di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il ragionamento di Abdelbari Atwan, noto analista arabo e direttore di Raya al Youm,
è semplice. Se i soldati siriani avanzano rapidamente sul campo di
battaglia e il presidente Bashar Assad, con l’appoggio della Russia, si
rafforza ogni giorno di più sul piano politico e diplomatico; se il
Qatar e l’Arabia Saudita, che finanziano e armano fazioni jihadiste e
qaediste in Siria, sono divisi e sull’orlo di una guerra; se
l’opposizione sta vivendo i suoi giorni peggiori, perché mai Damasco
dovrebbe ricorrere all’uso armi chimiche mettendosi contro mezzo mondo?
La risposta a questo interrogativo è che l’amministrazione
Trump, accusando la Siria di essere «sul punto di usare le armi
chimiche», da un lato conferma il fallimento, evidente, della sua
strategia e dei suoi alleati occidentali e arabi volta a rovesciare
Assad; e dall’altro segnala di essere pronta, con ampie forze, a
scendere sul campo di battaglia contro Damasco e contro l’Iran, il suo obiettivo principale, che in Siria rafforza il suo ruolo e la sua presenza.
A ben poco infatti sono serviti i recenti raid aerei Usa
antigovernativi sulla zona di Tanaf. L’esercito siriano e i suoi alleati
continuano a liberare crescenti porzioni di territorio dall’Isis e
dalle fazioni jihadiste sponsorizzate da Washington e dai petromonarchi.
La sconfitta del fronte internazionale e regionale contro
Damasco è resa chiara anche dall’intensificarsi dei raid aerei
israeliani in Siria, ufficialmente in risposta a colpi erranti
di artiglieria che cadono sul versante occupato del Golan siriano, che
sono il riflesso del nervosismo ai vertici dell’establishment politico e
militare dello Stato ebraico di fronte agli sviluppi del quadro
militare.
Sta tramontando, sotto l’avanzata dell’esercito siriano e dei
suoi alleati, il progetto di costituire nella Siria meridionale una
sorta di «zona cuscinetto» sotto il controllo di gruppi
islamisti e jihadisti schierati contro Bashar Assad e «amici» (non
dichiarati) di Israele. All’orizzonte ora si intravede una Siria
meridionale con una nutrita presenza di combattenti del movimento sciita
libanese e di unità iraniane dei Guardiani della rivoluzione, a due
passi dalle postazioni israeliane nel Golan occupato.
Donald Trump, innescando con il suo recente viaggio a Riyadh lo
scontro in atto tra Arabia Saudita e Qatar, ha contribuito in modo
decisivo ad indebolire le organizzazioni, fazioni e gruppi islamisti
radicali e jihadisti che combattono contro le truppe siriane.
La frattura del Golfo sta approfondendo divisioni già ampie, figlie
della rivalità tra Doha e Riyadh che assieme a Turchia e Stati Uniti,
hanno armato e finanziato «il jihad contro l’alawita Bashar Assad» per
«riportare la Siria sotto il controllo sunnita» e sganciarla
dall’alleanza con l’Iran sciita.
Il Qatar ha sponsorizzato in ogni modo un numero enorme di
organizzazioni, dai Fratelli musulmani ad Ahrar al Sham fino all’ex
Fronte Nusra, qaedista e responsabile di attentati terroristici
sanguinosi. L’Arabia Saudita, entrata in gioco in Siria dopo il
Qatar, ha fatto altrettanto ottenendo però dall’Occidente il via libera
al sostegno, con soldi e armi, a gruppi ugualmente radicali.
Un esempio è l’appoggio aperto di Riyadh al Jaish al Islam,
dominato dal clan salafita degli Alloush, ideologicamente simile
all’Isis e ad al Qaeda ma che i governi europei, Francia in testa,
descrivono come «moderato» tanto da affidargli la guida della delegazione dell’opposizione siriana ai negoziati con Damasco.
La tensione è in rapido aumento. In passato non sono mancati gli
scontri armati tra fazioni che presto potrebbero essere chiamate a
dimostrare la loro fedeltà ai rispettivi sponsor. «Questo conflitto avrà
sicuramente un impatto significativo... Se (lo scontro tra Doha e Riyadh, ndr) durerà a lungo, allora sarà posta più pressione e i vari gruppi saranno chiamati scegliere un lato o l’altro», ha spiegato un jihadista al portale arabo d’informazione Middle East Eye.
Il mese scorso, a Ghouta, ad est di Damasco, almeno 95 miliziani sono
rimasti uccisi in combattimenti tra Jaish al Islam e Failaq al Rahman e
scontri simili potrebbero scoppiare nel fronte Hay’at al Sham, guidato
dall’ex al Nusra e che include gruppi pagati sia dal Qatar che
dall’Arabia Saudita.
Uno sviluppo che finirebbe per facilitare la liberazione da parte
dell’esercito siriano di un’area strategica a ridosso della capitale.
Intanto a nord esponenti kurdi esprimono una moderata simpatia
all’Arabia Saudita e condannano il Qatar che, alleato della Turchia,
boicotta Unità di Protezione Popolare (Ypg) e Pkk.
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