate all’ispettorato di polizia del distretto di Buiucani. Questi sono i metodi di questo governo per combattere il popolo, non solo l’opposizione, ma anche il dissenso”, ha detto il rappresentante del blocco “Vittoria” Yuri Vitnyansky durante la manifestazione.

Il Blocco della Vittoria moldavo, all’opposizione, ha annunciato che avrebbe impugnato in tribunale la decisione del Partito di Azione e Solidarietà (PAS) al governo, che ha vietato ai deputati della formazione politica dell’opposizione di partecipare alle sessioni plenarie del parlamento, senza specificare in quale caso.

Il giorno prima, il presidente del parlamento moldavo, Igor Grosu, si era rifiutato di dare la parola ai membri del blocco di opposizione “Vittoria”, spegnendo i loro microfoni. In risposta, l’opposizione aveva bloccato la tribuna del parlamento, protestando contro l’ostracismo verso le loro iniziative da parte del partito di governo. Il presidente del parlamento ha proposto di vietare a questi parlamentari di partecipare a cinque sessioni plenarie. I 57 deputati del partito di governo hanno votato a favore.

Il 21 aprile si è tenuto un incontro, tra leader dei partiti Shor, Chance, Victoria, Renaissance e Moldovan Power of Alternatives and Agreements che hanno firmato un accordo sulla creazione del blocco elettorale “Vittoria”. Venerdì si è tenuta una manifestazione spontanea nei pressi dell’edificio del parlamento a sostegno dei deputati dell’opposizione.

Venerdì, il blocco della Vittoria ha annunciato di aver preparato i documenti per la rimozione di Grosu dalla carica di presidente del parlamento. Il Blocco dei Comunisti e dei Socialisti ha proposto di porre una bozza con la richiesta delle dimissioni di Grosu all’ordine del giorno del Parlamento, ma è stato rifiutato. I deputati delle due forze politiche di opposizione intendono discutere la possibilità di azioni congiunte contro il capo del parlamento.

In Moldavia, i partiti dell’opposizione hanno organizzato proteste antigovernative dal maggio 2022, insistendo sulle dimissioni del gabinetto dei ministri e della presidente Maia Sandu, leader del partito di governo PAS ed apertamente filo Ue e filo Nato. I manifestanti accusano la leadership del Paese di non essere in grado di far fronte alla crisi economica e del settore energetico, oltre a mettere sotto pressione l’opposizione. A seguito delle azioni delle autorità della repubblica, il partito di opposizione Shor è stato messo al bando e i rappresentanti di alcuni altri partiti politici, tra cui il Partito dei Socialisti e i partiti Renaissance e Chance, subiscono regolarmente perquisizioni e arresti dei loro sostenitori.

A Est di Bruxelles l’autoritarismo non regna solo a Budapest ma anche tra gli alleati filo-occidentali. È bene saperlo e mettere fine alla logica dei “due pesi e due misure”.

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20/05/2023

Gli europeisti di Kišinëv vogliono l’annullamento del voto in Gagauzija

Mentre il regime euro-atlantico moldavo di Maia Sandu taglia i ponti con la CSI (la cosiddetta Comunità degli Stati Indipendenti, messa in piedi dopo la fine dell’URSS) torna a far sentire la propria voce il territorio autonomo di Gagauzija, dove le elezioni per la carica di “Bashkan” (Governatore) hanno dato la vittoria alla candidata del partito “Shor”, Evgenija Gutsul (al secondo turno ha superato l’altro candidato filo-russo, il socialista Grigorij Uzun) che tutti i media di rispetto si affrettano a qualificare come “filo-russa”, per le sue dichiarazioni di avvicinamento a Mosca, e, per ciò stesso, passibile di arresto.

Non si è (ancora) arrivati a tanto, anche se il regime di Kišinëv già pensa a come annullare i risultati del voto e si fa in quattro per mettere fuori legge il partito del miliardario Ilan Shor: non proprio un galantuomo, ma in ogni caso fondatore di un partito, “Shor” appunto, che raccoglie percentuali di tutto rispetto in tutta la Moldavia.

Al momento, sembra che nella capitale ci si limiti a lanciare appelli per annullare le elezioni gagauze, per «la de-russificazione e la rumenizzazione» del paese.

A onor del vero, Gutsul è stata dichiarata eletta ancor prima che la Corte d’Appello gagauza e, quindi, la Corte costituzionale moldava, abbiano proclamato ufficialmente il risultato che, nel primo caso, è previsto per il 22 maggio.

Ora, secondo la legge, il “Bashkan” è di diritto membro del governo moldavo, anche se è una figura puramente decorativa: un voto su ventuno membri del gabinetto. Il che rispecchia l’assenza di una reale autonomia, dal momento che Kišinëv è in grado di controllare, in ogni momento, qualunque dicastero gagauzo.

Il premier moldavo Dorin Recean si è affrettato a dichiarare che dubita della possibilità di lavorare con la Gutsul e che il governo non «lavorerà con persone che rappresentino interessi diversi da quelli della regione autonoma. Il sistema giuridico interverrà ogni volta che ci saranno ordini del giorno estranei agli interessi dei cittadini».

Gli “interessi diversi”, a parere di Recean e della Presidente Maia Sandu, sarebbero quelli russi, in una regione che guarda da sempre verso Mosca.

Comunque, pur se quella dell’arresto di Evgenija Gutsul appare un’ipotesi abbastanza remota, nella notte del 17 maggio, la polizia è penetrata nell’edificio della Commissione elettorale gagauza, nel capoluogo Comrat, e ha requisito tutte le schede votate, col pretesto di brogli nel voto.

In effetti, commentatori russi ricordano come, per “tradizione informale”, i parenti continuino a votare anche per i familiari andati a lavorare all’estero, tanto per dire...

Il direttore dell’Istituto moldavo di politica, Vitalij Andrievskij pensa che le possibilità che l’elezione della Gutsul venga annullata siano del 51%: «se dipendesse solo dal governo Recean, le possibilità sarebbero del 90%. Siccome però a Ovest non si vuol acutizzare la situazione finché dura il conflitto in Ucraina, e Maia Sandu obbedisce senz’altro alle indicazioni occidentali», allora il pronostico è diverso.

Nella questione interviene il Partito socialista dell’ex Presidente Igor Dodon, che sta preparando un progetto di risoluzione parlamentare sulla “usurpazione del potere” da parte di Maia Sandu e del partito governativo “Azione e Solidarietà”; nel frattempo, esige che Kišinëv cessi le pressioni su Comrat e l’attacco alla Commissione elettorale gagauza.

