di Michele Paris
Con
un’importante sentenza che ha in buona parte riconosciuto un sacrosanto
diritto costituzionale, la Corte Suprema degli Stati Uniti questa
settimana ha stabilito che le forze di polizia sono tenute a richiedere
una specifica ordinanza di un giudice prima di esaminare il contenuto
del telefono cellulare di un arrestato. Il parere espresso all’unanimità
dal più alto tribunale americano è giunto in risposta a due cause, una
delle quali aveva visto l’amministrazione Obama partecipare alle udienze
preliminari in favore della polizia e contro il fondamentale diritto
alla privacy dei cittadini.
Il verdetto è stato generalmente
salutato dall’altra parte dell’oceano come una vittoria per i difensori
dei diritti civili e un opportuno chiarimento circa l’applicazione di
alcuni principi costituzionali nell’era degli smartphone e dei social
network.
Secondo i media americani, inoltre, la sentenza potrà
avere un impatto più ampio, includendo ad esempio le perquisizioni di
tablet e computer portatili, ma anche di abitazioni e uffici, nonché i
dati e le informazioni conservate dalle compagnie telefoniche.
A
scrivere il testo della sentenza è stato il presidente della Corte
Suprema, John Roberts, il quale ha affermato, tra l’altro, che i “vecchi
principi” della Costituzione “richiedono l’esclusione del contenuto dei
telefoni cellulari dalle perquisizioni di routine”.
Lo stesso
giudice ha paragonato l’esame dei telefoni degli arrestati da parte
degli agenti di polizia alle “ordinanze generalizzate” usate dagli
inglesi prima dell’indipendenza americana per perquisire a piacimento le
abitazioni private alla ricerca di prove di attività criminali. “Il
fatto che la tecnologia consenta oggi a una persona di avere
letteralmente nelle proprie mani simili informazioni”, ha aggiunto
Roberts, “non rende queste ultime meno soggette alle protezioni per le
quali i padri fondatori hanno combattuto”.
Il contenuto dei
telefoni cellulari degli arrestati, quindi, è coperto dalle protezioni
garantite dal Quarto Emendamento alla Costituzione americana, il quale
impedisce perquisizioni e confische da parte delle autorità senza il
mandato di un giudice.
Durante le udienze che hanno preceduto la
deliberazione di mercoledì, i legali dell’amministrazione Obama avevano
sostenuto che l’analisi dei cellulari era da considerarsi legittima
anche senza il mandato di un tribunale, poiché i sospettati in stato di
fermo potevano cancellare informazioni importanti in essi contenute o
contattare i loro complici. La Corte Suprema ha invece respinto entrambe
le tesi, proponendo alle forze di polizia di prevenire questi rischi
estraendo la batteria o riponendo il cellulare in un apposito
contenitore che impedisca la ricezione del segnale.
Secondo
l’amministrazione Obama, poi, l’esame di un telefono cellulare non è in
sostanza differente dalla perquisizione - consentita in caso di arresto
- di una borsa o di un portafogli. Per i giudici, invece, questa
operazione può essere effettuata solo per verificare se il cellulare
nasconda un coltello o altri oggetti che rappresentino minacce
materiali. Per il giudice Roberts, mettere sullo stesso piano le due
perquisizioni è come affermare che “una gita a dorso di cavallo è
materialmente indistinguibile da un volo sulla luna”.
Il primo
caso all’attenzione della Corte Suprema che ha portato alla sentenza -
“Riley contro California” - riguardava l’arresto di David Riley a San
Diego nel 2009 dopo che la polizia a un normale posto di blocco aveva
trovato armi cariche nella sua auto. Gli agenti avevano ispezionato lo
smartphone di Riley, rilevando informazioni che lo collegavano a una
sparatoria. Riley era stato alla fine condannato a 15 anni di carcere e
una corte d’appello in California aveva stabilito che l’esame del suo
cellulare non richiedeva l’ordinanza di un giudice.
