Dietro il compatto muro mediatico che riduce la guerra in Ucraina a un banale scontro tra “un aggredito” e “un aggressore” si muovono come sempre interessi molto più complessi e stratificati, che non è mai utile – per i protagonisti reali – esporre chiaramente.
I think tank occidentali, però, sono finanziati e gestiti proprio per razionalizzare scientificamente questi interessi, trovando similitudini storiche o ipotizzando scenari fuori dalle semplificazioni della propaganda spicciola per dare un senso o prefigurare i possibili punti di approdo di questa turbolenta fase storica.
E non sono assolutamente “esercizi mentali”, ma idee per costruire progetti dell’Amministrazione Usa, vista l’interscambio sempre notevoli tra questi “centri pensanti” e i posti di governo.
La rivista Foreign Policy è certamente un crocevia di primaria importanza per la “produzione teorica” migliore – o considerata “stimolante” – che esce da questi pensatoi.
E qui è apparso in questi giorni l’articolo che vi proponiamo, scritto da uno degli specialisti dell’American Enterprise Institute che si autodefinisce “un think tank di politica pubblica dedicato alla difesa della dignità umana, all’espansione del potenziale umano e alla costruzione di un mondo più libero e sicuro.
Il lavoro dei nostri studiosi e del nostro staff porta avanti idee radicate nella nostra fede nella democrazia, nella libera impresa, nella forza americana e nella leadership globale, nella solidarietà con coloro che sono alla periferia della nostra società e in una cultura pluralistica e imprenditoriale”.
Insomma, una punta di lancia intellettuale dell’imperialismo Usa.
L’articolo, a nostro avviso, va letto in abbinamento ad un’altra notizia degli scorsi mesi, ripresa dal nostro giornale, perché insieme costituiscono due scenari non troppo alternativi sulla fine della guerra. La differenza tra i due sta nell’esito della guerra in corso – “vittoria totale” Usa per quello vecchio, “mezza vittoria” per quello qui riportato.
Perché va sempre ricordato che la guerra, nella sua brutalità, è costituente il nuovo equilibrio che si stabilisce dopo la sua conclusione.
I lettori più attento potranno vedere in controluce una serie di follie caratteristiche dell’imperialismo euro-atlantico (in generale: l’illusione di poter disporre del mondo intero come una propria colonia, semmai da ridurre a miti consigli).
Non manca, naturalmente, il disprezzo strategico totale verso l’alleato più suicida (l’Unione Europea e tutti i suoi stati membri), considerata alla stregua di minus habens costitutivamente incapaci di assumere un profilo globale (Francia e Germania in primo luogo).
Fino all’idiozia epistemologica che porta da un lato a scrivere
“La leadership politica consiste nel rispondere in modo creativo alle sfide del proprio tempo, non nel cercare di applicare una vecchia cassetta degli attrezzi (in questo caso, un approccio agli allargamenti dell’UE e della NATO in stile anni ’90) a una nuova situazione.”
... e dall’altra immaginare uno scenario che ha il suo “fondamento spirituale”... in un matrimonio regale del 1386! Ossia nella “preistoria”, rispetto alla modernità...
Buona lettura.
I think tank occidentali, però, sono finanziati e gestiti proprio per razionalizzare scientificamente questi interessi, trovando similitudini storiche o ipotizzando scenari fuori dalle semplificazioni della propaganda spicciola per dare un senso o prefigurare i possibili punti di approdo di questa turbolenta fase storica.
E non sono assolutamente “esercizi mentali”, ma idee per costruire progetti dell’Amministrazione Usa, vista l’interscambio sempre notevoli tra questi “centri pensanti” e i posti di governo.
La rivista Foreign Policy è certamente un crocevia di primaria importanza per la “produzione teorica” migliore – o considerata “stimolante” – che esce da questi pensatoi.
