“Venite signori della guerra / voi che costruite i cannoni / voi che costruite gli aereoplani di morte / voi che costruite le bombe / voi che vi nascondete dietro muri / voi che vi nascondete dietro scrivanie / voglio solo che sappiate / che posso vedere attraverso le vostre maschere”.
Bob Dylan, “Masters Of War” da “The freewheelin’ Bob Dylan”, 1963
Bob Dylan, “Masters Of War” da “The freewheelin’ Bob Dylan”, 1963
Qui in Italia non è così noto, ma la controcultura hippie degli anni Sessanta, di cui San Francisco era divenuta la capitale, è stata uno degli ingredienti che ha contribuito, nel decennio successivo, alla creazione di quei gruppi di appassionati di elettronica, come l’Homebrew computer club, in cui hanno mosso i primi passi personaggi come Steve Wozniack e Steve Jobs, i fondatori della Apple.
Il sogno naïf di quella generazione era che i piccoli personal computer avrebbero distribuito il potere di calcolo, cambiando la società. Il poeta Richard Brautigan arrivò a cantare di questa utopia nel suo poema del 1967 “All watched over by machines of loving grace” che conobbe per questo una discreta fortuna.
Forse anche per questo motivo alcuni, tra cui Bill Gates, sono rimasti stupiti della recente sterzata all’estrema destra della totalità dei Gafam, ossia Google, Apple, Facebook (ora Meta), Amazon e Microsoft.
La “svolta a destra”, però, non ha coinvolto solo la generazione degli ex-hippie. Sembra passato un millennio da quando due giovani universitari di belle speranze, Larry Page e Sergej Brin, fondavano una start-up per gestire il successo del loro algoritmo di ricerca, PageRank, che aveva dato i natali al più fortunato “motore” di ricerca su internet, Google. Allora, era il 1998, il motto scelto per la loro impresa era “Do no evil” ossia “Non fare del male”.
Chissà che cosa penserebbero oggi quegli stessi giovanotti della decisione presa, a gennaio di quest’anno, dalle loro attuali versioni imbolsite e con le borse sotto gli occhi: far cadere la clausola che impegnava l’azienda a non utilizzare i propri studi sull’intelligenza artificiale per scopi militari, aprendo così la porta allo sviluppo di killer robots, in accordo con un piano di implementazione delle armi autonome pubblicato dalla Nato già nel 2023.
Purtroppo questa decisione non fa altro che suggellare un impegno sul campo dell’azienda che va ben oltre la ricerca e sviluppo di sistemi d’arma. L’American friends service commitee (Afsc) – storica organizzazione nonviolenta americana legata ai quaccheri – accusa da tempo Google di avere responsabilità dirette nei crimini di guerra compiuti da Israele in Palestina dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023.
Secondo un’esplosiva inchiesta della rivista israeliana +972 uscita ad agosto del 2024, Google, insieme a Microsoft (Azure) e Amazon (Amazon web services – Aws, il fornitore che vanta i legami più solidi di tutti con governo e militari israeliani), avrebbe fornito servizi cloud classici al Project nimbus, il servizio di raccolta dati del governo, utilizzato successivamente dall’esercito per individuare i bersagli militari.
Contemporaneamente, su un’altra commessa, Microsoft e Google fornivano la tecnologia di “intelligence artificiale” per il riconoscimento facciale, usata per scegliere automaticamente gli obiettivi degli attacchi che hanno causato decine di migliaia di morti civili. Diverse altre inchieste del Washington Post danno riscontro e solidità alle accuse dell’Afsc.
Purtroppo Google non è l’unica impresa del gruppo Gafam a essere impegnata in prima linea nei peggiori conflitti in atto (anche se, per ora, è l’unica ad aver licenziato i suoi dipendenti che protestavano contro queste collaborazioni). La lista è talmente lunga da eccedere lo spazio di questa rubrica: ci dovremo limitare a una attenta selezione, partendo da Meta Platforms Inc. (conglomerato che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e l’ultimo nato Threads).
In questo momento l’ufficio stampa di Meta è impegnato in un titanico sforzo per evitare che le persone leggano “Careless People”, il libro-scandalo della sua ex-dipendente Sarah Wynn-Williams che ne rivela alcuni dei segreti più inconfessabili (legati alle sue responsabilità nel massacro della minoranza Rohingya in Myanmar soprattutto) e, al contempo, per silenziare lo scandalo della cessione illegale dei dati di migliaia di utenti palestinesi della controllata WhatsApp all’Idf (l’esercito israeliano), che li ha inseriti in Lavender, una delle IA utilizzate per scegliere automaticamente chi uccidere.
