Nelle stesse settimane in cui tutto il sistema politico-mediatico cercava di convincere l’opinione pubblica che Alitalia non potesse essere salvata, che in quarant’anni fossero già stati spesi sette miliardi di denaro pubblico, proprio nelle stesse settimane il governo versava nelle casse di Banca Intesa cinque miliardi di denaro pubblico
per rilevare le attività di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. In
altre parole una banca privata, quale è Intesa San Paolo, fagocitava due
concorrenti dirette acquisendole coi soldi dello Stato, pagando di
tasca propria la simbolica cifra di un euro. Contestualmente, sempre il
governo e sempre tramite soldi pubblici, garantiva per altri dodici
miliardi di euro le eventuali perdite a cui andrà incontro Banca Intesa
nel caso di ristrutturazione delle attività delle due banche
incorporate. “Non possono essere lasciati soli i correntisti!”, ammoniva
il duo Gentiloni&Padoan, applauditi da tutto il circo liberale che
così giustificava la vicenda: “altrimenti sarebbe stato peggio!”.
Nell’ultima legge di bilancio veniva stanziato un finanziamento di 2,7 miliardi di euro pubblici per la ristrutturazione e l’allargamento dell’Aeroporto di Centocelle,
luogo dove dimora il Comando operativo interforze, il comando Nato più
importante del paese. Contestualmente, il governo stanziava 56 milioni di euro in tre anni per “le periferie”.
Tra il 2014 e il 2017, secondo le parole di Yoram Gutgeld –
parlamentare Pd e commissario alla “Spending Review” – sono stati
operati 30 miliardi l’anno di tagli alla spesa pubblica.
Si tratta, più o meno, del 2% del Pil ogni anno, per un totale, in
questo triennio, di circa 90 miliardi di euro pubblici “risparmiati”.
Nonostante ciò, nonostante cioè l'avanzo primario del saldo finanziario
del paese sia in attivo da un ventennio abbondante e, per dire, molto più in attivo di quello tedesco, in Italia il debito pubblico continua a crescere quotidianamente, battendo record su record. “Non si è fatto abbastanza!” strilla Repubblica, chiarendo
chi è l’artefice primo delle politiche di rigore finanziario del paese
nonché il protagonista coerente delle strategie di austerity
ordoliberali.
Questi esempi, tra i molti che si potrebbero citare, confermano la
natura tutta politico-ideologica del debito come strumento di governo
della popolazione. I soldi pubblici ci sono e vengono continuamente
investiti (e sperperati). Il problema non è “quanto” il governo spende,
ma “come”. Il come non riguarda unicamente il drenaggio privato
effettuato a scapito della spesa sociale, fenomeno pure lampante. E’ il
lavoro ad essere scomparso dal novero degli obiettivi politici. Ogni
forma di keynesismo, anche quello militare sul modello statunitense, ha
come conseguenza, fosse solo indiretta, l’abbassamento della
disoccupazione. Il modello europeo ordoliberale, al contrario, sperpera
costantemente denaro pubblico ma questo neanche indirettamente ha la
possibilità di creare lavoro.
[Ma l’impetuoso rialzo del Pil?] |
Questa è una delle contraddizioni decisive di quest’epoca, e la
spiegazione non risiede unicamente nella tecnologizzazione delle catene
di montaggio e nella sostituzione di lavoro manuale umano con lavoro
robotizzato. E’ la completa estromissione della politica a scapito del
governo dell’economia a imporre una gestione delle risorse pubbliche
sussidiaria alle esigenze del capitale. Al fallimento di un’impresa
privata non sopraggiunge più un commissariamento pubblico (non parliamo
di una nazionalizzazione per carità), ma il passaggio di questa ad
un’altra impresa privata. Il passaggio, oltretutto, non avviene più
accollandosi i debiti dell’azienda inglobata, ma questi vengono ripagati
dalle finanze pubbliche. Se questa è la dinamica del capitalismo
contemporaneo, come può generarsi un “risanamento del debito” se questo è
funzionale alla gestione ordoliberale del libero mercato? Perché allora
continua ad essere agitata questa fantomatica riduzione se questa è
ontologicamente impossibile in tale regime economico? Per una ragione
politica, e cioè, come dicevamo all’inizio, perché il debito è
connaturato a questo modello di sviluppo, strumento di governo e, al
tempo stesso, grimaldello ideologico volto a generare processi di
colpevolizzazione sociale. Una colpevolizzazione che fa rima con
pacificazione di ogni istanza d’opposizione.
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