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17/08/2025

Trump-Putin, summit inconcludente? No, summit in cui l’Ucraina è finita sullo sfondo

di Fulvio Scaglione

Trump e Putin sembravano molto soddisfatti, ripetevano che l’incontro era stato molto produttivo e non smettevano di farsi complimenti. Però la gran parte dei media scrive e dice che il summit di Anchorage si è concluso con un nulla di fatto e che in fondo è stato inutile se non per Putin, che così è stato riammesso nell’agone della grande politica internazionale. Ma siamo proprio sicuri che sia così?

Fatto salvo il pieno diritto degli ucraini a criticare l’idea stessa di un summit convocato senza di loro per parlare di una guerra che invece si combatte in casa loro, a me pare che il giudizio sull’inconcludenza del summit sia velato dal solito problema degli europei: quello di scambiare i desideri per fatti. La ragione principale per cui, oggi, molti osservatori giudicano il summit fallito è che l’incontro Trump-Putin non ha portato a un cessate il fuoco. Questa era l’idea di Zelensky (ovvio e giusto) e dei leader europei: PRIMA il cessate il fuoco e DOPO le trattative. Il cessate il fuoco non è stato pattuito quindi il summit è fallito, questo il ragionamento.

Ma se c’era una cosa che di sicuro Putin non avrebbe mai sottoscritto, questa era il cessate il fuoco. Proviamo a metterci nei panni dei russi. Invadono l’Ucraina con quattro soldati nella convinzione che Zelensky sarebbe scappato, vedono che Zelensky non scappa e gli ucraini resistono, già nel 2022 propongono trattative che gli europei cercano in ogni modo di sabotare, subiscono una controffensiva ucraina micidiale, si riprendono, ricominciano ad avanzare, conquistano il 100% delle regioni di Donetsk e Luhansk, si prendono la parte più importante di Zaporizzjjia, controllano una parte della regione di Kherson, vedono ora l’Ucraina in grande difficoltà e dovrebbero concedere, proprio adesso, un cessate il fuoco? Perché lo chiedono gli europei che in questi tre anni hanno emesso migliaia di sanzioni economiche, rifornito con tutte le armi possibili l’Ucraina, mandato i loro consiglieri militari a lavorare contro le truppe russe e dichiarato le mille volte che mai e poi mai i rapporti con la Russia potranno essere normalizzati? Ma vi pare che tutto questo abbia un qualunque aggancio con la realtà dei fatti?

Della mancanza di realismo degli europei ho parlato già in un recente articolo dedicato al tentativo dei loro dirigenti di dettare condizioni alla viglia di un summit a cui, peraltro, non erano stati invitati. Convocato da un presidente Usa che li aveva appena umiliati con i dazi e con l’obbligo di investire centinaia di miliardi nell’industria americana. E che, prima ancora, gli aveva detto: volete aiutare l’Ucraina? Bene, comprate (COMPRATE) le armi da noi. E loro, Merz, Starmer eccetera, pensavano di dettargli la linea.

Queste considerazioni non hanno nulla a che vedere, ovviamente, con le legittime preoccupazioni degli ucraini e con la loro rabbia, dopo questi anni di sofferenze e sacrifici, nel vedere Vladimir Putin incedere su un tappeto rosso steso ai suoi piedi dai Marines della superpotenza americana. Ma la politica internazionale è questa, e il vecchio detto marxiano per cui le potenze non hanno ideali ma solo interessi è più attuale che mai. Se così non fosse non avremmo la guerra in Ucraina, le stragi di Gaza o, per fare un altro esempio, gli ucraini che aiutano i jihadisti africani purché sparino ai mercenari russi dell’ex Gruppo Wagner.

Quel che sta succedendo è che la crisi ucraina torna laddove era partita, alla sua natura di scontro tra Usa e Russia combattuto sulla terra e sulla pelle degli ucraini. Ascoltiamo bene ciò che dice Putin: a lui l’Europa, una volta che non compra più il suo gas, ha smesso di interessare. È un impiccio, anche grosso, ma non molto di più. Come ha detto durante la conferenza stampa di Anchorage: speriamo che non si mettano in mezzo. Ma il riferimento sono gli Usa e la ripresa di un “normale” rapporto tra potenze. Cosa che interessa anche a Trump che (fatto con Zelensky l’accordo sulle terre rare) non vede l’ora di sbolognare l’Ucraina agli europei per occuparsi d’altro, dal deficit federale all’ascesa della Cina.

Durante il viaggio di ritorno a Washington, Trump ha chiamato Zelensky, i vertici della Nato, della Ue e diversi capi di Governo europei. La telefonata, dicono le fonti americane, è stata “difficile”. E lunedì Zelensky sarà a Washington proprio per incontrare Trump. Allora capiremo meglio qual è stata la sostanza del summit e come Russia e Usa immaginano di risolvere il rebus che vuole Mosca soddisfatta sugli “equilibri di sicurezza in Europa” (ovvero, niente Nato in Ucraina, ridimensionamento delle forze di Kiev, controllo del Donbass e della Crimea) e l’Ucraina al riparo da ulteriori minacce e territorialmente integra (per non parlare delle riparazioni di guerra e molte altre questioni). Ma giudicare inconcludente il summit significa una cosa sola: non aver capito che, ormai, non è più (solo) di Ucraina che si parla. Con tutto ciò che questo purtroppo implica per il dolore degli ucraini.

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