E qui è apparso in questi giorni l’articolo che vi proponiamo, scritto da uno degli specialisti dell’American Enterprise Institute che si autodefinisce “un think tank di politica pubblica dedicato alla difesa della dignità umana, all’espansione del potenziale umano e alla costruzione di un mondo più libero e sicuro.
Il lavoro dei nostri studiosi e del nostro staff porta avanti idee radicate nella nostra fede nella democrazia, nella libera impresa, nella forza americana e nella leadership globale, nella solidarietà con coloro che sono alla periferia della nostra società e in una cultura pluralistica e imprenditoriale”.
Insomma, una punta di lancia intellettuale dell’imperialismo Usa.
L’articolo, a nostro avviso, va letto in abbinamento ad un’altra notizia degli scorsi mesi, ripresa dal nostro giornale, perché insieme costituiscono due scenari non troppo alternativi sulla fine della guerra. La differenza tra i due sta nell’esito della guerra in corso – “vittoria totale” Usa per quello vecchio, “mezza vittoria” per quello qui riportato.
Perché va sempre ricordato che la guerra, nella sua brutalità, è costituente il nuovo equilibrio che si stabilisce dopo la sua conclusione.
I lettori più attento potranno vedere in controluce una serie di follie caratteristiche dell’imperialismo euro-atlantico (in generale: l’illusione di poter disporre del mondo intero come una propria colonia, semmai da ridurre a miti consigli).
Non manca, naturalmente, il disprezzo strategico totale verso l’alleato più suicida (l’Unione Europea e tutti i suoi stati membri), considerata alla stregua di minus habens costitutivamente incapaci di assumere un profilo globale (Francia e Germania in primo luogo).
Fino all’idiozia epistemologica che porta da un lato a scrivere
“La leadership politica consiste nel rispondere in modo creativo alle sfide del proprio tempo, non nel cercare di applicare una vecchia cassetta degli attrezzi (in questo caso, un approccio agli allargamenti dell’UE e della NATO in stile anni ’90) a una nuova situazione.”
... e dall’altra immaginare uno scenario che ha il suo “fondamento spirituale”... in un matrimonio regale del 1386! Ossia nella “preistoria”, rispetto alla modernità...
Buona lettura.
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È tempo di riportare in vita l’Unione polacco-lituana
È tempo di riportare in vita l’Unione polacco-lituana
Dalibor Rohac *, senior fellow dell’American Enterprise Institute
Nel 1386, l’ultimo sovrano pagano della Lituania, Jogaila, sposò la regina bambina della Polonia, Jadwiga, allora appena adolescente. Il matrimonio creò un’unione politica tra la Polonia e il Granducato di Lituania, che comprendeva gran parte delle attuali Bielorussia e Ucraina.
In questo modo si risolse un duplice problema. Da un lato, ha contribuito a portare i vasti territori dell’Europa orientale, comprese le terre dell’ex Rus’ di Kyiv, all’interno della cristianità occidentale. In secondo luogo, l’unione affrontò l’immediata preoccupazione per la sicurezza di polacchi e lituani: la minaccia dei Cavalieri Teutonici.
L’Unione polacco-lituano sarebbe diventata uno dei Paesi più grandi d’Europa e un affascinante laboratorio di governance politica, studiato in dettaglio dai padri fondatori degli Stati Uniti, in particolare nei Federalist Papers.
Dopo la fine della dinastia jagellonica, l’Unione si trasformò in una monarchia elettorale, simile alle città-stato italiane ma operante su una scala molto più ampia. La legislatura dell’Unione e le diete locali seguivano il principio dell’unanimità, non diversamente da quanto fa oggi il Consiglio europeo su molte questioni. L’atmosfera di tolleranza religiosa e di libertà di cui godeva la nobiltà dell’Unione costituiva un netto contrasto con le monarchie assolutiste dell’Europa occidentale, per non parlare della tragica storia che seguì la fine dell’Unione nel 1795.
E se una soluzione politica simile fosse disponibile per i problemi che l’Ucraina e la Polonia devono affrontare oggi?
