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29/06/2014

USA, un mandato per spiare i cellulari

di Michele Paris

Con un’importante sentenza che ha in buona parte riconosciuto un sacrosanto diritto costituzionale, la Corte Suprema degli Stati Uniti questa settimana ha stabilito che le forze di polizia sono tenute a richiedere una specifica ordinanza di un giudice prima di esaminare il contenuto del telefono cellulare di un arrestato. Il parere espresso all’unanimità dal più alto tribunale americano è giunto in risposta a due cause, una delle quali aveva visto l’amministrazione Obama partecipare alle udienze preliminari in favore della polizia e contro il fondamentale diritto alla privacy dei cittadini.

Il verdetto è stato generalmente salutato dall’altra parte dell’oceano come una vittoria per i difensori dei diritti civili e un opportuno chiarimento circa l’applicazione di alcuni principi costituzionali nell’era degli smartphone e dei social network.

Secondo i media americani, inoltre, la sentenza potrà avere un impatto più ampio, includendo ad esempio le perquisizioni di tablet e computer portatili, ma anche di abitazioni e uffici, nonché i dati e le informazioni conservate dalle compagnie telefoniche.

A scrivere il testo della sentenza è stato il presidente della Corte Suprema, John Roberts, il quale ha affermato, tra l’altro, che i “vecchi principi” della Costituzione “richiedono l’esclusione del contenuto dei telefoni cellulari dalle perquisizioni di routine”.

Lo stesso giudice ha paragonato l’esame dei telefoni degli arrestati da parte degli agenti di polizia alle “ordinanze generalizzate” usate dagli inglesi prima dell’indipendenza americana per perquisire a piacimento le abitazioni private alla ricerca di prove di attività criminali. “Il fatto che la tecnologia consenta oggi a una persona di avere letteralmente nelle proprie mani simili informazioni”, ha aggiunto Roberts, “non rende queste ultime meno soggette alle protezioni per le quali i padri fondatori hanno combattuto”.

Il contenuto dei telefoni cellulari degli arrestati, quindi, è coperto dalle protezioni garantite dal Quarto Emendamento alla Costituzione americana, il quale impedisce perquisizioni e confische da parte delle autorità senza il mandato di un giudice.

Durante le udienze che hanno preceduto la deliberazione di mercoledì, i legali dell’amministrazione Obama avevano sostenuto che l’analisi dei cellulari era da considerarsi legittima anche senza il mandato di un tribunale, poiché i sospettati in stato di fermo potevano cancellare informazioni importanti in essi contenute o contattare i loro complici. La Corte Suprema ha invece respinto entrambe le tesi, proponendo alle forze di polizia di prevenire questi rischi estraendo la batteria o riponendo il cellulare in un apposito contenitore che impedisca la ricezione del segnale.

Secondo l’amministrazione Obama, poi, l’esame di un telefono cellulare non è in sostanza differente dalla perquisizione - consentita in caso di arresto - di una borsa o di un portafogli. Per i giudici, invece, questa operazione può essere effettuata solo per verificare se il cellulare nasconda un coltello o altri oggetti che rappresentino minacce materiali. Per il giudice Roberts, mettere sullo stesso piano le due perquisizioni è come affermare che “una gita a dorso di cavallo è materialmente indistinguibile da un volo sulla luna”.

Il primo caso all’attenzione della Corte Suprema che ha portato alla sentenza - “Riley contro California” - riguardava l’arresto di David Riley a San Diego nel 2009 dopo che la polizia a un normale posto di blocco aveva trovato armi cariche nella sua auto. Gli agenti avevano ispezionato lo smartphone di Riley, rilevando informazioni che lo collegavano a una sparatoria. Riley era stato alla fine condannato a 15 anni di carcere e una corte d’appello in California aveva stabilito che l’esame del suo cellulare non richiedeva l’ordinanza di un giudice.

Il secondo caso - “Stati Uniti contro Wurie” - era scaturito dall’arresto nel 2007 a Boston di Brima Wurie mentre spacciava crack. Tra gli oggetti confiscati c’era anche il suo telefono cellulare, dal quale la polizia ha potuto ricavare un indirizzo dove sono state poi rinvenute droga e armi. Nel processo di appello, tuttavia, i legali di Wurie avevano ottenuto il ribaltamento della condanna di primo grado proprio per l’utilizzo illegale delle informazioni reperite dal suo cellulare.

La sentenza definitiva della Corte Suprema è apparsa sorprendente a molti, soprattutto perché i tribunali inferiori negli ultimi anni sono più volte intervenuti a favore della polizia in casi riguardanti arresti e perquisizioni, spesso ritenute legali perché considerate necessarie a garantire la sicurezza degli agenti o a evitare la distruzione di prove. Gli stessi giudici supremi attualmente in carica, oltretutto, hanno ormai una lunga storia di sentenze favorevoli alle forze di polizia e volte a restringere i diritti dei sospettati.

Tuttavia, se il verdetto di mercoledì fissa senza dubbio un principio fondamentale, appare poco giustificato l’entusiasmo dei più importanti media “liberal” americani che hanno attribuito senza riserve una mossa, a loro dire, di impronta indubitabilmente progressista ad una Corte Suprema composta in maggioranza da giudici ultra-reazionari.

Infatti, tra le pieghe della sentenza vi sono alcuni aspetti che rendono la decisione meno rassicurante di quanto appaia a prima vista. I giudici, ad esempio, sembrano a un certo punto affermare la validità del Quarto Emendamento come semplice copertura per evitare ricorsi e battaglie legali prolungate. Ciò risulta evidente nel riferimento alla facilità con cui la polizia può ottenere l’ordinanza di un tribunale per esaminare il contenuto di un telefono cellulare, secondo Roberts addirittura “in 15 minuti” grazie all’uso di “e-mail e iPads”.

In una “opinione concordante” redatta dal giudice di estrema destra Samuel Alito, inoltre, viene chiesto al Congresso di intervenire sulla questione delle perquisizioni dei telefoni cellulari, così da bilanciare la garanzia della privacy dei cittadini con le necessità legate alla raccolta di prove delle forze dell’ordine.

Per il giudice nominato da George W. Bush, “sarebbe spiacevole se la difesa della privacy nel 21esimo secolo fosse lasciata principalmente alle corti federali”, costrette a decidere con il solo “strumento del Quarto Emendamento”. Quello che Alito intende, con ogni probabilità, è che il Congresso debba approvare delle regole che assegnino maggiori poteri alle forze di polizia durante gli arresti, in modo da restringere i casi di perquisizione per i quali si renda necessario richiedere un’ordinanza di tribunale.

Lo stesso testo della sentenza del presidente John Roberts, d’altra parte, cita le condizioni nelle quali le garanzie del Quarto Emendamento potrebbero venire meno, quando cioè le “circostanze lo richiedano con urgenza”. In tal caso, le forze dell’ordine avranno facoltà di violare liberamente la privacy dei cittadini, facendo riferimento a situazioni di emergenza spesso molto difficili da valutare.

Una simile eccezione ricorda sinistramente tutte le giustificazioni, legate alle presunte necessità della “guerra al terrore”, a cui si sono appellati i governi e i giudici americani nell’ultimo decennio per implementare e convalidare misure profondamente anti-democratiche.

A questa eccezione, perciò, ha subito fatto riferimento il Dipartimento di Giustizia di Washington nel commentare a caldo la sentenza di mercoledì, annunciando l’impegno del governo nell’individuare le “circostanze urgenti” che consentano di calpestare la Costituzione e di procedere con l’analisi dei telefoni degli arrestati senza il fastidioso coinvolgimento di un giudice.

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