Che cosa sta accadendo nel Mar Nero, qual è la natura profonda della crisi che si è, in queste ultime ore, riacutizzata tra Ucraina e Russia in relazione al sequestro delle navi ucraine da parte dalla flotta militare russa?
Occorre andare per ordine, cominciando dai fatti concreti: domenica 25 novembre tre navi ucraine (le due cannoniere “Berdiansk” e “Nikopol” e il rimorchiatore “Yana Kapu”), dirette dal Mar Nero verso lo Stretto di Kerch, navigano per dirigersi al porto di Mariupol. Da tempo è necessario, e internazionalmente riconosciuto, che le navi ucraine (e non solo) che transitano in quella zona di mare al largo della Crimea (Federata con la Russia) chiedano preventivamente, come a livello internazionale fa ogni nave che passa al largo di una costa di un altro Paese, il permesso per proseguire il viaggio. In questo caso le tre navi ucraine dovevano chiedere il permesso alla flotta russa presente al largo della Crimea, così come tante altre volte altre navi ucraine in transito in quella zona di mare avevano già fatto. Ormai una consuetudine. Ma domenica 25 novembre le due cannoniere e il rimorchiatore dell’Ucraina passano senza chiedere nessun permesso alla flotta russa. La violazione della regola è così plateale che suscita immediatamente grandi perplessità, come se quella violazione fosse parte di un disegno prestabilito e la stessa, inevitabile, risposta russa un obiettivo delle navi e soprattutto del governo ucraino.
La flotta russa, infatti, risponde alla grave violazione delle regole marittime: chiede alle navi ucraine di fermarsi e, di fronte al sorprendente e ambiguo diniego, apre il fuoco, prima di sequestrarle e mettere in stato di fermo 23 tra ufficiali e marinai ucraini.
Ispezionando le tre navi, i russi rilevano la presenza, apparentemente incongrua ma (si sarebbe compreso) funzionale allo stesso disegno oscuro ucraino, di cannoni , lanciagranate e mitragliatrici. Oltreché, come rivelano gli ufficiali russi, documentazione scritta relativa alla natura segreta della missione delle tre navi ucraine.
Lunedì 26 novembre l’agenzia russa Tass diffonde un video in cui i marinai militari ucraini rivelano il motivo per il quale le navi ucraine, assurdamente, non si erano fermate rispetto allo stop normalmente richiesto dalla flotta russa. Dal video della Tass il capitano ucraino Vladimir Lesovoy dichiara letteralmente che, avendo scoperto di avere armi sulla nave, non si erano fermati per paura. E Lesovoy prosegue affermando che i marinai ucraini sono stati usati, “inconsapevolmente”, al fine di mettere in piedi una provocazione contro la Russia. La Tass rivela anche che sulle navi ucraine vi era la presenza di spie e agenti segreti del governo di Kiev. Il governo ucraino, in prima battuta, sostiene che le dichiarazioni dei marinai e degli ufficiali ucraini sono state estorte dai russi, per poi riconoscere che, in effetti, parte dell’equipaggio delle tre navi fermate fa parte dei servizi segreti dell’Ucraina.
Ora, è del tutto evidente che l’insieme dei fatti oscuri (la mancata richiesta alla flotta russa di poter proseguire la navigazione; il non fermarsi delle navi allo stop intimato dalla flotta russa; la presenza di armi e di agenti dei servizi segreti sulle navi ucraine) rimanda chiaramente alla volontà, da parte di Kiev, di costruire una provocazione e ottenere una reazione da parte russa (il sequestro delle navi e il fermo dei marinai e degli ufficiali ucraini).
A partire dal fatto che tutti gli atti delle navi ucraine abbiano palesemente ordito e rappresentato una provocazione: perché Kiev mette in campo tale provocazione. Con quali intenti?
Nella richiesta (immediatamente successiva al sequestro delle navi ucraine da parte della flotta russa) avanzata da parte del leader ucraino Poroshenko di introdurre in Ucraina la legge marziale, c’è la risposta al quesito. Alla Rada, il Parlamento ucraino, Poroshenko chiede che la legge marziale duri almeno 60 giorni. Il drammatico dibattito alla Rada concede al leader ucraino una legge marziale per “soli” 30 giorni.
Rispetto alla crisi del Mar Nero la richiesta della legge marziale appare al mondo intero una grande, incomprensibile, esagerazione, ed è questo il motivo per cui la stessa Rada dimezza il tempo richiesto da Poroshenko: da 60 a 30 giorni.