L’argomentazione a favore di un’esplicita unione politica tra i due Paesi non si basa sulla nostalgia, ma su interessi comuni. A dire il vero, grazie a quattro secoli di storia comune all’interno del Unione polacco-lituano, gran parte dell’Ucraina odierna (e della Bielorussia) condivide molto più del suo passato con la Polonia che con la Russia, nonostante le affermazioni dei propagandisti russi che affermano il contrario e nonostante il fatto che la relazione sia stata spesso molto complicata, come dimostrano gli eventi del Diluvio del XVII secolo, in particolare la rivolta di Khmelnytsky e le sue interpretazioni contrastanti da parte di polacchi e ucraini.
Tuttavia, il presente e il futuro prossimo sono ancora in corso. Entrambi i Paesi stanno affrontando la minaccia della Russia. Oggi la Polonia è un membro regolare dell’UE e della NATO, mentre l’Ucraina è desiderosa di aderire a entrambe le organizzazioni, non diversamente dal Granducato di un tempo, desideroso di entrare a far parte dell’Europa tradizionale e cristianizzata.
Anche se la guerra dell’Ucraina contro la Russia dovesse concludersi con una decisiva vittoria ucraina, che caccerebbe dal Paese le degradate forze russe, Kiev dovrebbe affrontare una lotta potenzialmente lunga decenni per entrare nell’UE, per non parlare dell’ottenimento di credibili garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti.
I Paesi dei Balcani occidentali, mal governati e instabili, soggetti all’interferenza russa e cinese, sono un monito per capire dove potrebbe portare un prolungato “status di candidato” e l’indecisione europea. Una nazione ucraina militarizzata, amareggiata nei confronti dell’UE per la sua inazione, e forse offesa da una conclusione insoddisfacente della guerra con la Russia, potrebbe facilmente diventare un peso per l’Occidente.
Immaginiamo invece che, alla fine della guerra, la Polonia e l’Ucraina formino uno Stato federale o confederale comune, fondendo le loro politiche estere e di difesa e portando l’Ucraina nell’UE e nella NATO quasi istantaneamente.
L’Unione polacco-ucraina diventerebbe il secondo Paese più grande dell’UE e probabilmente la sua maggiore potenza militare, fornendo un contrappeso più che adeguato al tandem franco-tedesco, cosa che manca all’UE dopo la Brexit.
Per gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, l’unione sarebbe un modo permanente per proteggere il fianco orientale dell’Europa dall’aggressione russa. Invece di un paese sconclusionato e un po’ caotico di 43 milioni di abitanti che indugia nella terra di nessuno, l’Europa occidentale sarebbe protetta dalla Russia da un paese formidabile con una comprensione molto chiara della minaccia russa.
“Senza un’Ucraina indipendente, non ci può essere una Polonia indipendente“, sosteneva notoriamente il leader polacco del periodo tra le due guerre, Jozef Pilsudski, sostenendo la necessità di una federazione dell’Europa orientale a guida polacca che comprendesse Lituania, Bielorussia e Ucraina, in pratica una ricreazione del Unione medievale.
Non è un discorso di fantasia. All’inizio della guerra, la Polonia ha approvato una legge che consentiva ai rifugiati ucraini di ottenere un numero di identificazione polacco, dando loro così accesso a una serie di benefici sociali e sanitari normalmente riservati ai cittadini polacchi.
Il governo ucraino ha promesso di ricambiare, estendendo ai polacchi in Ucraina uno status giuridico speciale non disponibile per gli altri stranieri. Con oltre 3 milioni di ucraini che vivono in Polonia – compresa una consistente popolazione prebellica – i legami culturali, sociali e personali tra le due nazioni si rafforzano ogni giorno di più.
C’è anche un ovvio precedente di unione politica che ha significativamente alterato l’equilibrio di potere nell’UE e ha superato molti degli ostacoli che una potenziale unione polacco-ucraina dovrebbe affrontare: la riunificazione tedesca.