Il Partito comunista accusa della crisi direttamente l’Occidente e ricorda la situazione del 1990, allorché la crisi scoppiò sia in Transnistria che in Gagauzija, dopo di che quest’ultima, nel 1994, ottenne l’attribuzione di status speciale dal parlamento moldavo, evitando il conflitto armato come in Transnistria.

Per il momento, a livello dell’intera repubblica, va avanti il corso “europeista” di Governo e Presidente e, pur se la Moldavia è solo “paese candidato”, le pressioni di Bruxelles già producono gli effetti abituali.

Così, Ilan Shor, dall’estero dove si è rifugiato, mentre denuncia la deriva autoritaria di Maia Sandu, attribuisce a Bruxelles la responsabilità «del fatto che i cittadini moldavi paghino il gas 10 volte più di prima [di fatto: 30 lei al mc invece di 6] e l’elettricità tre volte più cara, con crisi e inflazione galoppante...
Oggi la maggioranza dei cittadini è per la neutralità, sancita dalla Costituzione moldava… Dunque, qualsiasi tentativo di far avanzare l’integrazione europea senza indire un referendum sarà giudicato una violazione della sovranità del paese e i cittadini, che vogliono neutralità, relazioni amichevoli e partenariato con la Russia e l’Oriente, agiranno di conseguenza».

L’osservatore Il’ja Kiselëv ricorda come il confronto tra Kišinëv e Comrat fosse iniziato sin da subito, dopo la dichiarazione di “indipendenza” della Moldavia dall’URSS, ma oggi sta prendendo forme particolarmente aspre e vari rappresentanti della élite governativa sempre più spesso parlano di abrogazione dell’autonomia della Gagauzija, con la naturale reazione dei suoi abitanti e dei rappresentanti anche di forze politiche sinora non alleate.

Ora, a parere di Elena Panina, che ne scrive su News Front, una possibile alleanza tra Igor Dodon e Ilan Shor è la cosa che più preoccupa Maia Sandu, anche perché il processo di autonomizzazione porterebbe all’esistenza di due enclavi apertamente filo-russe, Transnistria e Gagauzija, e ciò ostacolerebbe non poco i disegni NATO di “anschluss” della Moldavia alla Romania, per trasformare l’intera regione in una piazzaforte atlantica a tutti gli effetti.

Non è da escludere quindi qualche atto di forza di Kišinëv, con la possibile completa abrogazione dell’autonomia gagauza.

A differenza di Kiselëv, sulla russa Vzgljad, Jurij Zajnašev e Dar’ja Volkova scrivono che Kišinëv ha deciso di agire in Gagauzija «con guanti di velluto» e, secondo il metodo classico USAID, ha aperto nella regione autonoma molti media, che dovrebbero trasformare l’atteggiamento generalmente filo-russo della maggioranza della popolazione, in pro-ccidentale.

È così, per esempio, che il 18 maggio sono iniziati a Kišinëv gli “american days”, nel corso dei quali, come riporta con soddisfazione la “Gazzetta Italo-Moldova”, si sono potuti «assaggiare gratuitamente i piatti americani presentati dagli organizzatori. In alcune stand sono state date informazioni sui progetti finanziati con il sostegno del popolo americano». Commovente.

Nella cerchia di Sandu, afferma l’ex “Bashkan” della Gagauzija nel 2006-2015, Mikhail Formuzal, stanno facendo ricorso a una tattica insidiosa: soffocare Comrat in un abbraccio. Spendono ogni anno decine di milioni di euro per dar vita a ONG e media che mirano a “europeizzare” i gagauzi. «E in generale agiscono anche con successo. Prevedo che 8-10 anni di un simile lavorio possano portare ad avere un “Bashkan” filo-occidentale», dice Formuzal.

Ma com’è che Mosca è così popolare in Gagauzija? Ancora a parere di Formuzal, la ragione è abbastanza semplice: «Da oltre 20 anni sono al potere a Kišinëv democratici e liberali, che parlano molto di democrazia e riforme, di avvicinamento all’Unione europea, ma la vita delle persone sta peggiorando. Cresce l’emigrazione; nei nostri villaggi ci sono centinaia di case con le finestre sbarrate. Dunque, c’è nostalgia dei vecchi tempi».

In generale, dice l’ex “Bashkan”, in Gagauzija non ci si aspetta nulla di buono da Maia Sandu: «se ci avesse dato buone pensioni, buoni stipendi, condizioni di lavoro dignitose, trattamento fiscale agevolato, equa distribuzione dei voti alle elezioni, forse sarebbe stato diverso. Ma, per ora, non si vede nulla di buono da Kišinëv e c’è quindi un atteggiamento estremamente negativo».

È anche così che ha potuto vincere una candidata che letteralmente nessuno conosceva fino a un paio di mesi prima del voto. Il partito “Shor”, che sosteneva la 36enne Gutsul, ha promesso di attirare nella regione 500 milioni di euro di investimenti nei primi due anni di “bashkanship” della propria candidata, creare settemila nuovi posti di lavoro e aumentare gli stipendi del 30%.

Immediatamente dopo l’annuncio del risultato elettorale, Evgenija Gutsul si è pronunciata per il rafforzamento dei rapporti con Mosca: «Noi, diciamo così, siamo un partito filo-russo» ha dichiarato; per il futuro «vogliamo restare in rapporti amichevoli con la Russia e anche con altri paesi».

Così, ha annunciato la prossima apertura a Mosca di una rappresentanza della regione gagauza e l’avvio di colloqui per sbloccare l’esportazione di prodotti agricoli in Russia, dopo il fermo dello scorso agosto per violazione delle norme di quarantena.

Da parte sua, Ilan Shor ha anche stigmatizzato la decisione di Kišinëv di ritirarsi dall’Assemblea interparlamentare della CSI, così come da altre strutture della Comunità, annunciata lunedì scorso dal presidente del parlamento moldavo, Igor Grosu.

Shor ha dichiarato che proprio la vittoria di Evgenija Gutsul ha spinto i circoli dominanti moldavi a tale decisione. «Capisco la loro frustrazione e disperazione, ma questo non giustifica la vendetta sulla loro stessa gente. Poiché questo è ciò che significa l’uscita dalla CSI».

Questo è ciò che si pretende colà dove si decide ed è così che Maia Sandu ha annunciato ufficialmente l’adesione della Moldavia al cosiddetto “Registro dei danni causati dall’invasione russa dell’Ucraina”. UE e NATO sono sempre più vicine.

