L’inchiesta che il pubblico ministero Paolo Storari del Tribunale di Milano sta conducendo sulle multinazionali della logistica sta facendo emergere uno scenario che conferma il carattere delinquenziale che si cela dietro gli appalti utilizzati dai grandi provider multinazionali della logistica per fare profitto sulle spalle dell’erario e ancor più su quelle delle lavoratrici e dei lavoratori.
Quanto imputato oggi a BRT e GEODIS rappresenta un “secondo tempo” delle indagini che portarono, nel 2021, altre multinazionali (tra queste anche DHL e GLS) sul banco degli imputati per un “eccesso di esternalizzazioni”.
Anche oggi, ancora una volta, il meccanismo truffaldino è quello che porta i committenti ad usare fornitori di servizi che non versano l’IVA, che emettono fatture per operazioni inesistenti, che praticano una intermediazione illecita di mano d’opera, che spezzano corpi di lavoratori con ritmi e carichi di lavoro insostenibili.
Ovviamente il ladrocinio avviene “ad insaputa” dei vari c.d.a. e a pagarne le spese è qualche manager di rango sacrificabile; resta il fatto che il sistema e la legislazione degli appalti mostrano una vulnerabilità al malaffare – almeno nella logistica – che data dal 2011, dalle prime inchieste della Boccassini sulle infiltrazioni n’dranghetiste (clan dei Flachi e delle n’drine reggine) nelle filiali milanesi dell’allora TNT.
Gli appalti rappresentano lo schermo dietro il quale i committenti, cioè i padroni, perseguono il profitto senza tanti scrupoli e cercano di eliminare il coinvolgimento diretto nelle controversie sindacali.
Sintomatico il caso di BRT, uno dei giganti italiani (ex Bartolini ora di proprietà delle Poste francesi) della distribuzione “ultimo miglio” che conta su 4.000 dipendenti diretti (in gran parte amministrativi) e ben 18.000 in appalto (soprattutto driver e, molto meno, magazzinieri) alle dipendenze di una moltitudine (oltre 2.000) di coop, società e padroncini.
Una vera e propria giungla di datori di lavoro caratterizzata da un turn over bestiale, da un ritmo di cambi appalti che ha una cadenza mediamente biennale.
E ad ogni cambio appalto i lavoratori rischiano di perdere per strada i versamenti contributivi, il TFR, i ratei di 13^, 14^, il pagamento delle ferie, della malattia, degli infortuni, l’anzianità convenzionale e con essa gli scatti e magari pure l’ultimo stipendio.
In questo vortice di cambi, di contenitori che mutano denominazione sociale, ma non presidenti, capi e capetti capita anche di “dimenticarsi” di pagare l’IVA, di infilare nei bilanci qualche fattura farlocca...
Ma non finisce qui il malaffare.
In BRT, ma anche negli altri provider, è molto gettonato il sistema della disintermediazione del rapporto di lavoro, ossia il trasformare il Corriere in un imprenditore con una propria partita IVA e con gli strumenti di lavoro a sue spese e responsabilità.
Si tratta dei cosiddetti padroncini, alcuni a “loro insaputa” che si trovano intestato il pagamento del leasing del furgone, le spese per i carburanti, la manutenzione dei mezzi.
Provate a fare stare a casa questi corrieri quando non stanno bene dal momento che non usufruiscono del pagamento della malattia. Provate a convincerli che è un rischio per la loro incolumità e per quella degli altri utenti della strada...
Una non assunzione di responsabilità, quella di BRT (e dei suoi simili), che si abbatte rovinosamente anche sui lavoratori con un rapporto di lavoro subordinato per i quali è previsto il pagamento di franchigie in caso di incidenti o danni al mezzo di lavoro, neanche fosse di loro proprietà.
Insomma in questo sistema di appalti la cui legislazione si fonda su una netta divisione di ruoli tra committenza – dedita alle attività di core business – e fornitori di servizi prevedendo per questi ultimi autonomia organizzativa, gestione della strumentazione di lavoro, conoscenza delle procedure e rischio di impresa, il potere datoriale rimane fermamente nelle mani del padrone e tutti i rischi e i danni sono scaricati sui lavoratori.
Non occorre dire che quando USB si cimenta nelle trattative sindacali non parla con 2.000 Coop, srl, padroncini, ma con un manager BRT che dispone di tutto.
L’indagine del PM Storari denuda il re e cambia quello che fu il paradigma adottato la scorsa estate dalla procura piacentina che definiva vittime gli imprenditori ed estorsori i sindacati che con gli scioperi chiedevano salario, sicurezza, legalità e rispetto della dignità umana.
Ora emergono le cause di quegli scioperi, emerge il caporalato, l’evasione fiscale e contributiva, la cialtronaggine della nostra classe imprenditoriale.
Auguriamo successo al PM, ci auguriamo che i 126 milioni di euro ora sequestrati a BRT e GEODIS finiscano nelle casse dello stato per pagare la sanità pubblica, il trasporto pubblico, la scuola pubblica. Noi sappiamo però che per garantire diritto e civiltà duraturi a questo paese e al lavoro che ispira la nostra Carta Costituzionale, bisogna chiudere col sistema degli appalti, bisogna INTERNALIZZARE TUTTI i lavoratori con stipendi dignitosi e ritmi umanamente sostenibili.
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