La NATO ha messo in circolazione un videoclip di otto minuti su “I fratelli dei boschi in lotta per il Baltico”,
attivi al termine della Seconda guerra mondiale, eroicizzandone le
gesta contro “l’occupazione sovietica” che, a detta di quei “fratelli”
e, dunque, anche della NATO, non avrebbe fatto altro che subentrare al
giogo nazista.
Ora, chi erano quei “fratelli dei boschi”
– in russo “lesnye bratja” – che seminarono il terrore nei Paesi
baltici, tra il 1944 e il 1953, prima di essere definitivamente
debellati dalle forze del Ministero degli interni dell’URSS? In larga
parte, si trattava di ex appartenenti alle legioni baltiche delle SS o
ai reparti della polizia ausiliaria agli ordini dei nazisti: la variante
baltica, in sostanza, della divisione SS “Galizia” formata dai
filonazisti ucraini di OUN-UPA, che seminò stragi, per lo più nel
1942-’43, tra soldati sovietici e popolazione civile di origine ebraica,
ucraina, bielorussa e si distinse soprattutto nei massacri di civili polacchi
nella Volinija. Tra le “gesta eroiche” delle ex SS baltiche nel
dopoguerra, che, secondo la NATO, avrebbero combattuto per la
“statualità baltica”, ci sono altrettante stragi di civili, loro
conterranei, rei di appoggiare l’ordinamento sovietico.
E,
per l’appunto, se nel periodo dell’occupazione nazista, le formazioni
hitleriane baltiche erano agli ordini del Terzo Reich, a guerra finita e
soprattutto a partire dagli anni ’50 cominciarono a ricevere
rifornimenti e indicazioni da Washington e, quindi, dai comandi NATO.
Sono ormai declassificati i documenti della CIA relativi all’OUN-UPA ucraina
che, nonostante fosse definita da Washington “organizzazione
terroristica”, era indicata tra i “Fattori di resistenza” nelle aree
dell’Ucraina in cui, secondo gli USA, la popolazione avrebbe potuto
sostenere operazioni speciali antisovietiche. Lo stesso avveniva per il
Baltico. Non a caso, la glorificazione del passato nazista, in auge da
tre anni in qua nell’Ucraina golpista, gode di una tradizione ventennale
in Estonia, Lituania e Lettonia.
Non a caso, e perché non ci siano dubbi sugli attuali obiettivi del
videoclip, gli autori sottolineano come lo “spirito” dei “fratelli dei
boschi” continui a vivere negli odierni reparti speciali delle forze
armate dei tre Paesi baltici. Allo stesso modo, si potrebbe aggiungere,
con cui lo “spirito” mussoliniano continua a vivere negli italici
reparti paracadutisti che annualmente vanno a celebrare El Alamein.
Ma,
in cosa si contraddistinsero i “fratelli dei boschi” baltici, nei loro
sogni di grandezza e “indipendenza” nazionale? Le gesta “eroiche” non
raffigurate nel videoclip della NATO consistettero nell’eliminazione,
durante la guerra e nell’immediato dopoguerra, del 80% degli ebrei dei
Paesi baltici e nelle stragi di prigionieri di guerra sovietici.
Nell’uccisione, ad esempio, in Lituania, nei giorni a cavallo tra la
fine del 1946 e l’inizio del ’47, di numerose famiglie contadine,
peraltro di nazionalità non russa, compresi bambini piccolissimi;
soldati dell’Armata Rossa smobilitati; giovani attivisti del Komsomol;
segretari di soviet contadini; presidenti di seggi elettorali; semplici
membri del PC(b) lituano. Di regola, i familiari delle vittime, mogli e
bambini giovanissimi, facevano la stessa fine dei loro congiunti e le
povere abitazioni erano date alle fiamme.
Secondo
i dati del Fondo per la Memoria storica, tra i circa 900 estoni
assassinati dai “fratelli dei boschi”, il 56% era costituito da civili e
il resto da ex militari sovietici, attivisti politici, funzionari del
Ministero degli interni. In Lettonia, gli uccisi furono oltre 2.200,
vittime soprattutto di rappresaglie contro civili, razzie ai danni di
proprietà statali e kolkhoziane, attentati e sabotaggi. Il numero più
alto di vittime si registrò però in Lituania, con oltre 25.000 morti,
per l’84,6% cittadini lituani e per il 15,4% di altre nazionalità. Il
direttore scientifico della Società storico-militare russa, Mikhail
Mjagkov ha dichiarato a RIA Novosti che la stragrande maggioranza
delle vittime di quegli “eroi” dei boschi erano civili lituani, estoni e
lettoni. Tra le 25mila vittime lituane, si contarono 1.054 bambini,
compresi 52 piccolissimi minori di due anni. Secondo Mjagkov, “Nei paesi
NATO c’è questa tendenza: i Paesi baltici costituiscono l’avamposto
della guerra di informazione contro la Russia. La Russia sarà sempre il
nemico e chiunque lotti contro la Russia, viene considerato un amico,
indipendentemente dai crimini che commetta”. Tanto meglio se forte di
un’esperienza come quella che viene dal passato nazista.
E,
perché non ci siano dubbi sulla strumentalità di tante celebrazioni
dettate in larga parte da fini politici, al quartier generale della NATO
non risuona la parola “Olocausto” per le decine di migliaia di ebrei
assassinati in Ucraina dalle bande di OUN-UPA o nel Baltico dai
“fratelli dei boschi”. Non risuona nemmeno per le decine di migliaia di
ebrei polacchi della Volinija, trucidati dai banderisti ucraini e per i
quali la Varsavia ufficiale, celebrando l’11 luglio la ricorrenza del
giorno più tragico di quei massacri, ha tenuto a sottolineare, in
contrapposto ai manifestanti che scandivano “Non c’è vita qui per i
banderisti”, che “non si tratta di vendetta, ma di memoria”: affinché
non venga meno il comune “spirito” antirusso, a uso e consumo della
linea d’azione NATO. Così: tanto per chiarire quali siano le aspirazione
democratiche dell’Alleanza atlantica.
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