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04/03/2023

Sulla Moldavia soffiano venti di guerra. Qual è la situazione nell’area

Dall’ascesa al potere della atlantista, antirussa e sorosiana Maia Sandu, un intreccio di provocazioni, minacce e politiche incendiarie, riguardanti, prima la contraddizione inerente la Pridnestrovie e ora l’arruolamento al fianco della NATO e del governo golpista di Kiev, stanno portando il paese in una situazione esplosiva.

A giudicare dalla continua attivazione delle forze armate ucraine in direzione della Pridnestrovie, gli sponsor occidentali del regime golpista di Kiev hanno deciso di accelerare risolutivamente la questione con questa piccola Repubblica, cercando così di liquidare questa “anomalia” per Moldavia e Ucraina. Effettivamente, la decisione di liquidare la Repubblica Moldava Pridnestroviana (PMR) era stata presa negli Stati Uniti qualche tempo fa, come rilevato dall’inizio della preparazione militare delle Forze Armate dell’Ucraina. Ma con il discorso bellicista di Biden a Varsavia la scorsa settimana, le dinamiche militari stanno marciando.

La posizione di questa enclave sembra militarmente disperata, ma in determinate circostanze tutto può cambiare radicalmente. Sicuramente una simile dinamica allargherebbe la crisi ucraina portandola sempre più verso occidente, con tutto ciò che ne conseguirebbe, in tutti i campi.

Stante la situazione incandescente nella regione, il 14 febbraio scorso l’attuale presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il ministro degli Affari esteri della Macedonia del Nord, B. Osmani, si è recato a Chisinau e Tiraspol, per cercare di stemperare i toni di guerra, che ormai permeano, negli ultimi mesi le dichiarazioni del governo moldavo, tenendo riunioni ufficiali su entrambe le sponde del Dniester.

Osmani ha invitato Moldavia e Pridnestrovie a riprendere i negoziati in formato bilaterale e nel formato internazionale 5 + 2 (Moldavia, Pridnestrovie, OSCE, Russia, Ucraina e osservatori degli Stati Uniti e dell’UE), che non si tiene dall’anno 2019, e ha anche espresso la disponibilità ad aiutare a organizzare un simile incontro a Skopje, pur dichiarandosi molto preoccupato per la provocante “legge sul separatismo” moldava, che complica ulteriormente i rapporti tra Chisinau e Tiraspol.

Infatti è stata presentata al parlamento moldavo, una proposta di legge per inserire nel codice penale della Moldavia, un articolo “sul separatismo“, insieme ad altre appendici arroganti, diretto non solo contro i pridnestroviani, ma anche contro la regione autonoma della Gagauzia, contro qualsiasi forza di opposizione e cittadini dissidenti, che attualmente vengono dati a quasi il 70% della popolazione in Moldavia (naturalmente esclusa la diaspora).

La Sandu temporeggia per firmare la legge e nel frattempo dispiega un apparato repressivo, perché è cosciente che potrebbe essere un azzardo e trovarsi il paese contro.

Dopo le continue provocazioni e atti ostili delle autorità di Chisinau in questi mesi contro la Pridnestrovie, che sono indirizzati verso una guerra, la Russia ha approvato un decreto che annullava la decisione del 2012, che implicava, tra l’altro, “la partecipazione attiva alla ricerca di modi per risolvere il problema della Transnistria basati sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dello status neutrale della Repubblica di Moldavia nel determinare lo status speciale della Transnistria“, che fino ad oggi era stata mantenuta come posizione diplomatica e di compromesso per favorire forme negoziali e pacifiche.

È ormai evidente a tutti gli esperti e osservatori, anche occidentali, che le autorità moldave, sotto mandato della NATO, stanno deliberatamente fomentando un conflitto con la Transnistria per coinvolgervi la Russia.

Il giorno prima di questo decreto, il presidente dell’Ucraina Zelensky aveva fatto l’ennesimo tentativo di coinvolgere la Moldavia in uno scontro militare con la Russia, rilasciando una serie di dichiarazioni su un imminente colpo di stato armato in Moldavia “con la partecipazione di cittadini di Russia, Bielorussia, Serbia e Montenegro”, e sul desiderio di Mosca di sequestrare l’aeroporto di Chisinau e utilizzarlo come base di trasbordo, subito rilanciato dal governo europeista moldavo, creando anche il panico nella popolazione.

Nei giorni seguenti, tuttavia, la Sandu ha dovuto porgere scuse ufficiali alle autorità di Serbia e Montenegro. L’opposizione del paese denuncia che la presidente Sandu e il nuovo primo ministro Dorin Recean, non sono politici sovrani, ma sono manovrati dagli Stati Uniti, e Washington cerca di indebolire la posizione della Russia aprendo un “secondo fronte in Moldavia”, scrivono molti giornali e media russi.

Che tutto sia pronto per il braccio di ferro lo testimonia anche la dichiarazione del nuovo ministro dell’Energia della Moldavia, Viktor Parlikov, che ha annunciato l’intenzione del governo moldavo di rivedere tutti gli accordi con la russa Gazprom e la Moldavskaya GRES, situata in Pridnestrovie.

La visita di 19 deputati del partito di governo Azione e Solidarietà all’ufficio dell’Alleanza NATO a Bruxelles è la dimostrazione che la dirigenza della Moldavia ha intrapreso con forza la rotta verso l’abbandono della neutralità e l’adesione alla NATO. Il deputato della fazione al potere, Mihai Popsoi, ha affermato che la maggioranza del popolo moldavo non vuole entrare nella NATO perché “avvelenato dalla propaganda russa“.

In questa fase si sta dipanando una situazione aggrovigliata, da un lato ci sono le strategie di Stati Uniti, NATO, UE e Russia, attori visibili della crisi locale, che a parole sostengono il formato 5 + 2, ma dietro le quinte sta lavorando l’intelligence britannica, che sta giocando una partita a sé, pur non facendo parte in alcun modo del format 5+2.

La domanda di ogni attento osservatore e conoscitore dell’area è: quanto è forte l’influenza di Londra nella regione? Si sa del potenziale della diplomazia americana, l’influenza della Germania che è sempre stata piuttosto forte e nel 2022 anche la Francia si è ricavata un ruolo significativo nella realtà moldava.

Un dato è certo e da tenere in considerazione, gli inglesi lavorano in Moldavia da decenni. Inoltre, svolgono questo lavoro principalmente “sotto traccia” e non cercano pubblicità.

