Dall’annuncio delle tariffe trumpiante contro il Brasile, non c’è parola più ripetuta di “sovranità”. Il presidente Lula insiste sul fatto che Trump “non può” farlo perché il Brasile è “sovrano” e, quindi, decide sulle proprie questioni interne (come il caso giudiziario di Bolsonaro) autonomamente, senza dover rendere conto ad alcun altro paese.
L’apparato di propaganda del governo produce materiali grafici che enfatizzano la “sovranità brasiliana” (i cui simboli, a quanto pare, sarebbero la Banca Itaú, il Bolsa-Família e i capibara), mentre i bolsonaristi vengono criticati come “traditori” per aver cercato di sottomettere il Brasile agli Stati Uniti, negando questa “sovranità”.
Quello che è chiaro è che il termine “sovranità” viene dato per scontato, come una qualità che il Brasile possiederebbe di per sé, indipendentemente da qualsiasi circostanza. La sovranità sarebbe una caratteristica invariabile del Brasile in quanto nazione tra le nazioni.
Due modi di pensare la sovranità
Esistono due modi di riflettere sulla sovranità.
1) Sovranità interna: una prerogativa speciale di cui è dotata una figura o un’istituzione all’interno del sistema politico-giuridico di una politeia.
2) Sovranità internazionale: una qualità di “uguaglianza” degli Stati-nazione rispetto ad altri Stati-nazione nel sistema internazionale.
La prima non ci interessa qui, perché riguarda “chi ha l’ultima parola” all’interno di una politeia – e non è di questo che si parla quando si afferma che “il Brasile è un paese sovrano”.
La contraddizione della sovranità internazionale
La sovranità internazionale è vista come un “dato”, una qualità essenziale e innata delle nazioni in un sistema internazionale giusto ed egualitario, dove ogni Stato-nazione equivale a un “individuo libero”. Ma cosa succede quando uno Stato-nazione interferisce concretamente nella “libertà” di un altro Stato-nazione e nulla può impedirlo?
Dov’è, allora, la sovranità?
Il primo problema è considerare la sovranità come un “essere” e non un “dover essere” – come una qualità permanente e gratuita, anziché un obiettivo da perseguire, sempre in discussione e soggetto a tensioni.
Questo errore è tipico delle dottrine contemporanee delle Relazioni Internazionali. Persino la scuola realista cade nell’equivoco di concepire lo Stato-nazione come l’equivalente geopolitico dell’“individuo” hobbesiano.
Ma quando uno Stato interferisce su un altro, la “sovranità” diventa un concetto vuoto se non si ha una risposta soddisfacente. E l’unica risposta valida è quella che riconosce la sovranità come qualcosa di instabile, un fattore storico che può essere rafforzato o indebolito, conquistato o perso.
Sovranità come potere
Se intendiamo la sovranità come la capacità di garantire un sufficiente grado di autonomia nella sfera internazionale, allora essa diventa sinonimo di forza o potere. La sovranità è il grado di potere necessario affinché un paese sia concretamente autonomo rispetto agli altri nel sistema internazionale.
La conseguenza di questa prospettiva è che, in effetti, alcuni paesi sono sovrani e altri no. Forse solo una minoranza di nazioni può essere considerata veramente sovrana, mentre la maggior parte soffre di un’insufficienza di potere che la rende dipendente dai pochi paesi sovrani.
La soglia di potere di Marcelo Gullo
Sotto questa luce, ritengo ancora attuale il concetto di “soglia di potere” (umbral de poder) del geopolitologo argentino Marcelo Gullo.
Secondo Gullo, la “soglia di potere” è il livello di potere necessario affinché un paese possa essere considerato sovrano. Ma questa soglia è un concetto storico, in continua evoluzione. Quando alcuni paesi superano una soglia, prima o poi uno di essi alza ulteriormente il livello necessario, lasciando indietro gli altri. Esisterebbe quindi una “gerarchia di sovranità”, che altro non è che una “gerarchia di potere”.
Gullo analizza la Modernità per classificare le diverse soglie di potere e la “corsa” alla sovranità:
1) Prima soglia: centralizzazione burocratica (XIV-XV secolo). Superare il feudalesimo con Stati capaci di mobilitare risorse in modo centralizzato. Le città-stato italiane, incapaci di unificarsi, cadono sotto l’egemonia di Spagna e Francia.
2) Seconda soglia: industrializzazione (XIX secolo). L’Inghilterra supera Portogallo e Spagna. Francia, Germania e Giappone seguono.
3) Terza soglia: stato-continente (XX secolo). Gli USA, completando la “Marcia verso l’Ovest”, diventano uno Stato-continente industriale, superando le potenze europee. L’URSS, con lo sviluppo siberiano, li raggiunge.
4) Quarta soglia: armi nucleari (seconda metà del XX secolo). La sovranità ora richiede capacità nucleari, come dimostra il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dominato dalle potenze atomiche.
Oggi, nuove soglie potrebbero essere: intelligenza artificiale, biotecnologia, conquista spaziale, ecc.
Alcuni paesi raggiungono determinate soglie senza averne superate altre. Ad esempio, Israele e Corea del Nord hanno armi nucleari ma non sono Stati-continentali, quindi sono parzialmente dipendenti in altri settori.
Il Brasile e la sovranità
La tesi di Gullo conferma l’imperativo continentale: l’era dello Stato-nazione è finita, e i paesi che vogliono essere sovrani devono espandersi (per conquista o integrazione) fino a raggiungere una scala sufficiente per garantire autosufficienza.
Inoltre, dimostra che qualsiasi discorso sulla “sovranità” senza potenziamento militare (in alcuni casi, anche nucleare) è solo retorica vuota.
Il Brasile deve integrare concretamente il Sud America e rafforzare le sue capacità militari se vuole parlare seriamente di sovranità. E questo sarà solo il primo passo, perché Cina e USA (in primis) e Russia (in secondo piano) stanno già avanzando verso nuovi salti di potere.
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