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29/08/2025

Katrina, 20 anni dopo: l’ascesa del capitalismo dei disastri

New Orleans, 29 agosto 2005: nella città della Louisiana tocca terra l’Uragano Katrina. L’impatto della tempesta, che aveva già sfiorato la Florida e avrebbe colpito duramente Mississippi ed entroterra della Louisiana, fu devastante nella città epicentro dell’ex colonia francese: il flop del sistema di prevenzione delle inondazioni e la rottura degli argini crearono una catastrofe biblica, concentrando a New Orleans la grande maggioranza delle 1.836 vittime dovute a Katrina, peggior disastro di questo tipo dal 1928 in termini di vite umane e all’epoca di gran lunga divenuto il più “costoso” disastro naturale della storia americana.

125 miliardi di dollari il conto dei danni causati dalla tempesta, la cui veemenza aprì a molti americani gli occhi circa la durezza delle conseguenze del cambiamento climatico e le fasi successive alla quale contribuirono a scatenare un dibattito acceso andato ben oltre la nota vicenda della ricostruzione della città travolta dai venti e dalle piogge atlantiche e sommersa dalle inondazioni. La New Orleans post-Katrina divenne il modello con cui molti osservatori hanno orientato il presente dibattito sulla giustizia ambientale e climatica e la ricostruzione passò anche per l’applicazione di quello che la giornalista canadese Naomi Klein avrebbe definito “capitalismo dei disastri” nel suo saggio Shock Economy pubblicato due anni dopo.

Klein, scrisse nel 2017 sul Guardian, notò che “l’uragano Katrina si è trasformato in una catastrofe a New Orleans a causa di una combinazione di condizioni meteorologiche estremamente avverse – probabilmente legate al cambiamento climatico – e infrastrutture pubbliche deboli e trascurate” a cui l’amministrazione americana di George W. Bush e quella repubblicana della Louisiana avrebbero risposto usando la leva del disastro per ricostruire servizi e strutture della città a favore di apparati di mercato, indebolendo la leva pubblica.

Klein sottolineò, nel libro e nei successivi interventi, come sulla città si fossero precipitati contractor privati di ogni tipo e aziende pronte a ottenere appalti su ogni fronte, dalla costruzione di campi profughi alla riedificazione della città, arrivando ad ambiti più complessi come la gestione della sicurezza urbana e, soprattutto, la scuola.

La città fu stravolta. “Nei mesi successivi alla tempesta, una volta tolti di mezzo i residenti di New Orleans – con tutte le loro opinioni scomode, la loro ricca cultura e i loro profondi legami – migliaia di unità abitative popolari, molte delle quali avevano subito danni minimi a causa della tempesta perché situate in zone elevate, furono demolite”, scrisse Klein, aggiungendo che “furono sostituite da appartamenti e villette a schiera dai prezzi decisamente fuori dalla portata della maggior parte di coloro che ci avevano vissuto”.

Inoltre, il Premio Nobel per l’Economia Milton Friedman, allora 93enne, scrisse sul “Wall Street Journal” che Katrina, con le ricostruzioni scolastiche che avrebbe imposto, forniva alla Louisiana l’opportunità per una drastica privatizzazione del sistema scolastico. Poche settimane dopo Katrina, 7.500 docenti pubblici furono licenziati a New Orleans e la privatizzazione del sistema dell’istruzione, con lo Stato che forniva voucher ai cittadini per scegliere l’educazione dei figli, accelerata.

In un mondo di ipertrofici rischi legati al cambiamento climatico e di comunità sempre più vulnerabili, Katrina fu “laboratorio” di una nuova tendenza a sfruttare i disastri per fornire opportunità di business. Su scala più larga, quanto successo con le discussioni sul futuro di Gaza dopo la fine della guerra israeliana contro la Striscia, da cui la città è uscita interamente distrutta, rispondono alla stessa logica: il disastro, lo shock come acceleratori di business. Con buona pace di chi lo shock l’ha subito e rischia di esser colpito due volte.

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