Molti esperti hanno sottolineato che oggi l’interesse di Londra è l’espansione della zona di conflitto nella regione, perché questo indebolirebbe l’Europa e farebbe aumentare il peso della Gran Bretagna. In questo disegno ha due alleati chiave: Polonia e Ucraina, ed ora anche l’attuale governo di Chisinau, si è orientato verso questa prospettiva, che coincide pienamente con gli interessi degli inglesi. Anche se molti settori delle élite e potentati finanziari anche del partito PAS, non sembrano voler combattere contro la Transnistria e la Russia. Ultimamente gli inglesi hanno visitato Chisinau, probabilmente per spingere fortemente la Sandu verso la guerra.

Casualmente il nuovo Primo Ministro della Moldavia, Dorin Recean, ha più volte affermato la necessità della “smilitarizzazione” della Transnistria: “questa regione ha bisogno di smilitarizzazione e la popolazione ha bisogno di integrazione sociale ed economica con la Moldavia. Non possiamo chiudere un occhio davanti al pericolo. Abbiamo bisogno della smilitarizzazione della Transnistria, della smilitarizzazione della popolazione locale”.

C’è una domanda non retorica ma sostanziale: è possibile smilitarizzare la Transnistria con mezzi pacifici senza iniziare una guerra, come sostiene il nuovo capo del governo moldavo?

Il problema principale di Chisinau, è che da sola non è in grado di svolgere tale compito. La sicurezza della RMP (Repubblica Moldava Pridnestroviana) è fornita dalle proprie forze armate, oltreché da un contingente limitato di militari e caschi blu russi.

Teoricamente, è possibile, se si costringesse, magari corrompendola, la leadership della Pridnestrovie a una qualche forma di vergognosa capitolazione. Ma il popolo pridnestroviano non accetterà mai un simile scenario.

Forse a Washington e Kiev credono che la leadership della RMP possa imporre con la forza qualsiasi volontà al proprio popolo, ma questa è un’illusione, data la coesione della popolazione locale. Inoltre, a Tiraspol, come ormai nel resto del mondo, sanno bene che non ci si può fidare di nessuna promessa fatta in Occidente, avendo osservato le vicende del Donbass negli otto anni fino al 2022, sanno benissimo che con l’arrivo dei battaglioni neonazisti ucraini, non ci sarebbe pietà per nessuno.

Ecco allora che si paventano alcuni scenari possibili, uno è quello indicato dal capo del dipartimento dell’Istituto dei Paesi della CSI, Kirill Frolov, secondo cui Mosca non avrebbe altra scelta che riconoscere immediatamente la Repubblica Moldava Pridnestroviana: “La minaccia di genocidio di oltre 200.000 cittadini russi che vivono in Transnistria è una realtà. Inoltre, la Russia non ha altra scelta dopo la pubblica dichiarazione di guerra a Mosca da parte di Biden, che ha annunciato il 21 febbraio l'intenzione di processare Putin e la leadership russa. Ma ci sono forti motivi legali per riconoscere la RMP, come una serie di referendum già effettuati per la riunificazione con la Russia“, ha detto in un commento per i media.

La dimensione dell’esercito pridnestroviano è stimata in circa 10.000 militari, la riserva di mobilitazione civile è di circa 80 mila persone. La base delle forze armate della Repubblica sono quattro brigate di mezzi motorizzati, tra cui una unità di élite, tre battaglioni di mezzi con mitragliatrici di quattro compagnie ciascuno, oltre a una batteria di mortai, un plotone del genio militare e altre unità speciali, con quattro battaglioni e varie unità di supporto.

Va sottolineato che l’armamento non è di livello moderno. Solo circa 20 carri armati sono di livello alto, poi ci sono da 100 a 200 autoblindo corazzati, alcune decine di cannoni trainati e semoventi, un gran numero di mortai e circa 40 lanciarazzi multipli BM-21.

La fanteria è dotata di lanciagranate con propulsione a razzo e sistemi anticarro. Il sistema di difesa aerea è rappresentato da vecchie installazioni ZSU-23-4 e MANPADS, quindi si può dire abbastanza sorpassati.

Il numero del gruppo operativo delle Forze speciali russe di pace presenti in Transnistria è stimato in circa 2/3 mila militari. Il contingente russo non dispone di moderni sistemi di difesa aerea e armi da attacco pesante, la possibilità della loro consegna all’enclave, fu bloccata già molto tempo fa da Chisinau e Kiev.

In caso di attacco con aerei, con o senza equipaggio, nonché lanciarazzi MLRS a lungo raggio, e con tale armamenti, le forze di terra pridnestroviane, verrebbero spazzate via quasi senza rischi e grandi perdite dagli invasori ucraini. Mentre va sottolineato che la Moldavia non ha tali possibilità.

Infatti il vero problema è al confine della RMP con l’Ucraina, dove si sono concentrati in queste ultime settimane forze speciali d’urto delle forze armate ucraine con un numero stimato di oltre 20.000 militari, in gran parte formate dai neonazisti integrati nell’esercito ucraino e questo è osservato con forti preoccupazioni a Tiraspol e non solo. Ma per la Pridnetrovie esiste la possibilità di salvezza per i depositi della base militare di Kolbasna, di cui tratterò specificatamente.

Quali sono gli scenari possibili, secondo analisti ed esperti militari sul campo?

Sulla base della situazione indicata sopra, uno scenario è quello che le truppe locali e le forze di pace russe possono riuscire a organizzarsi con l’obiettivo di evitare perdite di civili, utilizzando la potenzialità distruttrice presente nei depositi di Kolbasna con ogni sorta di armamento lì accumulato dai tempi dell’URSS.

Oppure resistere alle forze armate ucraine numericamente superiori, unificando il comando tra le forze russe e l’esercito pridnestroviano, che avrebbe costi umani elevatissimi.

Nei fatti la domanda è come in pratica sia possibile garantire la sicurezza della RMP, se l’Ucraina attacca realmente con l’obiettivo predominante di distruggerla.

Secondo gli osservatori e militari, prima di tutto la Transnistria deve pensare alla propria salvezza contando sul coinvolgimento della Russia in caso di attacco ucraino. Per questo nelle analisi sui media di studi militari russi si ritiene che Tiraspol deve, in primo luogo iniziare subito a mobilitarsi, chiamando sotto le armi chiunque sia in grado di combattere.

In secondo luogo, sempre secondo scenari ipotizzati dagli esperti militari, il Ministero della Difesa della Federazione Russa dovrebbe concentrarsi con attacchi preventivi contro il raggruppamento delle forze armate ucraine al confine con la Pridnestrovie, attaccandone i depositi e altre infrastrutture, per mettere fuori combattimento e disorganizzare il più possibile la forza d’urto ucraino prima che attacchi la RMP.

