di Carlo Musilli
I paradossi non dispiacciono al Pse. Venerdì 10 dirigenti di vari
partiti europei di centrosinistra si sono riuniti a Parigi, invitati dal
presidente francese François Hollande per stabilire una linea comune in
vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno. Per quanto riguarda il
capitolo più spinoso, ovvero la nomina del nuovo presidente della
Commissione Ue, hanno scelto di sostenere il candidato del Ppe, Jean
Claude Juncker, il politico di destra più rappresentativo dell'Europa
liberista a trazione tedesca che ha dettato legge negli ultimi anni.
Oltre
al premier italiano Matteo Renzi, erano presenti i primi ministri di
Francia, Austria, Danimarca, Romania, Slovacchia, Malta, Repubblica Ceca
e Belgio. La star era però Sigmar Gabriel, presidente della Spd e
vicecancelliere tedesco, oltre che superministro dell'Economia federale,
che si è prodotto in un annuncio a sorpresa: il partito
socialdemocratico più antico d'Europa rinuncia a qualsiasi posto nel
nuovo esecutivo comunitario, accettando quindi che il commissario
tedesco resti democristiano, ovvero in quota al partito della
cancelliera Angela Merkel (come quello uscente, Guenter Oettinger). Di
conseguenza anche Martin Schulz, capolista dei socialisti alle ultime
europee, arrivato secondo proprio dietro Juncker, rinuncia alla
vicepresidenza della Commissione.
Come si spiega tanta
generosità? E' una storia di poltrone. La Spd ha chiesto come
contropartita che lo stesso Schulz sia confermato alla guida del
Parlamento europeo, una prospettiva che ha già ottenuto il placet della
Merkel. La spartizione è più o meno equa, visto che - superata qualche
esitazione iniziale - la cancelliera tedesca ha appoggiato
esplicitamente la candidatura dell'ex numero uno dell'Eurogruppo alla
guida del nuovo esecutivo di Bruxelles. Sistemata la Spd, gli altri
partiti europei di centrosinistra sperano di essersi guadagnati
quantomeno il diritto a competere per altre due posizioni di primo
rilievo: la presidenza del Consiglio Ue e la carica di Alto
rappresentante della politica estera.
A questo punto, l'ostacolo
principale sulla strada della nomina di Juncker rimane l'opposizione di
alcuni Paesi capitanati dalla Gran Bretagna. Dopo le elezioni, il
premier inglese David Cameron aveva minacciato l'uscita del Regno Unito
dall'Ue se ad ottenere l'incarico sarà l'ex premier del Lussemburgo. Il
numero uno di Downing Street ritiene che la scelta di Juncker
"destabilizzerebbe così tanto il suo governo - ha scritto a suo tempo il
settimanale tedesco Der Spiegel - che Londra sarebbe costretta
ad anticipare il referendum sulla permanenza nell'Unione europea", e il
risultato a quel punto sarebbe certamente favorevole all'uscita, perché
"un uomo degli anni Ottanta non può risolvere i problemi dell'Europa di
oggi".
Oltre
al premier inglese, si oppongono alla nomina di Juncker anche
l'ungherese Viktor Orban, lo svedese Fredrik Reinfeldt, l'olandese Mark
Rutte e il finladese Jyrki Katainen. Il problema è che nessuno di loro
punta alla nomina di un conservatore più illuminato del caro vecchio
Jean Claude: al contrario, questo drappello di leader poco appassionati
all'ideologia comunitaria vorrebbe che a guidare la Commissione fosse un
politico meno europeista, meno abituato all'aria di Bruxelles e -
soprattutto - meno in confidenza con la signora Merkel.
La
posizione di Cameron è dettata in primo luogo da esigenze di politica
interna. Il governo di Londra veleggia verso posizioni sempre più
antieuropee per interpretare la crescente ostilità dell'elettorato
britannico nei confronti di Bruxelles. L'obiettivo è frenare l'avanzata
dell'Ukip, partito di estrema destra che alle elezioni ha ottenuto un
risultato storico, arrivando la scorsa settimana a costituire un gruppo
euroscettico nel Parlamento europeo insieme ai deputati del Movimento 5
Stelle e ad alcuni politici di altri Paesi.
Accontentare il
primo ministro inglese, tuttavia, non è facile. Juncker è certamente un
uomo della vecchia guardia e associarlo a una qualche velleità di
rinnovamento suona grottesco, ma era lui il candidato ufficiale del Ppe,
lo schieramento uscito vincitore dalle urne (pur avendo perso milioni
di voti rispetto alle elezioni di cinque anni fa).
Spetterebbe perciò a lui il primo tentativo di creare una nuova
squadra di governo a Bruxelles: scegliere diversamente vorrebbe dire
negare un potere decisionale subito dopo averlo concesso, ammettendo di
aver ingannato gli elettori, che per la prima volta si sono espressi
sapendo a monte chi fossero i candidati dei diversi schieramenti per la
guida della Commissione.
I governi di centrosinistra “rispettano
lo spirito che ha presieduto le elezioni europee: il partito europeo che
arriva in testa deve proporre il candidato prescelto, in questo caso
Juncker”, ha spiegato Hollande. Peccato che, per quel che riguarda i
contenuti della politica europea nei prossimi cinque anni, dal
super-summit di sinistra non sia arrivata alcuna idea di sinistra.
Fonte
Ci vuole un certo stomaco a definire quello parigino super summit di sinistra. Per il resto si tratta della solita spartizione di poltrone tra gente che vede il mondo alla stessa maniera, al massimo differenziando la posizione di qualche virgola.
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