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15/08/2025

Il Kerala è ancora la roccaforte del movimento comunista indiano

Il governo di Narendra Modi è apertamente ostile all’alleanza di sinistra guidata dai comunisti che governa il Kerala, poiché quest’ultima vanta un notevole record nel miglioramento degli standard di vita della popolazione – a differenza di Modi e dei suoi compari dell’Hindutva.

Il governo centrale indiano guarda con sospetto e disprezzo lo stato del Kerala. I politici del Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi spesso lo dipingono come un nemico interno, una sorta di quinta colonna.

Il Kerala è da decenni un cuore pulsante del movimento comunista del Paese. Nonostante la sua condizione sempre più isolata, continua a votare regolarmente per il Fronte Democratico di Sinistra (LDF), guidato dai comunisti, come è avvenuto più recentemente nel 2021.

Quell’anno ha segnato la sesta vittoria elettorale dell’LDF dal 1980, e la prima volta in cui ha ottenuto due mandati consecutivi.

Cos’è che ha reso questo movimento così duraturo, in un’epoca in cui la politica indiana è virata nettamente a destra a livello nazionale? E ci sono lezioni che la sinistra internazionale può trarre?
 
La particolarità del Kerala

Fort Kochi è un caldo porto di pescatori del Kerala, affacciato sul Mare delle Laccadive, dove gli aironi bianchi camminano cautamente tra le onde e i venditori attendono all’ombra di giganteschi alberi di banyan, offrendo gelati, succhi di frutta, chaat o ananas affettato cosparso di peperoncino in polvere.

La quiete umida del pomeriggio è interrotta dalle voci dei pescatori, sospesi in alto sulle precarie strutture di bambù delle loro reti da pesca. I turisti curiosi li osservano, in attesa di una dimostrazione della loro tecnica. Fu l’ammiraglio e diplomatico della dinastia Ming Zheng He a portare qui per la prima volta queste reti, nel 1410.

Quando Zheng He arrivò, stranieri visitavano già la costa del Malabar fin dai tempi dei Sumeri, compresi Egizi, Fenici e Greci. I Romani erano particolarmente attratti dal pepe del Malabar, che scambiavano in grandi quantità con l’oro. Una comunità ebraica trovò rifugio qui dopo che il decreto dell’Alhambra del 1492, emanato dalla monarchia spagnola, che li espulse dalla penisola iberica.

Anche gli arabi ebbero un ruolo importante: già nel VII secolo d.C. i mercanti locali intrattenevano rapporti con navigatori desiderosi di portare le spezie verso i mercati in espansione di Aleppo, Baghdad e Il Cairo. L’influenza fu tanto culturale quanto economica, e il Kerala è oggi riconosciuto come il punto di ingresso dell’Islam in India.

Con l’avvento del capitalismo industriale, le relazioni mercantili cedettero inevitabilmente il passo a forme di sottomissione coloniale ancora più diseguali. Prima i portoghesi, poi gli olandesi rivendicarono le reti commerciali del Kerala, finché non si impose il dominio britannico.

Questa storia complessa e variegata, modellata da una geografia particolare – stretta tra il Mar Arabico e la catena montuosa dei Ghati occidentali – conferisce al Kerala un senso di unicità, di “alterità” rispetto al resto dell’India. Si percepisce che, nel profondo, l’identità keralese è intrinsecamente diversa da quella degli stati confinanti.

Ma l’indicatore più evidente di questa particolarità non si trova nei libri di storia, né nella varietà di architetture sopravvissute a ciascuna epoca. È invece impresso sui muri e appeso ai balconi, stampato su bandiere, striscioni e manifesti politici: l’iconografia comunista, onnipresente ovunque si vada. 

Sport e Socialismo

Due giovani siedono davanti al Red Youngs Sports Club, un edificio modesto a Calvathy, Fort Kochi. Una grande bandiera rossa con falce e martello è legata con orgoglio alle inferriate di ferro ricurvo delle finestre.

All’interno, un ritratto incorniciato di Vladimir Lenin occupa un posto d’onore sulla parete. Sotto, alcune fotografie: attivisti davanti al club, che leggono, fumano e posano davanti alle immagini di Fidel Castro e Che Guevara. L’edificio era un tempo la sede locale del Partito Comunista.

«Nel tuo Paese non avete club sportivi?» chiede, divertito dalla mia curiosità, uno dei giovani. «Non con le foto di Lenin all’interno» rispondo.

Adhil, ex membro del club, racconta che il Red Youngs fu fondamentale per formare la sua coscienza politica:
“Persone come noi sono influenzate dal luogo stesso. Quando ero piccolo, qui c’era la sede del partito, vedevamo le riunioni. Vedevamo le bandiere rosse, i poster di Che Guevara e Karl Marx. Così abbiamo imparato il comunismo crescendo.”
Non tutti, però, concordano sul fatto che questa proliferazione di simboli rappresenti un movimento vitale. Nissim Mannathukkaren, accademico e autore di Communism, Subaltern Studies and Postcolonial Theory: The Left in South India, sostiene che slogan e iconografia siano solo i resti estetici di qualcosa ormai perduto:
“Gran parte di ciò che il movimento comunista in Kerala fa, in pratica, è socialdemocrazia, racchiusa in una retorica rivoluzionaria d’altri tempi, legata all’Unione Sovietica o alla Cina... la retorica rivoluzionaria non è scomparsa, ma nella realtà si pratica la socialdemocrazia.”
Adhil ci tiene però a sottolineare che club come il Red Youngs non sono importanti solo per la riproduzione di simboli rivoluzionari:
“Facevamo soprattutto servizi sociali: raccoglievamo cibo dalle nostre case e da quelle dei vicini per distribuirlo. Organizzavamo tornei sportivi: calcio, cricket e carrom (un gioco da tavolo indiano).”
La sua è la descrizione di un’istituzione molto ordinaria, significativa più per il radicamento nella comunità che per altro. Racconta il modo normale e quotidiano in cui il comunismo è percepito in Kerala: parte integrante della vita di tutti i giorni, non solo della politica ma anche della sfera sociale. 