In terzo luogo se il regime di Kiev decidesse comunque di intraprendere azioni aggressive contro Tiraspol, questa avrà il diritto di considerarsi in stato di guerra con l’Ucraina, con tutte le conseguenze sul piano di alleanze ed accordi internazionali.

Un dato è certo, se dovesse concretizzarsi questa aggressione i costi in vite umane sul terreno, saranno altissimi, con il risultato che la Russia dovrà sicuramente forzare le sue strategie e dare priorità all’avanzata verso Odessa e la costa, per il semplice fatto che dal confine meridionale della RMP all’estuario del Dniestr nel Mar Nero, la distanza in linea retta è di soli 30 chilometri.

Naturalmente resta la possibilità (e la speranza) che NATO, USA e i paesi occidentali, veri attori della crisi ucraina, fermino questo scenario devastante di allargamento del conflitto, anche perché sia Chisinau che Kiev, stanno giocando con il fuoco e con la loro distruzione dispiegata.

Fonte

02/03/2023

Cos’è la Pridnestrovia/Transnistria nel mirino della Nato

In conseguenza della situazione in Ucraina e dei tentativi di destabilizzazione del governo atlantista e filo NATO della Moldavia, in queste ultime settimane la tensione nella regione moldava è a livelli altissimi con enormi potenzialità di sfociare in una situazione di guerra.

Con queste sintetiche documentazioni e informazioni, intendo contribuire a dare alcuni sommari dati storici e elementi per far comprendere la realtà pridnestroviana, un nodo geopolitico irrisolto che si trascina da 33 anni.

La Pridnestrovie una piccola realtà dell’Europa orientale, sempre più sottoposta ad una aggressione politica, economica, militare e spesso violentemente mediatica.

La questione Transnistria rappresenta una situazione indubbiamente complessa, delicata ed anche dolorosa, trattandosi di popoli fratelli. Ritengo che sia utile come compito informativo e storico, portare una informazione corretta e far conoscere documentazioni e storia di quella parte della contraddizione, rappresentata dalla piccola Repubblica Moldava della Pridnestrovie.

Una realtà che è considerata uno degli “stati canaglia” dall’imperialismo, dalla NATO e dalle forze liberiste occidentali, per questo è sottoposta ad un pesante embargo e sanzioni commerciali da decenni.

Negli ultimi anni molte ONG e la Fondazione Soros hanno intensificato campagne mediatiche in Internet, su riviste e in convegni internazionali, i cui echi sono arrivati fino in Italia. Le motivazioni sono le solite di sempre, che vanno bene per ogni occasione: diritti umani, corruzione, violazione delle regole della comunità internazionale, mancanza di “democrazia”, traffici illeciti, non disponibilità alla NATO, ecc. ecc.

La memoria va immediatamente a Serbia, Iraq, Bielorussia, Afghanistan, Zimbabwe, Libano, Siria, Libia, Yemen, Cuba, Grenada, Venezuela, Nicaragua, Eritrea, Iran, Corea Nord, ecc. ecc. Questo dovrebbe già essere sufficiente per porsi domande e cercare di capire qualcosa di più, nulla di più di questo… ma almeno questo, poi ciascuno si farà una sua opinione.

Un lavoro di dare voce a chi viene “silenziato” conoscendo bene quali sono i meccanismi devastanti della messa in isolamento di una realtà, di un paese e di un popolo, partendo come sempre dal presupposto politico e concettuale di lavorare per la solidarietà e soluzioni pacifiche delle contraddizioni geopolitiche tra i popoli.

Ed anche in questo caso ciò che auspichiamo è un processo di soluzione graduale e pacifica delle problematiche tra le leadership della Moldavia e della Transnistria, come era stato fino all’arrivo del nuovo governo atlantista e liberista della Maia Sandu, ex funzionaria della Banca Mondiale e affiliata alla Fondazione Soros.

Informazioni storiche generali sulla Repubblica Moldava Pridnestrovie

Area Totale 4,163 kmq. Perimetro 851 km. Popolazione 800,000 (Moldavi 34%, Russi 28%, Ucraini 26%). Lingue Ufficiali: Moldavo, Russo, Ukraino. Moneta Rublo Trans-Dniester – Capitale – Tiraspol

Breve storia

Nell’estate del 1989, forze nazionaliste moldave che si rifacevano al fascismo romeno, anticomuniste e antislave, sostenute e finanziate dai circoli imperialisti occidentali, avevano preso in mano la situazione nel paese, occupando il vuoto di potere creatosi con l’indipendenza dall’URSS, della ex Repubblica Socialista Sovietica della Moldavia, teorizzando l’espulsione della popolazione russofona e l’integrazione con la Romania del post socialismo.

Quando i nazionalisti moldavi a Chisinau e in altre città moldave iniziarono a gridare nei loro raduni che tutti i non-moldavi venissero deportati, divennero evidenti i loro programmi anti-slavi, e quando la leadership della nuova Moldavia post sovietica, stabilì la creazione di uno stato etnicamente puro e la rottura violenta con l’Unione Sovietica, la popolazione della Transnistria insorse contro l’aggressivo nazionalismo militante.

Vennero creati dei Consigli Locali delle Collettività dei lavoratori e altre organizzazioni sociali per dirigere la resistenza contro il nazionalismo sciovinista moldavo-rumeno. Nella regione ci fu una risposta unita e concorde, con manifestazioni di piazza e scioperi contro le leggi discriminatorie introdotte dalle autorità di Chisinau.

Ma il nazionalismo in Moldavia cresceva. La nuova leadership Moldava adottò una serie di leggi e decreti che tentarono di imporre la Moldavia come un secondo stato rumeno. Il rumeno venne dichiarato lingua ufficiale, venne introdotto l’alfabeto rumeno al posto di quello cirillico usato tradizionalmente in Moldavia, e la bandiera rumena, il tricolore, divenne la bandiera ufficiale della Repubblica Moldava. L’inno rumeno veniva trasmesso ogni mattina alla radio nazionale.

Gli slogan del cosiddetto Fronte Popolare iniziarono a diventare realtà. Dmitry Matyushin, ucciso a Chisinau solo perché parlava russo, fu la loro prima vittima. I deputati del Trans-Dniester del Consgilio Supremo della Moldavia vennero ostracizzati sia politicamente che fisicamente. Il risultato fu che lasciarono il Parlamento moldavo per formare il Consgilio Supremo provvisorio della Repubblica Moldava del Trans-Dniester, Transnistria.

