La centrale nucleare di Monticello, vicino Minneapolis, ha registrato la perdita di più di 1,5 milioni di tonnellate di acqua radioattiva... il 22 novembre scorso.
Ma l’opinione pubblica ne è stata informata solo ora, a quattro mesi di distanza.
In tutto questo periodo, la società Xcel Energy, che gestisce l’impianto, ha portato avanti le rilevazioni necessarie e ha trattato l’acqua contaminata da trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. L’azienda ha detto di star lavorando sul liquido potenzialmente interessato, e di aver recuperato il 25% della sostanza rilasciata.
In ogni caso, è stato dichiarato che non c’è pericolo per le persone o per l’ambiente, poiché la perdita, proveniente da una tubatura rotta tra due edifici, è rimasta confinata nell’area del sito. La fuoriuscita è stata dunque fermata e non ha raggiunto né fonti di acqua potabile né il fiume Mississippi, mentre Xcel Energy continua il monitoraggio delle falde sotterranee.
Le operazioni procedono sotto la supervisione della Minnesota Pollution Control Agency, l’istituto pubblico deputato a controllare situazioni di inquinamento ambientale. Non nuove nel caso di questa centrale, che aveva già registrato una perdita di trizio nel 2009.
È insomma solo un caso che anche questa volta si sia evitato un disastro ambientale e per la salute di milioni di persone (e tuttavia ancora tutto il materiale radioattivo non è stato recuperato). A differenza di quel che è successo nemmeno due mesi fa col treno deragliato in Ohio, pieno di sostanze chimiche e infiammabili.
Eventi come questo dimostrano la completa irresponsabilità sociale delle grandi aziende e la sudditanza della classe politica occidentale, incapace a gestire situazioni di questo genere se non con modalità autoritarie.
Il governo statunitense ha minimizzato il disastro dell’Ohio per diversi giorni: basta ricordare il caso del giornalista Evan Lambert, arrestato mentre commentava l’operato delle forze dell’ordine dopo il deragliamento.
La difesa a oltranza dell’operato del “privato” è un’ulteriore prova di come il sistema di produzione capitalista viva una contraddizione insanabile tra ricerca del profitto e natura, con tutti gli effetti che ne derivano.
Senza considerare che, ad esempio, anche la famosa transizione green della UE è stata accantonata con la necessità di sostenere l’escalation bellica, e comunque gli investimenti sono lasciati alla direzione del mercato e dunque con priorità ai dividendi piuttosto che all’ambiente. Come si comprende, del resto, dal lungo silenzio sulla perdita di acqua contaminata a Minneapolis.
A proposito di quest’ultimo punto, dopo l’ennesima tragedia sfiorata crolla di fatto anche la credibilità della narrazione che vorrebbe la fissione nucleare come un’”alternativa sostenibile” al fossile. È evidente che ogni fonte di energia ha un certo impatto su ciò che ci circonda, ma ciò che è davvero inaccettabile è la martellante propaganda che vuole convincere l’opinione pubblica che il nucleare è “sicuro” e utile al traguardo di una società carbon free.
Lo scopo non nascosto di questa spinta sull’atomo è quello dell’autonomia energetica, mentre quello sottaciuto è che con essa si avrebbero le mani più libere nel muovere guerra ai paesi che minacciano il dominio occidentale. Del resto, il risvolto militare dello sviluppo dell’energia nucleare è riscontrabile anche nella fusione, su cui sono state spese tonnellate di chiacchiere negli ultimi mesi.
Il tutto viene sostenuto ideologicamente proprio con la necessità non più rimandabile di “ridurre le emissioni”, mascherando la tendenza alla guerra del capitale come “coscienza ambientale“. Il recente accordo tra alcuni campioni europei dell’energia per il ritorno del nucleare in Italia si legittima come “green” proprio grazie alla cornice della transizione verde europea.
Perché questo racconto resti in piedi è chiaro che bisogna sottacere a tutti i costi disastri sfiorati come quello della centrale statunitense. Difatti, nonostante la rilevanza della notizia già giunta con un ritardo scandaloso, tutti i giornali e i telegiornali si sono guardati bene dal produrre approfonditi servizi di sacrosanta informazione sui possibili rischi dell’energia atomica.
Però a noi viene facile immedesimarci nella preoccupazione che possono avere gli abitanti di Monticello, nel Minnesota, nel nord degli Stati Uniti, città con un nome che potrebbe tranquillamente essere quello di una località italiana. E se i decisori politici alla fine decideranno di tornare all’uranio, uno scenario del genere potremmo ritrovarci a osservarlo molto più da vicino.
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