A Gaza non possono entrare i giornalisti, ma è invece permesso l’accesso agli influencer. Sembra un incubo, ma è tutto vero. Il governo terrorista di Netanyahu ha ingaggiato con assegni milionari 10 influencer per raccontare “come si vive bene a Gaza” e “quanto sono generosi e caritatevoli gli israeliani”.
Faccio fatica a capire la logica di questa scelta così platealmente demagogica, così meschina e miserabile. Come dicevo la sensazione è quella dell’incubo e più precisamente dell’incubo in cui si vive dissociati, ovvero come partecipi di un sogno terribile di cui però si è solo spettatori.
Però forse la logica dell’operazione è proprio questa. I video di propaganda israeliani non hanno nessuna credibilità e, anzi, non vogliono essere credibili. Non intendono solo censurare quanto accade. Sono esplicitamente falsi e come tali vogliono apparire.
Intendono esprimere, di fronte all’indignazione mondiale, la volontà di Israele di proseguire nei massacri. Ma intendono anche approfondire quella dissociazione che come occidentali viviamo di fronte alla realtà palestinese, quella di chi gode ancora del benessere e della tranquillità rispetto a chi è costretto alla fame e al terrore.
È la dissociazione di chi sa ma non può agire, quella di chi sul piano della coscienza è consapevole del genocidio, ma sul piano politico non riesce a intervenire perché individualmente è impotente.
Si tratterebbe in questo senso di un tentativo volto a incoraggiare la rimozione del genocidio: una rimozione operata non sul piano della ragione, ma sul piano psichico ed emotivo, come negli incubi.
Questa forma di propaganda non si preoccupa di convincere con argomenti, né di elaborare una narrazione coerente e razionale: ciò che conta è saturare lo spazio dell’immaginazione e produrre una frattura tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo, tra il campo delle nostre possibilità di azione e la realtà concreta di Gaza.
In questo modo l’orrore viene sospinto ai margini della coscienza, trasformato in rumore di fondo, reso “normale” e quindi tollerabile.
In fondo questa logica è la stessa che l’Occidente ha coltivato rispetto al colonialismo e allo sfruttamento che ha praticato (e pratica tutt’ora) in giro per il mondo.
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