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14/08/2025

Il “vertice degli esclusi” si dichiara vincitore

C’è qualcosa di patetico nella postura militaresca dei nanerottoli europei riuniti ieri per cercare di condizionare, all’ultimo minuto, l’incontro tra Trump e Putin ad Anchorage, in Alaska.

Zelensky (mai così dimesso e farfugliante, nei video), Macron, Starmer, Merz, Meloni, Tusk per la Polonia, Stubb per la Finlandia, von Der Leyen e Costa per la UE e il segretario generale della Nato, Mark Rutte, dopo la telefonata congiunta con il presidente Usa, sono stati prodighi di dichiarazioni soddisfatte e bellicose in cui si provava a convincere i rispettivi elettorati che “uniti hanno convinto Trump” a sostenere una linea di trattativa basata su:

– l’Ucraina subito al tavolo dei negoziati e un trilaterale con Zelensky a breve;

– Kiev sarebbe pronta a «negoziare sulle questioni territoriali ma serve un congelamento del fronte attuale, senza riconoscimento dell’occupazione russa»;

– «Kiev deve poter contare su efficaci garanzie sulla propria sicurezza, tra le quali forze armate senza limiti, capaci di preservarne la sovranità»;

– «I negoziati devono essere parte di una strategia transatlantica congiunta»;

– «Bisogna mantenere alta la pressione delle sanzioni»

Questo, almeno, stando alle parole del più alto dei nanerottoli, il cancelliere tedesco Merz. Gli altri, in ordine sparso, si sono ulteriormente allargati: “nessun veto all’ingresso dell’Ucraina nella Nato”, “nessuna concessione territoriale”, e via fantasticando.

Messa così, se fosse credibile la “svolta” di Trump, non ci sarebbe nessuna trattativa e nessun incontro al vertice. E la parola resterebbe al campo di battaglia.

Dove, significativamente, in questi giorni l’avanzata russa va assumendo le caratteristiche di uno sfondamento strategico nel Donetsk, con le fortificazioni di Pokrovsk ormai circondate e destinate alla capitolazione. Mentre Kiev, altrettanto significativamente, ordina l’evacuazione dei civili da ciò che resta in suo controllo in quell’oblast.

È patetico, dicevamo, questo sforzo soprattutto mediatico – gli organi di informazione mainstream sembrano ormai incapaci di qualsiasi autonomia interpretativa – di far credere che “l’Europa unita” è stata in grado di imporre agli Usa una “linea dura” di fatto contraria a qualsiasi pace che non sia la resa di Mosca.

Il “vertice degli esclusi” – quelli che in Alaska neanche ci potranno andare, indesiderati sia da Washington che dalla Russia – si dichiara insomma vincitore senza neanche poter giocare la partita.

Che però, sul campo, sembra vicina alla sconfitta grave, visto che si vanno moltiplicando i territori che non si vorrebbero “concedere” con la trattativa.

I nanerottoli europei sembrano aver già dimenticato che solo poche settimane fa hanno accettato di vedere le proprie merci sottoposte a dazi minimi del 15% (per auto, acciaio e alluminio sono quasi il doppio), impegnandosi ad acquistare energia ed armi dagli Usa per 1.350 miliardi, oltre a investimenti in America per altri 600 miliardi, oltretutto senza neanche poter decidere dove e come fare questi investimenti. Un “regalo”, insomma, al “daddy” che tiene la pistola puntata alla loro tempia.

Il tutto obbedendo senza alcuna reazione (né controdazi, né contrattazione, né limitazioni di sorta).

Ora, però, questa stessa armata brancaleone incapace di difendere persino i propri interessi commerciali ed industriali avrebbe improvvisamente avuto la forza di portare gli Stati Uniti a più miti consigli nel rapporto con la Russia e sulla soluzione per la guerra in Ucraina.

Una favoletta buona per i gonzi (che non mancano certo, nelle redazioni), mentre il resto del mondo palesemente interpreta il “vertice collaterale” di ieri, e le risposte di Trump, come un “contentino” indispensabile a mantenere una parvenza di “unità dell’Occidente” e non far fare una figura ancora più barbina a 27 minus habens arrivati al posto di comando dei propri paesi in base all’aderenza o meno al “pilota automatico” creato con i trattati UE.

Ventisette personaggi in cerca d’autore, insomma, che alla prima vera crisi politica – quando bisogna trovare soluzioni che nessuno ha predisposto prima – hanno cominciato a correre impazziti, ognuno per proprio conto (basti vedere la composizione della “coalizione dei volenterosi” che vorrebbe un “cessate il fuoco” dichiarando – prima! – che lo utilizzerebbe per inviare truppe europee in Ucraina).

L’impazzimento è tale che qualcuno di loro – come riportano in modo acefalo i media nostrani – considererebbe un successo persino la “soluzione coreana”, ossia quella raggiunta nel 1953, che congelava la linea del fronte tra Nord e Sud della penisola asiatica senza però dar vita ad un trattato di pace e a confini internazionalmente riconosciuti. In pratica: i territori perduti restano in mano a Mosca, ma senza che riconoscerli come parte della Russia...

La differenza, però, è enorme. Oggi quella “soluzione” per l’Ucraina significherebbe solo porre le condizione per una nuova guerra non appena “l’Occidente collettivo” – dopo aver concluso un robusto riarmo di Kiev e magari aver sostituito a Washington un presidente “Maga” con uno più “democratico-repubblicano”, old style – si sentirà in grado di riprendere quell’espansione ad Est che l’“operazione militare speciale” russa ha arrestato brutalmente.

Se qualcuno crede che nessuno lo capisca, non sta bene...

E quel tratto di patetico che individuavamo all’inizio appare qualcosa di più pericoloso: un bisogno di guerra perché non si hanno altre soluzioni per uscire da una crisi storica. Una guerra che si sa di non poter fare da soli e così – proprio come gli infinitesimali nazisti baltici – spingono perché “l’America” si metta in prima linea.

Per i 45 minuti che durerebbe un conflitto nucleare...

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