Dopo le prime elezioni libere in Germania Est nel marzo 1990, il nuovo governo cristiano-democratico negoziò rapidamente un trattato che stabiliva un’unione monetaria, economica e sociale tra la Germania Est e la Germania Ovest, a partire dal 1° luglio dello stesso anno. Non solo il marco tedesco divenne moneta a corso legale nella Germania dell’Est, ma la Germania dell’Est adottò anche la legislazione della Germania dell’Ovest che regolava l’attività economica – dall’antitrust, al lavoro, alla regolamentazione ambientale, alla protezione dei consumatori – e procedette allo smantellamento di ogni residuo del dominio comunista.
Questo fu solo il primo passo verso l’unificazione politica. Seguì l’adesione della Germania Est alla Costituzione tedesca, la Legge fondamentale, proprio come fece il Saarland quando si unì alla Germania Ovest nel 1956.
Un complesso trattato di unificazione regolava nei minimi dettagli quali parti della legge della ex Germania Est sarebbero rimaste in vigore e quali sarebbero state sostituite dalla legge della Germania Ovest, con quali modalità e tempi.
Contemporaneamente, nell’estate del 1990, un accordo tra il cancelliere Helmut Kohl e il leader sovietico Mikhail Gorbaciov spianò la strada verso l’adesione alla NATO e alla Comunità economica europea (CEE) per la Germania unificata. Nell’ambito della CEE, l’unificazione tedesca ha provocato una revisione del trattato, che ha portato infine all’abbandono da parte della Germania del suo amato marco tedesco a favore dell’euro.
Non si può sminuire la complessità dell’unificazione, in particolare dei suoi aspetti legali e normativi, ulteriormente complicati dagli impegni europei della Germania. Tuttavia, l’esempio tedesco dimostra che un simile esercizio è possibile quando esiste una sufficiente volontà politica. A meno di 11 mesi dalla caduta del Muro di Berlino, il 3 ottobre 1990 i tedeschi dell’Est sono diventati cittadini della Repubblica federale a tutti gli effetti.
Ci sono alcune ovvie differenze tra la situazione polacco-ucraina di oggi e quella tedesca dei primi anni Novanta. Per prima cosa, nonostante la cultura, la storia e i legami linguistici comuni – e la presenza di un’ampia popolazione ucraina in Polonia – l’idea di “assorbire” l’Ucraina nella Polonia è un’idea ovviamente non praticabile.
A differenza del 1990, quando i tedeschi dell’Est dovettero accettare la Legge fondamentale della Germania occidentale e, di fatto, l’intero sistema giuridico e politico dei loro cugini democratici più sviluppati, un’unione polacco-ucraina richiederebbe la stesura di un nuovo documento costituzionale e la costruzione di istituzioni federali o confederali condivise, oltre a quello che sarebbe un complesso trattato di unificazione.
La sussidiarietà dovrebbe essere il principio guida di tali sforzi, soprattutto perché lo scopo dell’unione non sarebbe quello di cancellare l’identità o la statualità ucraina, al contrario. Le aree in cui il diritto polacco dovrebbe essere introdotto nel sistema giuridico ucraino, non appena possibile, sono quelle necessarie per l’effettivo funzionamento dell’Ucraina all’interno dell’UE e del suo mercato unico.
Ci sono altre aree, tuttavia, in cui tale armonizzazione non è necessaria – o perché si trovano completamente al di fuori delle competenze dell’UE o perché gli ucraini potrebbero trovare il modo di conformarsi al diritto dell’UE alle loro condizioni entro tempi predefiniti.
Probabilmente, la sfida più grande della riunificazione tedesca ha riguardato il divario economico tra le due parti costituenti. Dal 1990, si stima che più di 2.000 miliardi di dollari siano stati trasferiti dall’Ovest all’Est, ovvero circa la metà del PIL annuale della Germania, in gran parte sotto forma di trasferimenti attraverso il sistema di welfare.