Le politiche sconsiderate della leadership moldava di allora, formata per la maggior parte da rappresentanti del Fronte Popolare, accelerarono il processo di ristabilimento di uno stato autonomo nel territorio del Trans-Dniester.

In seguito, il governo della Moldavia tentò di risolvere le contraddizioni con la violenza. A partire dal 1990, ci furono vari tentativi di risolvere il conflitto con la Transnistria con atti di forza, che portò a numerose perdite tra la popolazione civile.

La guerra civile lanciata dalla Moldavia nel 1992 fu il culmine della violenza reazionaria nazionalistica, in questo contesto si scatenò una breve ma dura guerra civile, che tra marzo e giugno provocò circa 1.500 morti tra i due fronti, l’intervento delle truppe della quattordicesima armata russa di stanza nella parte transnistriana, pose fine al conflitto e permise alla piccola neonata Repubblica di non essere invasa dalle forze reazionarie scioviniste dell’epoca.

Durante la guerra, ci furono 800 morti e 3.000 feriti della Pridnestrovie, ma anche gravi danni materiali, dato che la guerra si svolse nel suo territorio.

Il popolo del Trans-Dniester, che stava combattendo per difendere la propria repubblica, ebbe il supporto delle forze patriottiche di tutte le ex-repubbliche sovietiche. La Russia prese parte attiva per fermare le operazioni militari sulle sponde del Dniester e la nuova Moldavia sciovinista e antisovietica, fu costretta a fermare la guerra e iniziare i negoziati.

Il risultato fu la divisione fisica della Repubblica Moldava della Pridnestrovie dalla Moldavia, con un confine amministrativo ma di fatto piantonato dalle due parti, seppure con facilitazioni di spostamento delle persone, che da allora hanno vissuto come due stati indipendenti.

L’esperienza storica della Repubblica Autonoma Sovietica Socialista Moldava (MASSR, 1924-1940) servì come impianto storico per la costituzione dello stato pridnestroviano, dato che è anche situato sullo stesso territorio.

Nel giugno del 1990, gli esponenti sciovinisti di Chisinau dichiararono decaduto e illegale il Patto “Molotov-Rippentropp” e il decreto del Soviet Supremo dell’USSR del 1940 sullo stabilimento della Repubblica Sovietica Socialista Moldava sul territorio della Bessarabia e della RSSM, riconoscendo così legittimo il ristabilimento dello stato nel territorio dell’ex RSSM.

La regione transnistriana situata sulla riva sinistra del fiume Dniestr, la cui popolazione era prevalentemente di origini russe e ucraine, insieme alla stragrande maggioranza dei moldavi lì presenti, si opposero ai processi di distruzione e assimilazioni astoriche, e indirono nell’estate del ’90 un referendum per autonomizzarsi legislativamente da questi eventi; votarono il 95,8 % degli elettori, e il 75,3 % votò per la formazione della Repubblica Sociale Sovietica Moldava della Transnistria.

Il 2 settembre 1990 il secondo Congresso dei deputati transnistriani, proclamò la definitiva nascita della Repubblica Moldava Pridnestrovie (RMP), eleggendo un Soviet Supremo di 50 eletti e I. Smirnov venne eletto come primo suo presidente.

Il nome stesso della Repubblica ha il significato dell’aspirazione dei transnistriani di proteggere e preservare i diritti della comunità moldava, la sua cultura e tradizioni, all’interno delle leggi repubblicane.

La regione è sempre stata fortemente industrializzata e specializzata nella produzione di armamenti pesanti, eredità dell’Unione Sovietica, ma oggi la situazione è di profonde difficoltà, causa la situazione politica difficile, il contestato status giuridico internazionale e un embargo totale.

I confini della RMP sono controllati da truppe di frontiera pridnestroviane e dogane, tutto il territorio della Transnistria è soggetto alla legislazione emanata dalla Costituzione della Repubblica Moldava di Pridnestrovie.

Durante gli anni è divenuto uno stato a tutti gli effetti con un Presidente eletto legalmente, il principale corpo legislativo è il Consiglio Supremo della Repubblica, il governo viene eletto e diretto dal Presidente, con una Corte di Giustizia, mass media con Radio, TV e giornali, con una propria bandiera, un Esercito, un corpo di polizia e un Inno nazionale.

La Costituzione della RMP, adottata da un referendum nazionale nel 1996, stabilisce che la “Repubblica Moldava di Pridnestrovie è uno stato indipendente, sovrano, democratico, legale”. La Costituzione stabilisce anche che nella Repubblica sono riconosciuti e protetti equamente i diritti politici, religiosi e delle minoranze, le proprietà di diversi tipi: proprietà dello stato, proprietà privata, e altre.

Nel Referendum del 2006, quasi il 98% degli elettori ha appoggiato il percorso per l’indipendenza.

I maggiori partiti rappresentati nel Consiglio Supremo sono il Partito della Repubblica che ottiene mediamente l’80% dei voti, poi ci sono due Partiti Comunisti (PKPe PKC) con l’8%, il Partito Indipendente con il 4% e il Partito del Rinnovamento con il 2%.

In questi decenni si sono svolte molte trattative con la Repubblica Moldava, intensificatesi negli anni delle presidenze comuniste e socialiste, con la presenza di organismi internazionali tra cui l’OSCE, per trovare una soluzione alle controversie, dirimere le divergenze e ritrovare prospettive di collaborazione pacifica e congiunta. Purtroppo negli ultimi anni con le presidenze atlantiste e filo NATO dei governi della Maia Sandu, tutto si è fermato e sono riprese politiche provocatorie, ostili e di aperto scontro, fino ad arrivare ai giorni nostri, con venti di nuove ostilità e guerra.

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Moldavia - Scontri tra manifestanti e polizia. La maggioranza della popolazione non vuole il coinvolgimento nella guerra

Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Chisinau, capitale della Moldavia, chiedendo le dimissioni del governo della presidente Maia Sandu (filo Nato e filo Ue) e le elezioni anticipate.

Una parte del corteo ha cercato di fare irruzione nella sede del governo: dopo essere stati fermati dalla polizia, i dimostranti si sono diretti verso il municipio della città. I manifestanti, sostenitori dell’opposizione, hanno bloccato una delle strade di ingresso a Chisinau.

Nella capitale della Moldavia è in corso da ieri un’altra protesta di massa contro l’aumento dei prezzi e delle tariffe, i manifestanti chiedono al governo di pagare le bollette invernali per il riscaldamento e l’elettricità, e chiedono anche le dimissioni del presidente Maia Sandu e del governo.

