L’illustre professor Panebianco, la mattina del 21 luglio 2017, dalle colonne del Corriere della Sera
sferra un duro attacco alla prima parte della Costituzione: un attacco
molto serrato, quasi da far pensare a una nuova stagione di tentativi di
deformazione costituzionale come quella che abbiamo appena terminato di
trascorrere con il voto vittorioso del 4 dicembre 2016.
Nell’occasione si prende a pretesto la proposta della “flat tax”
(aliquota fiscale unica, in questo caso al 25%) considerandola la
panacea di tutti i mali anzi il provvedimento che, secondo l’autore “darebbe
una frustata così vigorosa alla nostra economia da farla ripartire al
galoppo dopo decenni di alternanza, tra stagnazione, recessione e bassa
crescita”.
Ma c’è un però sulla strada dell’applicazione di questo possibile
miracolo: ed è la Costituzione, retro-gradatamente socialista secondo il
giudizio JP Morgan, che indulge nel difendere un’”antistorica
progressività della tassazione” (l'articolo 53 della Costituzione
della Repubblica Italiana recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. E aggiunge: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”).
Un ostacolo messo lì da un testo costituzionale che prevede una “Repubblica fondata sul lavoro”: definizione frutto di un “compromesso
fra alcune forze (democristiani, socialisti, comunisti) che all’epoca
non brillavano per adesione ai principi liberali. Era una Costituzione
adatta a qualsiasi uso. Servì ad ancorare l’Italia al mondo Occidentale
dopo la vittoria democristiana sui social comunisti nelle elezioni del
1948 ma avrebbe potuto diventare – senza bisogno di revisioni – la carta
fondamentale di una “democrazia popolare” se i social-comunisti
avessero vinto”.
Panebianco si è interrogato: “I risultati del referendum
costituzionale hanno messo fuori gioco per chi sa quante generazioni la
possibilità di riformare la seconda parte della Costituzione (essersi mossi su quel terreno è giudicato, da parte del professore, un grave errore da parte dei “riformisti”). Perché allora non cominciamo a discutere della prima? E’
sicuro, tanto per fare un esempio, che la nostra convivenza civile ci
rimetterebbe se la nostra Repubblica, anziché essere fondata sul lavoro
fosse fondata sulla libertà? E’ sicuro che se il diritto di proprietà,
anziché essere relegato tra i cosiddetti “interessi legittimi” fosse
riconosciuto fra i diritti fondamentali, quelli su cui poggia la
libertà, ce la passeremmo peggio?”.
E conclude: “Magari, chissà? Sarà la discussione sulla
flat tax che, finalmente, costringerà molti a trattare meno
acriticamente i principi costituzionali su cui si regge la Repubblica.
E in precedenza aveva scritto: “Forse è arrivato il
momento di chiedersi se non sia il caso di intervenire col bisturi sulla
prima parte della Costituzione, sui famosi principi”.
Mi pare inutile segnalare, verso chi si è battuto per la difesa della
Costituzione nell’occasione dell’ultima tornata referendaria, la
pericolosità di queste affermazioni, vero e proprio preludio a un
attacco in grande stile attraverso il dibattito sulla flat tax (che
qualcuno già pronostica come il vero e proprio “oggetto del contendere”
della prossima tornata elettorale legislativa, assieme alla questione
dell’Europa).
In molti, nel corso dei tanti anni di lavoro in difesa del dettato
Costituzionale (tre occasioni: Bicamerale D’Alema, progetto Berlusconi,
deforma renziana) avevamo tentato di segnalare la delicatezza
dell’intreccio tra seconda parte (che veniva messa in discussione nelle
occasioni citate) e prima parte (fintamente, in quei casi, ritenuta
intangibile).
Adesso arriva, dalla prima pagina dell’antico “Corriere dello Zar” l’attacco diretto.
Occorre avere consapevolezza di questo stato di cose, a partire dalla
mancata risposta politica al voto del 4 Dicembre, e attrezzarsi
all’evenienza senza ritardi, sottovalutazioni, tentennamenti.
La lettura di quest’articolo di Panebianco non deve lasciare dubbi:
la difesa integrale della Costituzione Repubblicana rimane l’imperativo
prioritario per tutti i conseguenti democratici e per la sinistra
italiana (che deve considerare questo punto “l’ubi consistam” della sua
possibile ricostruzione come soggetto politico).
Una difesa che è necessario princìpi da un altro elemento messo in
discussione nell’articolo citato: quello della coerenza tra il sistema
elettorale proporzionale e il testo Costituzionale.
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