Un
paese in cui l’unica crescita certa è quella della povertà. L’analisi
dell’Istat pubblicata stamattina, nonostante tutte le cautele
linguistiche e i distinguo statistici, non lascia margine ai dubbi.
I
dati si riferiscono a due diverse classificazioni dei poveri,
“relativi” e “assoluti”, e bisogna andare a guardare nella nota
metodologica per sapere di cosa si tratta. Viene infatti considerata “povera in termini relativi una famiglia di due
componenti che disponga di un reddito per componente non superiore alla
metà del reddito nazionale pro-capite”. Nel 2011, tale cifra risultava pari a 1.011,03 euro mensili.
Il confine della “povertà assoluta”, invece veniva indicato nella “spesa
mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi
considerati essenziali, nel contesto italiano e per una determinata
famiglia, a conseguire uno standard di vita “minimamente accettabile”. Variabile
dunque a seconda del territorio e dell’età dei componenti della
famiglia, così che “la soglia di povertà assoluta è pari a 984,73 euro,
se residente nel Nord, e a 761,38 euro, se nel Mezzogiorno; scende a
918,93 euro e 704,69 euro rispettivamente qualora uno dei due componenti
abbia più di 74 anni”.
Si può essere d’accordo o meno su questi criteri, ma fissano una soglia obiettiva misurabile.
Per il 2016, la stima Istat calcola in 1 milione e 619mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742mila individui. Un dato stabile rispetto all’anno precedente, sia in termini di famiglie sia di individui.
Si tratta del 6,3% delle famiglie, mentre per gli individui la percentuale arriva al 7,9%.
Naturalmente
conta moltissimo il numero dei componenti la famiglia e quello dei
percettori di un reddito. L’incidenza della povertà assoluta, allora,
sale al 26,8% (l’anno precedente era al 18,3%) tra le famiglie con tre o
più figli minori, coinvolgendo nell’ultimo anno 137mila 771 famiglie e
814mila 402 individui; aumenta anche fra i minori, da 10,9% a 12,5% (1
milione e 292mila nel 2016).
Un
aumento che si riproduce in modo pressoché uniforme sul territorio
nazionale, colpendo anche i piccoli centri con meno di 50.000 abitanti
(6,4%, da 3,3% dell’anno precedente).
Anche la povertà relativa risulta complessivamente stabile
rispetto al 2015. Nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti
(10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni
465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l’anno precedente).
Ma
anche in questo caso è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti
(17,1%) o 5 componenti e più (30,9%). In particolare, la povertà
relativa colpisce di più le famiglie giovani: raggiunge il 14,6% se la
persona di riferimento è un under35 mentre scende al 7,9% nel caso di un
ultra sessantaquattrenne. A guidare la classifica dei poveri sono
naturalmente gli operai (18,7%) e le famiglie in cui la persona di
riferimento in cerca di occupazione (31,0%).
Ma state tranquilli, il governo dice che sta andando tutto per il meglio (basta non chiedere “per chi”...)
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