Inizialmente l’azione si sarebbe svolta nella piazza davanti all’ufficio del sindaco, ma martedì mattina l’amministrazione di Chisinau ha annunciato la limitazione dei trasporti e dell’accesso delle persone al centro città fino al 2 marzo, anche per lo svolgimento di manifestazioni di massa.

Gli organizzatori hanno deciso di non annullare la manifestazione e di marciare lungo la via principale della capitale. Sulla strada per la piazza centrale, la colonna di manifestanti è stata fermata da un cordone di polizia.

Scontri con la polizia si sono registrati anche nelle strade di accesso a Chisinau, dove le forze dell’ordine hanno bloccato gli autobus con i manifestanti diretti al centro della città che hanno cercato di sfondare i cordoni della polizia.

La Moldavia sta vivendo una grave crisi a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia, le tariffe del gas sono aumentate di quasi sette volte nel 2022 e circa quattro volte quelle dell’elettricità. Secondo gli esperti, a Chisinau le spese dei consumatori ordinari sono aumentati di sette volte dallo scorso novembre.

Il partito “Shor” lo scorso anno ha organizzato azioni antigovernative di massa insieme ai comunisti, che in parlamento fanno parte di un unico blocco con il partito dei socialisti. I manifestanti sono indignati per l’aumento senza precedenti dei prezzi del gas, delle altre risorse energetiche e del cibo, nonché per l’elevata inflazione e il calo del tenore di vita. I manifestanti hanno accusato le autorità di non essere riuscite a far fronte alla crisi, indicando un’inflazione record negli ultimi 20 anni, che a settembre ammontava al 33,97 per cento su base annua.

La leadership del Paese è criticata anche per la sua riluttanza a negoziare migliori prezzi del gas con la Russia e per gli attacchi contro i partiti di opposizione. Le autorità moldave hanno più volte chiesto la liquidazione del partito Shor, accusandolo di finanziamento illecito.

Secondo il sondaggio condotto a febbraio da IMAS per i media pubblici la maggior parte dei cittadini moldavi ritiene che Chisinau dovrebbe rimanere neutrale sugli eventi in Ucraina, Secondo i risultati del sondaggio presentati lunedì nella capitale, il 73% degli intervistati ha affermato che la decisione migliore per la Moldavia in questa situazione è mantenere la neutralità, mentre il 20% ha affermato che il paese deve aderire a un’alleanza militare.

Il sondaggio ha mostrato che il 60% degli intervistati è preoccupato per la possibilità che il conflitto ucraino si estenda al territorio della repubblica e il 29% ha dichiarato di non ritenere che l’azione militare si estenderà alla Moldavia.

Per quanto riguarda l’esito del conflitto in Ucraina, il 48% degli intervistati ha affermato che l’azione militare dovrebbe cessare il prima possibile, anche se ciò prevede concessioni territoriali da parte di Kiev. Il 24% degli intervistati ha affermato che l’Ucraina dovrebbe vincere e la stessa percentuale (24%) ha dichiarato di non essere d’accordo con entrambe le affermazioni.

Il 91% degli intervistati ha dichiarato che l’esercito moldavo non è in grado di difendere il paese. Allo stesso tempo, il 62% degli intervistati non è d’accordo con l’aumento del budget del Ministero della Difesa e il 34% ha dichiarato di sostenere questa decisione. Il 41% degli intervistati ha affermato di ritenere che il numero delle forze armate della Moldavia dovrebbe aumentare, il 37% ha affermato che dovrebbe rimanere invariato e il 12% ha affermato che dovrebbe diminuire.

Il 55% degli intervistati si è espresso contro l’uscita della Moldavia dalla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) (il 32% si è detto favorevole), il 69% si è detto contrario alla rottura dei legami economici con la Russia (il 24% si è detto favorevole), e il 70% si è detto contrario alla rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia (il 22% si è detto favorevole).

Il sondaggio è stato condotto dal 6 al 23 febbraio. Esaminando 1.100 intervistati e il margine di errore è del 3%.

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16/02/2023

Chi piazza spauracchi nei campi seminati della Moldavia?

I piani yankee hanno questo di caratteristico: sono quasi sempre abbastanza prevedibili; anche se per questo non meno pericolosi. La traiettoria che avrebbe preso la Moldavia era ben pronosticabile già da qualche anno. Oggi quel corso sembra accelerarsi.

Prima ancora che diventasse Presidente, a fine 2020, e prima ancora che entrasse in carica quale primo ministro, nel 2019, la Presidente moldava, Maia Sandu, aveva fornito sufficienti prove di fedeltà: ex Ministro per l’istruzione, laureata alla Harvard Kennedy School of Government del Massachusetts, ex Consigliere alla direzione esecutiva della Banca mondiale, protégé della fondazione “Soros” e dell’ambasciata USA e leader di un movimento schierato a favore di UE e Nato.

Le elezioni parlamentari del febbraio 2019, giocate praticamente sul terreno della “eurointegrazione” e dell’avvicinamento alla NATO, avevano fornito pericolose ulteriori avvisaglie sulla stabilità dell’allora Presidente Igor Dodon, considerato, non proprio a ragione, filo-russo. Il via era stato dato da tempo e la strada era segnata: se all’epoca, a finire nel mirino era l’opposizione comunista, oggi è addirittura quella moderata.

Lo schema è quello sperimentato: si grida al tentativo di colpo di stato “organizzato da Mosca” – la soffiata verrebbe da fonte del tutto irreprensibile: Vladimir Zelenskij (non ridete...) che ne aveva parlato il 9 febbraio intervenendo al Consiglio d’Europa – che mirerebbe a «rovesciare l’ordine costituzionale e sostituire il potere legittimo di Kišinev con uno illegittimo», per poter disporre di un pretesto per introdurre una appropriata “legislazione” securitaria e attrezzarsi per gli ulteriori ordini che arriveranno da ovest.

Se qualche mese fa nel mirino degli “attenti al lupo” della diligente Maia era finita la Transnistria (anche questa, ca va sans dire, troppo vicina a Mosca) oggi tocca alla Serbia, accusata di far comunella con Mosca per la «distruzione dell’ordine democratico» moldavo; bisogna pur in qualche modo convincere Vucic a prender finalmente posizione: o con la “democrazia” o con il Cremlino.

