L’Italia è nota per infilarsi – sul piano militare – in vie senza uscita, dai danni sicuri e dalle convenienze improbabili. In più, è solita farlo con la iattanza e la furbizia, due difetti che su quel piano costringono a pagare prezzi più alti del normale.
Il consiglio dei ministri, scrivono i giornali, è pronto a dare il via libera alla missione in Libia con le navi italiane che entreranno nelle acque di Tripoli. Ufficialmente per supportare il lavoro della guardia costiera locale.
Qui si vede che tra parole e realtà la distanza è abissale. La Libia è da anni un teatro di guerra, senza governo unitario e dunque senza Stato, dove si confrontano come minimo due aspiranti governi: quello di Tripoli, guidato dal quisling scelto da Nato ed Unione Europea, al secolo Hafez al Serraj, e quello della Cirenaica, in mano al generale Haftar, ben più solido e operativo. In mezzo, un gran numero di milizie tribali – la società araba ha una struttura di clan, riuniti in tribù – oltre a milizie jihadiste a cavallo tra Al Qaeda e l’Isis.
Dunque quando il governo italiano parla di “supporto alla guardia costiera libica” intende dire alle poche motovedette controllate da al Serraj, stanziate nel porto di Tripoli, che fanno fatica ad addentrasi nel golfo della Sirte (per non essere raggiunte dai missili jihadisti) e si tengono ben lontani dalle coste di Bengasi. Se girano da quelle parti altre imbarcazioni armate, insomma, è fortemente probabile che non siano degli “scafisti”, ma di milizie nemiche di al Serraj.
Il quale, per non essere accusato di aver svenduto la “sovranità libica” (come affermato da alcune milizie di Tripoli e da quelle di Misurata), ha diramato ieri una nota ufficiale in cui “smentisce di aver permesso l’ingresso di navi militari italiane con soldati e aerei da combattimento”. Al massimo, ricorda di aver chiesto armi e addestratori.
E’ probabile, anzi sicuro, che al Serraj sia un bugiardo in equilibrio su troppi fronti, ma è evidente che le truppe italiane (per quanto barricate sulle navi) saranno accolte come invasori nemici, non come “tecnici” incaricati di frenare il flusso dei migranti caricati sui barconi.
In secondo luogo, anche se il governo si rifiuta di dirlo, la linea che vuol seguire nella gestione degli stessi migranti è quella suggerita per anni dalla destra fascioleghista: campi di concentramento in territorio libico. Le navi militari italiane dovranno infatti intercettare i barconi e riportare i migranti sulla costa libica; dove le “truppe locali” dovrebbero identificarli e censirli. Anche un asino capisce che questo “lavoro” – in linea di principio – potrebbe esser fatto prima che gli stessi migranti paghino gli scafisti per un passaggio che li porterà al punto di partenza. In ogni caso, condanna i profughi in fuga da guerre e carestie a restare in un inferno da cui vogliono solo fuggire. Però si descrive questa come una “missione umanitaria”. Ancora un passo e sarà politica di sterminio...
Non è finita. Nelle “regole di ingaggio” vengono stabiliti due classici principi imperialisti:
a) i soldati italiani potranno fa uso delle armi (evitateci, per favore, i distinguo tra “se attaccati dagli scafisti” e altre situazioni altrettanto improbabili...);
b) gli stessi soldati “saranno sottoposti alla sola legislazione italiana”.
Tradotto in termini concreti: anche se dovessero spare e uccidere degli innocenti, saranno coperti dall’immunità. Come i soldati Usa che provocarono la strage del Cermis, insomma. Solo che in questo caso siamo “noi” a “fare gli americani” in casa d’altri.
Forti coi deboli e deboli coi forti, un classico dello straccionismo italico...
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