In termini reali, i redditi della Germania Est erano circa un terzo di quelli dell’Ovest, una differenza simile a quella tra Ucraina e Polonia prima della guerra. La differenza principale, ovviamente, è la dimensione relativa dei due Paesi: mentre la popolazione della Germania Est era solo un quarto di quella della Germania Ovest, quella dell’Ucraina è più grande di quella della Polonia.
Non è ragionevole aspettarsi che il sistema di welfare polacco diventi un importante veicolo di ridistribuzione verso l’Est; in realtà, i contribuenti polacchi non dovrebbero affatto pagare il conto della ricostruzione dell’Ucraina e della sua crescita di recupero. Oltre ai beni russi – in particolare i 300 miliardi di dollari detenuti dalla sua banca centrale e attualmente congelati nelle capitali finanziarie occidentali – l’UE e i suoi ricchi Stati membri dell’Europa occidentale dovranno farsi avanti.
Ma questa non è una novità, indipendentemente dalla natura dell’accordo politico del dopoguerra. La novità dell’idea di un’Unione polacco-ucraina è che la sua nascita creerebbe un ambiente politico e legale in cui il denaro speso non sarebbe diretto a un Paese che indugia nella sala d’attesa dell’UE, ma a uno Stato membro, con tutto il rigore e il controllo che ne derivano.
Ci sono molte potenziali obiezioni. La principale è il realismo dell’idea. Perché i polacchi dovrebbero intraprendere un’impresa radicale di tali proporzioni? E perché le nazioni dell’Europa occidentale dovrebbero accettare (e in gran parte pagare) l’ascesa di una nuova potenza europea che sposterebbe irrevocabilmente il centro di gravità dell’UE verso est?
La risposta alla prima domanda è semplice: l‘aggressione della Russia e il suo fallimento aprono nuove opportunità per la costruzione di uno Stato.
La leadership politica consiste nel rispondere in modo creativo alle sfide del proprio tempo, non nel cercare di applicare una vecchia cassetta degli attrezzi (in questo caso, un approccio agli allargamenti dell’UE e della NATO in stile anni ’90) a una nuova situazione.
Un’Unione polacco-ucraina potrebbe essere il modo più semplice per trasformare l’Ucraina del dopoguerra in un Paese stabile, prospero e forte, in grado di tenere a bada la Russia, cosa che è nell’interesse di Varsavia.
Per quanto riguarda la seconda domanda, si noti che Bruxelles, Berlino e Parigi si sono già impegnati ad allargare l’UE concedendo all’Ucraina lo status di candidato, con tutto ciò che questo comporterebbe.
Un’unione politica esplicita tra la Polonia e l’Ucraina renderebbe impossibile prendere tempo e sottrarsi a tale impegno, come si può prevedere che faranno. Opporsi a tale unione, inoltre, significherebbe opporsi a uno degli attributi fondamentali dell’autodeterminazione nazionale dell’Ucraina, che i leader europei hanno giurato più volte di proteggere.
È qui che entra in gioco la leadership degli Stati Uniti. Considerati gli investimenti già effettuati per il successo dell’Ucraina sul campo di battaglia, che superano di gran lunga i contributi dell’Europa occidentale, gli americani hanno un forte interesse a trasformare l’Ucraina in una storia di successo, soprattutto quando la guerra stessa si allontana dallo specchietto retrovisore.
Data la cronica incostanza della vecchia Europa, illustrata dalle disavventure dell’UE nei Balcani, il futuro dell’Ucraina è troppo importante per essere lasciato nelle mani di Bruxelles, Parigi e Berlino. Se Varsavia e Kiev fossero disposte a farsi avanti e a risolvere il problema dell’Europa orientale una volta per tutte, l’amministrazione statunitense dovrebbe sostenere la Polonia e l’Ucraina.
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