Nella cricca “complottista”, ci sarebbe stato anche il partito “Shor”, non esattamente una formazione rivoluzionaria (fa capo all’affarista Ilan Shor, compromesso con la scomparsa di un miliardo di dollari dalle casse statali, che aveva portato alle proteste di massa del 2015) che però controbatte e accusa Sandu di usurpazione del potere, per il piano di rivolgersi al Parlamento, chiedendo l’attribuzione di pieni poteri ai Servizi di sicurezza e altre strutture di polizia «per impedire la destabilizzazione del paese».

La vice presidente di “Shor”, Marina Tauber, accusa Maia Sandu di voler imbavagliare, col pretesto dell’attentato “all’ordine costituito”, le proteste organizzate dal “Movimento per il popolo” contro gli aumenti dei prezzi energetici a causa della rinuncia alle fonti russe: il gas aumentato di sette volte e l’elettricità di quattro.

Tra gli scontenti moldavi, anche buona parte del settore agricolo, privato di un largo mercato di sbocco verso la Russia e messo di fronte a un “mercato” europeo chiuso alla produzione moldava. Ma anche le proteste, a detta di Maia, rientrerebbero nel “disegno eversivo”.

Secondo la “versione Sandu”, nel corso delle proteste, agenti russi, bielorussi, serbi e montenegrini, infiltrati tra le squadre di soccorso inviate in Turchia – la malignità degli aiuti russi: lo sanno al PD? – si sarebbero introdotte in Moldavia, dando l’assalto a edifici governativi moldavi e catturando ostaggi. Ovviamente, un aiuto esterno sarebbe arrivato anche dall’oligarca e ex leader del PD moldavo, Vladimir Plahotniuc, da tempo fuggito all’estero.

Un piano che, manco a dirlo, avrebbe dovuto «fermare il processo di eurointegrazione e mettere a disposizione il territorio moldavo per azioni contro l’Ucraina»: parola di Maia Sandu. Così, Maia rimuove il Presidente del consiglio e nomina al suo posto quel Dorin Recean, oggi segretario del Consiglio di sicurezza, ma che all’epoca dello scandalo del miliardo scomparso, come Ministro degli interni, non aveva “visto nulla”.

Il Blocco Comunisti-Socialisti (Blocul Comuniștilor și Socialiștilor) ha chiesto di sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate e ha anche denunciato il tentativo di inasprire le repressioni contro l’opposizione, volte a coinvolgere la Moldavia nel conflitto ucraino.

Ne aveva accennato pochi giorni fa anche il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, parlando anche dei disegni di unione (o inglobamento) della Moldavia alla Romania, membro della NATO. Lavrov aveva ricordato che Sandu rifiuta di proseguire i colloqui “5+2” (Moldavia, Transnistria, Russia, Ucraina e OSCE, con USA e UE come osservatori), avendo in mente soluzioni militari nei confronti di Tiraspol.

Il diplomatico russo Aleksej Polušchuk ha dichiarato che a Ovest si spinge Kišinëv ad abbandonare lo status di paese neutrale, previsto dalla Costituzione: la stessa cosa era avvenuta a suo tempo per Kiev.

A parere del politologo Andrej Suzdal’tsev, Sandu sta facendo il gioco di Zelenskij, interessato alle grosse riserve di armamenti rimaste in Moldavia dall’epoca sovietica e cerca ogni mezzo per entrarne in possesso: una destabilizzazione nel paese è quello che occorre non solo a Kiev, ma anche ai piani dell’Occidente, interessato ad accaparrarsi «l’ennesimo potenziale nemico della Russia».

Al Ministero degli esteri moldavo si parla di Mosca come origine dei problemi con cui è alle prese il paese, sullo sfondo del conflitto in Ucraina; per questo, è necessaria la piena «solidarietà dei nostri amici, per superare i molti problemi ibridi che ci stanno di fronte». Così, Kišinëv è interessata «al rafforzamento della nostra stabilità, anche per mezzo della NATO, del piano individuale di partnership con la NATO, di programmi di sviluppo professionale e altre iniziative».

Già nel maggio dello scorso anno, in un’intervista a PRO TV, Sandu aveva espresso «interesse» a ottenere armamenti occidentali, sostenendo che lo status neutrale non garantirebbe il paese dai rischi di attentati alla sua integrità territoriale.

A luglio, fonti del Ministero della difesa avevano rivelato al sito Newsmaker che il paese stava già ricevendo armi leggere occidentali, ma è interessato anche a artiglierie ed elicotteri.

A settembre, lo stesso Dorin Recean aveva dichiarato che per la Moldavia non è più possibile contare sulla neutralità e deve rafforzare il proprio potenziale difensivo.

A dicembre, il direttore del Servizio di informazione e sicurezza Alexandru Mustiata aveva detto a TVR Moldova che «la questione non è “se” la Russia effettuerà un nuovo attacco, al territorio moldavo, ma “quando” questo avverrà: a inizio anno, gennaio-febbraio, oppure più tardi a marzo-aprile», con l’obiettivo di unirla alla Transnistria.

Così che, a ben vedere, al Consiglio d’Europa Vladimir Zelenskij non ha “rivelato” nulla di nuovo. Da attore studiato, si è limitato a seguire la sceneggiatura e ripetere sul palcoscenico le perentorie indicazioni della regia, che non è né moldava, né ucraina.

Il deputato del Partidul Comuniștilor din Republica Moldova, Konstantin Starish, in maniera sarcastica, ha detto che le dichiarazioni di Maia Sandu sul presunto imminente colpo di stato, gli sono giunte mentre stava leggendo il racconto fantastico di Vladimir Sorokin sul “Cinghiale Gambit”: il delirante presidente di un piccolo paese europeo, che scioglieva gli avversari nell’acido. Nel racconto, si parla di super droni, indistinguibili da corvi, a caccia del presidente.

Ora, in cosa si differenziano «i droni-corvi dai “militari ceceni”, inviati in Turchia mascherati da soccorritori, per poi esser trasferiti in Moldavia?» si chiede Starish; e conclude: «il genere di Sorokin è la fantasmagoria letteraria, che non è diversa dalle dichiarazioni della Sandu».

L’ex Presidente e leader del Partito socialista, Igor Dodon, ha detto che la sortita di Maia Sandu su una possibile destabilizzazione del paese, su sabotatori e ostaggi, non è che pura speculazione. Maia cerca di spaventare le persone con degli spauracchi, nella speranza di risollevare il proprio rating. Dodon ha lanciato un appello alla popolazione per l’organizzazione di proteste di massa contro i piani di Maia Sandu e dei suoi curatori UE-NATO.

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