Come nel celebre libro di Oliver Sacks, pare che sia in corso
un’epidemia di risvegli. Mentre in Italia si scopre tardivamente quanto
fa male il fiscal compact, i giornali economici di punta sollevano ogni
giorno una nuova critica nei confronti dell’economia tedesca, le cui
“riforme strutturali” sono state a lungo additate come fulgido esempio,
in particolare ai paesi del Sud Europa. Qui il Financial Times mostra i limiti delle famose riforme Hartz,
commentando una ricerca secondo la quale il loro ruolo nel successo
economico tedesco è stato sopravvalutato. Piuttosto, l’impoverimento dei
lavoratori tedeschi che ne è stato una conseguenza, in particolare quelli a più basso reddito, sta danneggiando non solo la Germania, ma
l’intera economia mondiale.
Di Matthew C. Klein, 11 luglio 2017
Christian Odendahl è uno dei migliori analisti dell’economia tedesca
che scriva in inglese. Quindi vale la pena di leggere attentamente la sua analisi delle riforme del mercato del lavoro attuate in Germania nei primi anni 2000, note anche come “Agenda 2010” o “riforme Hartz”.
C’è molto da imparare, a partire dalla sua constatazione che i tassi di interesse reali tedeschi erano notevolmente più alti nel
1999-2007 rispetto alle altre grandi economie occidentali, fino alla
sua osservazione per cui l’impatto delle riforme è spesso esagerato, perché
in realtà coincidono con la fine della decennale crisi dell’edilizia
tedesca.
L’approfondimento più utile per i responsabili delle politiche negli
altri Paesi dell’area euro è che le riforme tedesche del 2003-2005 non
sono sufficienti a spiegare la maggior parte degli avvenimenti notevoli
che hanno caratterizzato l’economia tedesca durante la sua adesione alla
moneta unica. Per esempio, le caratteristiche del mercato del lavoro che hanno impedito i licenziamenti di massa nel 2008 erano molto più datate.
Ma del documento di Odendahl vogliamo mettere in evidenza un altro
aspetto: la sua conclusione che la crescita del lavoro in Germania è più
un mito che un miracolo.
Sì, è vero che il numero di tedeschi con un’occupazione è cresciuto
di circa il 15 per cento dai record negativi toccati a metà degli anni
’90. Ma il numero totale di ore lavorate rispetto allo stesso periodo è
cresciuto meno del 2% ed è ancora notevolmente inferiore rispetto al
numero di ore lavorate agli inizi degli anni ’90:
Come osserva Odendahl, questo non sarebbe necessariamente un problema se il
boom dell’occupazione fosse coinciso con un diffuso desiderio di
trascorrere meno tempo sul posto di lavoro. Ma questo è improbabile,
poiché la disconnessione tra posti di lavoro e ore lavorate è andata di
pari passo con un forte aumento della quota di tedeschi a rischio di
povertà:
Odendahl sottolinea inoltre che più di un quinto dei lavoratori della
Germania occidentale hanno salari bassi (cioè hanno un salario inferiore
ai due terzi della mediana, o di circa 10,50 euro all’ora nel
2014). Mentre erano solo il 15% a metà degli anni ’90:
Come se non fosse già abbastanza grave, questi lavoratori sono stati costantemente tassati a livelli punitivi:
“In Germania, l’erogazione delle prestazioni si riduce
bruscamente di oltre l’80 per cento appena i destinatari iniziano a
lavorare. (Nel Regno Unito, il sussidio dell’ ‘universal credit’ è
ridotto solo di 63 pence per ogni sterlina che il destinatario
guadagna). I lavoratori a basso reddito in Germania sono inoltre tassati
al 45 per cento, ovvero 13 punti percentuali al di sopra della media
OCSE.”
Leggermente peggio che in Francia e notevolmente peggio che in
Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Solo in Belgio e in Ungheria la
situazione è peggiore che in Germania. Il grafico sottostante, che
abbiamo redatto utilizzando i dati OCSE, mostra il “cuneo fiscale” medio pagato da singoli lavoratori a basso reddito:
I paesi con un welfare generoso nel campo dell’assistenza sanitaria e
delle scuole pubbliche possono risultare relativamente peggiori in
questo confronto rispetto a quelli con un welfare più ridotto, ma anche
questa sembra una spiegazione insufficiente, considerando come la
Germania esce da un confronto con i Paesi Bassi e scandinavi:
La tassazione tedesca sui lavoratori a basso reddito era tra le più
alte al mondo quando è iniziata la raccolta dei relativi dati, nel 2000,
e tale è rimasta da allora. Non c’è da meravigliarsi che i consumatori
tedeschi siano messi così male! E questo non è solo un male per i
lavoratori tedeschi, ma per tutto il mondo. Se solo ci fossero politici tedeschi intenzionati ad affrontare questo problema...
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