Nascita del comunismo in Kerala

Quando il Partito Comunista d’India (CPI) nacque negli anni ’20, la costa del Malabar era ancora divisa in principati che in seguito avrebbero formato lo stato del Kerala.

La regione era stata teatro di numerose ribellioni contro il dominio britannico. La popolazione, in gran parte povera e rurale, soffriva pesantemente a causa di un sistema delle caste controllato da governanti compiacenti verso Londra.

Queste insurrezioni non erano semplici esplosioni di rabbia prive di ideologia: le consolidate relazioni agrarie, frutto della lunga storia commerciale del Kerala, avevano creato le basi per un’azione coordinata e una facile circolazione delle idee radicali.

Anche sotto il dominio britannico, gli investimenti pubblici in infrastrutture agricole avevano mostrato i benefici della spesa pubblica, prefigurando i principi di uno stato sociale solido e contribuendo a erodere le distinzioni di classe e casta.

Dopo la Rivoluzione russa, il radicamento comunista nelle lotte agrarie locali crebbe: nacquero sindacati contadini, si organizzarono marce della fame per rivendicare i diritti dei lavoratori agricoli, e gli operai dell’industria della fibra di cocco iniziarono a organizzarsi.

Quando, nel 1921, i lavoratori musulmani occuparono le terre del distretto del Malabar, appartenenti ai latifondisti indù sostenuti dai britannici, proclamarono l’indipendenza e instaurarono un autogoverno temporaneo, trasformando gli affittuari sfruttati in proprietari.

L’episodio durò solo sei mesi, prima che le truppe britanniche riconquistassero l’area, ma dimostrò il legame profondo tra oppressione religiosa e lotta di classe anticoloniale.

Negli anni ’30, i comunisti del Kerala iniziarono a operare all’interno del Congress Socialist Party, la fazione di sinistra del Congresso Nazionale Indiano. Vijoo Krishnan, membro del politburo del Partito Comunista d’India (Marxista) [CPI(M)], descrive così quel periodo:
“I socialisti operavano come gruppo distinto all’interno del Congresso. A differenza del Congresso, affrontavano i problemi di operai e contadini... il Partito fin dall’inizio chiedeva l’indipendenza completa, quando il Congresso pensava ancora al dominio britannico limitato... Ci è voluto quasi un decennio perché il Congresso facesse la stessa richiesta.”

Nel 1942, con Gran Bretagna e URSS alleate contro i nazisti, il bando nazionale contro il CPI fu revocato. La popolarità del partito crebbe, in Kerala e altrove, ma la repressione continuò, costringendo molti comunisti alla clandestinità, tra cui E. M. S. Namboodiripad, storico e figura chiave del comunismo keralese. 

Dopo l’Indipendenza

Nel 1947 l’India ottenne l’indipendenza, ma la repressione contro i comunisti non cessò. Nel 1956, Travancore, Cochin e Malabar furono uniti per creare lo stato del Kerala. L’anno seguente, il CPI vinse le prime elezioni statali e Namboodiripad divenne il primo capo di governo comunista democraticamente eletto in India.

Il suo governo introdusse leggi a favore degli agricoltori e salari minimi, scatenando la furia delle classi proprietarie. Nel 1959, Nehru destituì il governo del Kerala utilizzando una norma costituzionale rara, rafforzando l’idea dello stato come “elemento disturbatore” all’interno dell’India.

Negli anni ’60 il partito si divise in CPI e CPI(M), con quest’ultimo destinato a diventare la forza dominante. 

Il Modello Kerala

Il governo comunista, pur operando in un sistema federale ostile, ha sviluppato un modello di sviluppo riconosciuto a livello internazionale: accesso quasi universale a sanità e istruzione, tasso di povertà multidimensionale più basso dell’India, aspettativa di vita tra le più alte del Paese (75 anni).

Dal 2017, il programma LIFE Mission ha costruito circa 450.000 case per le famiglie più povere, sostenendo decine di migliaia di nuclei con progetti di reddito e documentazione.

Alcuni studiosi sostengono che l’LDF pratichi oggi una forma di socialdemocrazia, costretta a compromessi con il capitale globale. Altri ribattono che il CPI(M) mantiene posizioni nettamente anti-imperialiste e a difesa della classe lavoratrice. 

Resistere sotto assedio

A differenza del Bengala Occidentale, dove il dominio comunista è crollato nel 2011, il Kerala continua a resistere alle pressioni dell’Hindutva. Nel 2024 il governo locale punta a dichiarare estinto lo stato “privo di povertà estrema”. Qualunque sia il futuro, la sua resistenza finora resta un trionfo.

Fonte

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