In questo caso non si è trattato di killer robots, bensì di Laws ossia Lethal authonomous weapons systems, sistemi per uccidere automatizzati: morte somministrata via algoritmo, a seguito dell’utilizzo di una chat. Sappiamo infatti che le reti neurali utilizzate da Lavender hanno margini di errore nella produzione del loro output (le cosiddette “allucinazioni”: ne abbiamo parlato qui) che non scendono mai sotto il 5% e che possono arrivare ad oltre il 20%. Tale margine di errore va poi moltiplicato, giacché le nuove regole d’ingaggio dell’Idf dopo il 7 ottobre prevedono come “accettabile” la morte di venti innocenti per ogni presunto miliziano di Hamas colpito.
Ultimi nella nostra analisi, ma non certo per importanza strategica, vengono gli interessi militari di due imprese che, fino a poco tempo fa, avevano un profilo più “riservato” rispetto ai Gafam: Palantir di Peter Thiel e SpaceX di Elon Musk.
La prima è oggetto di operazioni di disinvestimento pianificato per via del suo coinvolgimento nei crimini di guerra di Israele, ma è frutto di un progetto abominevole fin dal nome: Palantir, nel mondo creato da Tolkien, è il nome delle antiche pietre capaci di mostrare il futuro che portano il saggio Saruman a impazzire e unirsi all’oscuro sire, Sauron. Infatti, l’azienda nasce con l’idea di fornire sistemi di polizia predittiva, una pseudo-scienza il cui fondamento è “solido” quanto le infami teorie del nostro Cesare Lombroso, e i risultati tutt’altro che entusiasmanti (meno dell’1% di efficacia nel caso americano). Nonostante ciò, i suoi servizi sono stati utilizzati dal governo di Israele per incarcerare cittadini palestinesi per il solo fatto di rientrare in un “profilo del terrorista” sviluppato dalla ditta in questione.
La seconda è passata alle cronache di guerra per via del servizio Starlink, una rete di satelliti di comunicazione a bassa quota, che si è rivelata strategicamente vitale in Ucraina. All’indomani dell’invasione russa, Elon Musk è stato acclamato eroe dagli ucraini perché ha fornito “gratuitamente” il servizio a Kiev, salvo poi divenire – il 10 marzo di quest’anno – il peggiore dei loro nemici sostenendo che “senza Starlink sarebbero spacciati”.
D’altronde Musk aveva già mostrato di essere un attore incontrollabile in almeno due occasioni: quando era passato all’incasso con il suo stesso governo (sostenendo di non poter continuare a finanziare l’Ucraina a tempo indeterminato), e quando aveva deciso di bloccare le comunicazioni per impedire un’escalation della guerra che considerava nefasta.
L’orrore della morte via chat si sarebbe potuto evitare. Le avvisaglie di una forte collaborazione tra Meta e l’Idf, infatti, erano nell’aria sino dal 2021, quando Meta bloccò gli account di diversi giornalisti della Striscia di Gaza, per impedirgli di far fluire informazioni verso l’esterno. Purtroppo, la società civile ha introiettato profondamente l’idea che le tecnologie dell’informazione e comunicazione siano semplici merci, strumenti a nostra disposizione. Gli esempi che abbiamo toccato mostrano in maniera lampante il contrario.
Eppure, le alternative esistono: il software libero costituisce un corpus di conoscenze collettive che possono essere utilizzate da qualsiasi gruppo per soddisfare i propri bisogni, dalla formazione (è il caso di alcune scuole del progetto Fuss, che si sono dotate di una infrastruttura per la formazione online), alla comunicazione (è il caso del sindacato Cub-Sur che si è dotato di un’intera piattaforma di comunicazione a distanza), rendendosi indipendenti delle imprese Gafam.
Ma basta allargare lo sguardo per scoprire che, nei dintorni di Barcellona, esiste una “rete internet locale” con la bellezza di cinquemila punti d’accesso su diversi chilometri quadrati di territorio, che continuerebbe a funzionare anche se la connessione verso il mondo esterno fosse tranciata di netto, in maniera simile a progetti presenti anche in Italia.
Insomma, non si tratta di “testimonianze” di singoli, magari un po’ “impallinati” e senza impatto sulla società, ma piuttosto di esempi di come problemi collettivi possano trovare soluzioni collettive.
Il passo da fare, ora, è riconoscere che la dipendenza da queste imprese, mentre queste “riconvertono” il loro business alla guerra, è un serio problema collettivo, che ci riguarda tutte e tutti.
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