Il secondo
caso - “Stati Uniti contro Wurie” - era scaturito dall’arresto nel 2007 a
Boston di Brima Wurie mentre spacciava crack. Tra gli oggetti
confiscati c’era anche il suo telefono cellulare, dal quale la polizia
ha potuto ricavare un indirizzo dove sono state poi rinvenute droga e
armi. Nel processo di appello, tuttavia, i legali di Wurie avevano
ottenuto il ribaltamento della condanna di primo grado proprio per
l’utilizzo illegale delle informazioni reperite dal suo cellulare.
La
sentenza definitiva della Corte Suprema è apparsa sorprendente a molti,
soprattutto perché i tribunali inferiori negli ultimi anni sono più
volte intervenuti a favore della polizia in casi riguardanti arresti e
perquisizioni, spesso ritenute legali perché considerate necessarie a
garantire la sicurezza degli agenti o a evitare la distruzione di prove.
Gli stessi giudici supremi attualmente in carica, oltretutto, hanno
ormai una lunga storia di sentenze favorevoli alle forze di polizia e
volte a restringere i diritti dei sospettati.
Tuttavia, se il
verdetto di mercoledì fissa senza dubbio un principio fondamentale,
appare poco giustificato l’entusiasmo dei più importanti media “liberal”
americani che hanno attribuito senza riserve una mossa, a loro dire, di
impronta indubitabilmente progressista ad una Corte Suprema composta in
maggioranza da giudici ultra-reazionari.
Infatti, tra le pieghe
della sentenza vi sono alcuni aspetti che rendono la decisione meno
rassicurante di quanto appaia a prima vista. I giudici, ad esempio,
sembrano a un certo punto affermare la validità del Quarto Emendamento
come semplice copertura per evitare ricorsi e battaglie legali
prolungate. Ciò risulta evidente nel riferimento alla facilità con cui
la polizia può ottenere l’ordinanza di un tribunale per esaminare il
contenuto di un telefono cellulare, secondo Roberts addirittura “in 15
minuti” grazie all’uso di “e-mail e iPads”.
In
una “opinione concordante” redatta dal giudice di estrema destra Samuel
Alito, inoltre, viene chiesto al Congresso di intervenire sulla
questione delle perquisizioni dei telefoni cellulari, così da bilanciare
la garanzia della privacy dei cittadini con le necessità legate alla
raccolta di prove delle forze dell’ordine.
Per il giudice
nominato da George W. Bush, “sarebbe spiacevole se la difesa della
privacy nel 21esimo secolo fosse lasciata principalmente alle corti
federali”, costrette a decidere con il solo “strumento del Quarto
Emendamento”. Quello che Alito intende, con ogni probabilità, è che il
Congresso debba approvare delle regole che assegnino maggiori poteri
alle forze di polizia durante gli arresti, in modo da restringere i casi
di perquisizione per i quali si renda necessario richiedere
un’ordinanza di tribunale.
Lo stesso testo della sentenza del
presidente John Roberts, d’altra parte, cita le condizioni nelle quali
le garanzie del Quarto Emendamento potrebbero venire meno, quando cioè
le “circostanze lo richiedano con urgenza”. In tal caso, le forze
dell’ordine avranno facoltà di violare liberamente la privacy dei
cittadini, facendo riferimento a situazioni di emergenza spesso molto
difficili da valutare.
Una simile eccezione ricorda sinistramente
tutte le giustificazioni, legate alle presunte necessità della “guerra
al terrore”, a cui si sono appellati i governi e i giudici americani
nell’ultimo decennio per implementare e convalidare misure profondamente
anti-democratiche.
A questa eccezione, perciò, ha subito fatto
riferimento il Dipartimento di Giustizia di Washington nel commentare a
caldo la sentenza di mercoledì, annunciando l’impegno del governo
nell’individuare le “circostanze urgenti” che consentano di calpestare
la Costituzione e di procedere con l’analisi dei telefoni degli
arrestati senza il fastidioso coinvolgimento di un giudice.
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