Perché Poroshenko vuole la legge marziale, una legge che non era stata imposta nemmeno nei quattro anni di guerra nel Donbass? Perché con questa legge il tempo sarebbe sospeso, fermato: se c’è aria di guerra non possono esserci cambiamenti politici. E qui esce fuori la verità e il perché della provocazione delle tre navi ucraine nel Mar Nero, di fronte alla Crimea e alla flotta russa: nel marzo del 2019, tra pochi mesi, si terranno in Ucraina le elezioni presidenziali e parlamentari e Poroshenko è dato, dai sondaggi, all’8%, mentre gli stessi sondaggi danno nettamente in testa l’antagonista Yulya Timoshenko. La richiesta della legge marziale, da ottenere attraverso la provocazione antirussa nel Mar Nero, risponde alla necessità di Poroshenko di allontanare le elezioni, di tentare un rovesciamento del quadro politico a lui fortemente avverso. E a rendere ancor più verosimile questa interpretazione, occorre ricordare che Poroschenko sta tentando di far passare una legge elettorale transitoria (appunto, da fase “speciale”, di guerra) secondo la quale si potrebbe votare solo nelle province senza legge marziale. Che, non a caso, sono quelle dove Poroshenko è ancora in vantaggio e l’opposizione non ha gli alti consensi delle altre province.
In questa disperata difesa del proprio potere, trova “senso” lo scontro che Poroshenko ha messo in atto nel Mar Nero: d’altra parte, un uomo come l’attuale presidente ucraino – che ha deciso di sottomettersi come un servo agli USA e alla NATO e di appoggiarsi al movimento nazifascista ucraino per giungere al potere – non può farsi scrupolo di nulla perché questo potere sia mantenuto.
Certo, l’accusa di provocazione non può essere accettata da Poroshenko e dunque, proprio in questi giorni, con l’attiva complicità più dell’UE che degli USA, più dai media europei che da quelli americani, da Kiev riparte l’accusa contro la Russia di aver preso la Crimea con la forza, di averla assoggettata. E c’è il rischio che il senso comune di massa europeo assuma questa tesi.
Va dunque ricordato che il referendum sull’autodeterminazione della Penisola della Crimea (comprendente la Repubblica autonoma di Crimea e la città autonoma di Sebastopoli, in Ucraina) si tenne il 16 marzo del 2014. Va ricordato che il referendum fu preceduto (il 4 marzo del 2014) dalla richiesta (approvata con 78 voti su 81) del Parlamento della Crimea volta a deliberare che se la Repubblica di Crimea fosse divenuta indipendente, essa poteva poi far parte della Federazione Russa. Oltre ciò occorre ricordare che l’11 marzo del 2014 la Repubblica di Crimea dichiarò la propria indipendenza dall’Ucraina. Per rammentare, infine, che il referendum del 16 marzo 2014, che metteva i cittadini della Crimea di fronte a due quesiti (1°: Sei favorevole al ricongiungimento della Crimea con la Russia, come soggetto federale della Federazione Russa? 2° Sei a favore del ripristino della Costituzione del 1992 e dello status della Crimea come parte dell’Ucraina?) ebbe questo esito (con un’affluenza di più di un milione e mezzo di votanti su di un milione e ottocentomila di aventi diritto al voto): prima opzione 97,32% dei voti; seconda opzione 2,68%. E ciò nonostante i tanti tentativi di inquinare il voto che portò avanti Kiev, con le forze NATO e con le squadracce nazifasciste.
Tutto ciò per smentire, a partire dalla realtà delle cose, ciò che oggi Poroshenko, tanta parte dell’Ue e dei media occidentali sostengono a proposito del fatto che la Russia avrebbe conquistato la Crimea manu militari (e che dunque, sembra dire Poroshenko, non ci sarebbe nessuna legittimazione, da parte della flotta russa al largo della Crimea, di ottenere dalle navi ucraine la richiesta del permesso per procedere nella navigazione).
Diversi Paesi membri dell’Ue, in relazione alla crisi del Mar Nero, hanno già chiesto, schierandosi preventivamente con Poroshenko, che il Parlamento dell’Ue rafforzi e lanci nuove sanzioni economiche contro la Russia. Alfiere di questa richiesta è oggi la Ministra austriaca “sovranista” e populista Karin Kneissi, seguita dai Paesi Baltici, dall’Olanda e (non avevamo dubbi) dalla Polonia fascista, che mette al bando il Partito Comunista Polacco. Particolarmente forte è stato, in questi giorni, il rapporto tra il presidente polacco Andrzey Duda e Poroshenko, un rapporto tutto segnato dal nero comune e volto a far passare, nel Parlamento europeo, un nuovo giro di vite contro la Russia.
Più attenta sembra essere, in queste ore, la Germania, che con la Russia ha scambi commerciali importanti, soprattutto sul versante dell’energia, del gas.
Ancora, rispetto alla crisi del Mar Nero e sulle sanzioni contro la Russia, non abbiamo sentito esprimersi il governo “sovranista” italiano. E ciò ci preoccupa, poiché già troppe volte, in relazione alla totale subordinazione agli USA e alla NATO e, nell’essenza, all’Ue, di sovranità, il governo Conte, ne ha dimostrata davvero poca.
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