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24/08/2025

L’Iran nella morsa del caldo: la prova della verità del settore energetico dopo la guerra con Israele

L’Iran sta sperimentando la seconda durissima ondata di caldo in poche settimane e nuovamente, dopo il precedente di metà luglio, a Teheran e nelle principali città del Paese si sta procedendo a chiusure di uffici pubblici, razionamenti energetici e inviti alla riduzione della mobilità per il combinato disposto tra fragilità nella generazione e riduzione delle precipitazioni che sta mettendo in difficoltà la Repubblica Islamica.

La crisi di caldo dell’Iran e l’energia sotto stress dopo la guerra

Per il terzo anno di fila l’Iran fa i conti con la necessità di dover mettere in pausa l’attività del sistema-Paese per alcuni giorni a causa delle ondate di calore. Teheran, Alborz, Hormozgan e Azerbaigian occidentale sono le province più colpite, ma anche in altre 11 le attività pubbliche sono state ridotte per tutto il fine settimana e fino alla giornata di mercoledì dopo che le temperature avevano sfiorato per più giorni i 50 gradi.

Il duplice stop giunge poche settimane dopo i dodici giorni di guerra con Israele di giugno che hanno visto l’Israel Air Force (Iaf) colpire duramente obiettivi legati al settore energetico su tutto il territorio iraniano. Per quanto l’attenzione degli osservatori si sia concentrata sul nucleare iraniano e sui siti di comando e le unità militari dei pasdaran, messe nel mirino da Tel Aviv, Israele ha colpito duramente impianti di raffinazione, centrali energetiche a gas, giacimenti estrattivi e reti di distribuzione. Dato che uno degli obiettivi (falliti) del governo di Benjamin Netanyahu era provocare con la guerra il collasso della Repubblica Islamica, l’attacco all’energia era ritenuto prioritario come fonte di un possibile shock capace di generare malcontento verso il regime.

Lo si è capito già il secondo giorno di guerra, quando l’impianto Phase 14 del giacimento di gas South Pars è stato attaccato da Israele per alimentare il cronico deficit energetico del 20-25% che l’Iran sconta in estate quando questa risorsa, che contribuisce a circa tre quarti della generazione energetica nazionale, è richiesta al fine di alimentare gli impianti di raffreddamento pubblici e privati di fronte alla calda estate persiana. Il governo Netanyahu voleva contribuire a far “morire di caldo” l’Iran alimentando uno strisciante malcontento contro il governo e l’Ayatollah Ali Khamenei stimolando così un senso di ribellione contro il governo capace di fare il gioco di Israele. Non è andata così, ma il settore energetico iraniano appare indubbiamente acciaccato.

Il deficit di generazione

“La capacità di generazione di energia elettrica dell’Iran attualmente raggiunge il picco di 62.000 megawatt all’ora, ma durante l’ondata di caldo la domanda è salita a 80.000 megawatt, creando un deficit significativo”, nota The News Intel aggiungendo che anche per gli impianti non bombardati i problemi restano: “l’invecchiamento delle infrastrutture del Paese, aggravato da anni di investimenti insufficienti e sanzioni, ha reso le centrali elettriche incapaci di soddisfare i crescenti consumi. I blackout a rotazione, che durano fino a quattro ore al giorno, sono diventati la routine nei centri urbani”. Il calo delle precipitazioni ha fatto il resto, contribuendo a ridurre la piccola quota di generazione idroelettrica e rendendo ancora più critica la situazione nelle città.

Nel quadro di un contesto geopolitico critico, con il rischio di una nuova guerra con Israele che rimane pendente e una nutrita campagna di infiltrazione di Tel Aviv tramite sabotaggi e operazioni clandestine che appare incombere sul Paese, l’Iran resta colpito da diverse fragilità. Alle tensioni della geopolitica si sommano quelle della natura, sempre più problematiche in un Medio Oriente fronte caldo dei cambiamenti climatici, oggi più che mai da inserire in ogni equazione strategica che voglia dirsi completa.

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