L’accordo raggiunto ieri tra Unione Europea e Germania sui cosiddetti e-fuels – carburanti sintetici per l’autotrazione – dice molto su cosa si intenda, in campo neoliberista, per “transizione ecologica” e ancora di più su come funzioni concretamente l’Unione Europea.
Ricordiamo che la stessa UE aveva di recente approvato il divieto di immatricolazione delle auto a benzina e gasolio a partire dal 2035. Su questo Germania e Italia – i paesi che dipendono di più dall’industria automobilistica per Pil e occupazione, insieme alla Francia – si erano mostrate decisamente contrarie, minacciando ostruzionismo.
La decisione europea, infatti, significava di fatto la fine dei motori endotermici (comunque alimentati) e la loro sostituzione con quelli elettrici, molto meno complessi e dunque meno affamati di manodopera sia per la fabbricazione che per la manutenzione durante il ciclo di vita.
Ma la “battaglia unitaria” di Roma e Berlino è durata lo spazio di un mattino, poiché gli interessi materiali cessavano di essere simili non appena si passava dalle dichiarazioni di principio alle tecnologie alternative concretamente sviluppate.
Da tempo, infatti, Volkwagen e altri costruttori tedeschi (Audi, BMW, ecc.) stanno puntando sull’alimentazione ad e-etanolo. Un combustibile sintetico ottenuto separando l’idrogeno dall’ossigeno mediante elettrolisi dell’acqua (di mare, desalinizzata) e miscelandolo poi con anidride carbonica e alcune sostanze catalizzanti.
Processo sicuramente costoso ma considerato poco inquinante, sia in fase di produzione del combustibile che in sede di consumo automobilistico (le emissioni zero non esistono, al momento).
I produttori italiani (Fiat, ormai fusa con Peugeot-Citroen e Chrysler) hanno puntato invece sui cosiddetti biocarburanti, ovvero su un gasolio (HVO) ottenuto mediante raffinazione degli scarti di produzione o colture non idonee per utilizzi alimentari.
I problemi sono in questo caso più numerosi (a cominciare dal rischio che le superfici coltivabili siano usate per questo fine invece che per prodotti alimentari), perché le emissioni sono certamente inferiori a quelle del gasolio classico o della benzina – entrambi ottenuti dalla raffinazione del petrolio – ma decisamente superiori a quelle dell’e-etanolo.
L’unico elemento in comune è il “salvataggio” dei motori endotermici, che potrebbero continuare ad essere prodotti (con qualche modifica all’alimentazione), senza dover investire in qualcosa di integralmente nuovo (e su cui, come sanno tutti, i produttori cinesi sono già molto più avanti).
Insomma, una “eccezione conservatrice” in entrambi i casi, ma peggiore nella soluzione italiana.
Il peso economico e politico della Germania ha fatto il resto, “persuadendo” il Commissario europeo Frans Timmermans a concedere la deroga per i carburanti e-fuels, ma non per il biodiesel.
Sembra evidente che qui la “difesa dell’ambiente” c’entra assai poco, al massimo come argomento per giustificare scelte che favoriscono alcuni mentre affossano altri.
Ma è proprio questo il modo concreto di funzionare dell’Unione Europea, sia quando si parla di “regole di bilancio”, sia quando si parla di “politiche ambientali”.
Un modo di funzionare concorrenziale all’interno di un mercato fintamente unico, ma favorito dall’arretratezza tecnologica di una borghesia come quella italiana, che da decenni fa profitti aumentando il tasso di sfruttamento del lavoro e “risparmiando” sull’innovazione tecnologica, sia di processo che di prodotto.
Ora governo Meloni e finta opposizione si ritrovano “uniti”, ancora una volta, nel difendere “l’industria nazionale” (in realtà una multinazionale italo-franco-statunitense chiamata Stellantis) dopo aver bellamente ignorato – per almeno trenta anni – le scelte suicide di quella azienda che tantissimo tempo fa dettava temi, tempi, regole e finanziamenti allo Stato italiano.
La Fiat ci uccide, oggi come ieri...
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