Il Tribunale di Istanbul ha disposto ieri pomeriggio la scarcerazione di 230 persone, tra cui alcuni alti gradi dell'esercito e 13 generali in servizio attivo – come il comandate Cetin Dogan, l'ammiraglio Ozden Ornek e il generale Halil Ibrahim Firtina – condannati nell'ambito del maxi-processo "Balyoz" (‘Martello’) nell'ottobre dello scorso anno per aver ordito un tentato colpo di stato contro il governo liberal-islamista guidato da Recep Tayyip Erdogan nel 2004.
La scarcerazione degli imputati arriva dopo che la Corte costituzionale turca, accogliendo i ricorsi presentati dai condannati – tra i quali anche numerosi esponenti politici delle opposizioni e giornalisti – ha stabilito che erano stati "violati i diritti degli imputati in merito alle testimonianze e i dati digitali" e che il processo andava quindi rifatto da capo perché non era stato equo e corretto. "Balyoz" è stato il primo maxi-provvedimento contro membri delle forze armate nella storia della Repubblica Turca e, al di là della fondatezza di alcune delle accuse, è servito all’Akp per decapitare alcuni ambienti ostili al governo islamista.
La sentenza della Corte Costituzionale segue quella, di senso contrario, emessa mercoledì dall’Alta Corte Criminale di Ankara che ha condannato al carcere a vita gli ultimi due sopravvissuti del consiglio militare che il 12 settembre del 1980 attuò il colpo di stato più sanguinoso della storia della repubblica turca. Il generale Kenan Evren, 96 anni, ex capo della giunta di estrema destra e settimo presidente della Turchia e Tahsin Sahinkaya, 89 anni, ex comandante dell’aviazione militare, nel frattempo degradati, non erano presenti in tribunale per motivi di salute. Data la loro età e le precarie condizioni fisiche, molto probabilmente non sconteranno la pena in carcere.
Il secondo e più importante golpe della storia della repubblica fondata da Mustafa Kemal venne, secondo l’accusa, progettato già nel 1979 e i suoi autori “non intervennero per fermare gli scontri in corso tra i diversi gruppi ideologici, con il chiaro obiettivo di indurre la popolazione a guardare con favore al golpe”. Anzi, l’accusa ha dichiarato che alcuni dei più gravi massacri avvenuti nei mesi precedenti, tra i quali quelli di Taksim, Çorum e Maraş, erano stati pianificati da un “meccanismo congiunto” per innescare il caos e la paura nella società, in modo da preparare il terreno per il colpo di Stato militare.
Prima di rendere il potere ai civili, la giunta militare – composta da Evren, Sahinkaya, Nurettin Ersen (Comandante delle forze di terra, morto nel 2005 ), Sedat Celasun (comandante della Gendarmeria Generale, morto nel 1995) e Nejat Tumer (capo delle forze navali, morto nel 2012 a processo appena iniziato) – imprigionò circa 650 mila persone. Di queste ben 230 mila furono processate per reati politici, e 517 vennero condannate a morte. Cinquanta persone furono giustiziate, mentre in 300 morirono durante la dura detenzione a causa delle torture o della mancanza di cure.
I golpisti utilizzarono l’articolo 35 del Codice interno di servizio delle Forze Armate turche per giustificare l’intervento militare e la presa del potere. L’articolo 35 – che impone alle forze armate “di preservare e proteggere la Repubblica di Turchia” venne redatto dopo il colpo di stato militare del 27 maggio del 1960 e servì da base giuridica anche del golpe del 12 marzo 1971.
L’articolo è stato abolito soltanto lo scorso anno all’interno di un pacchetto di norme di ‘democratizzazione’ che Erdogan ha varato con lo scopo di minare il potere dell’esercito e degli altri apparati dello stato a lui ostili e non certo, come dimostrano le varie norme liberticide decise negli ultimi mesi dall’esecutivo, per allentare la morsa della repressione sulla società.
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