L’uno-due con cui magistratura e potere politico, le due lobbies
fortissime d’Egitto, liberano un giornalista (e forse qualche suo collega nel
prossimo futuro) ma ribadiscono le condanne a morte per gli odiati Fratelli
Musulmani, con in testa il predicatore simbolo Mohammed Badie, sono
assolutamente conseguenziali. Nessuna contraddizione fra il paternalismo e la
fermezza, autoritari entrambi. Le prove del nuovo Egitto devono ovviamente fare
i conti col contesto internazionale e l’odierno viaggio del Segretario di Stato
statunitense Kerry ha questa funzione. Viene a ribadire, col presunto basso
profilo che Washington ha assunto verso l’alleato sin dalla caduta di Mubarak, una
volontà stabilizzatrice accordandosi e decidendo soluzioni aperte senza
esporsi. Non è un caso che tante scelte d’Oltreoceano siano state delegate alla
monarchia Saud, il cui sovrano Abdullah ha preceduto Kerry nell’incontro-investitura
col suo pupillo della restaurazione securitaria in atto al Cairo. Dopo tre anni
di morte e tensione altissima l’Egitto delle Forze Armate, ora acclamate dalla
gente, appare come una riconquista della laicità filo imperialista nella
regione. Lo è, ma la parte schiacciata, incarcerata, umiliata del Paese
dev’essere tuttora esorcizzata con paure ancora maggiori: il pericolo di
esecuzione a freddo, per sentenza giudiziaria, che s’aggiunge alla fucilazione nelle
piazze ribelli.
Formula antichissima quella della carezza e del pugno con cui guidare un
ambiente molto tradizionalista anche nella casa dell’alternativa che ha fallito
- l’Islam politico - che comunque per milioni di egiziani resta simbolo
d’identità e speranza d’emancipazione. Per superare il cortocircuito in un
Paese che permane polarizzato, lo si dice da tre anni, bisogna mettere mano a
problemi reali: rilanciare l’economia e porre pur parziale rimedio a una disoccupazione
cronica, questioni rimaste finora bloccate dall’instabilità. L’altro nodo scorsoio da sciogliere è
combattere la corruzione che s’annida in troppi gangli della società e da cui
non sono esenti poteri eccellenti come quello militare. Anzi questi poteri sono
veri pilastri dell’anormalità del sistema, in base al quale l’Egitto si colloca
in 114° posizione fra le nazioni più corrotte del globo, con l’aggiunta di burocrazia
e amministrazione altamente inefficienti. Basterà a Sisi aver dismesso la
divisa per intraprendere un percorso etico e sociale di così rivoluzionaria
portata? Nessuno ci crede. L’uomo è legato all’ambiente che l’ha promosso e
sostenuto: i conservatori di casta militare, tycoon dell’affarismo locale e grand
commis vicini agli interessi di apparati internazionali. In più dovrà
superare alcuni vincoli che l’ultima Costituzione (del gennaio 2014) pongono al
ruolo presidenziale. Primo fra tutti l’approvazione parlamentare per l’incarico
ai ministri e premier che limitano la capacità d’azione del Capo di Stato.
Un’interessante questione istituzionale con cui può (ma per le
vicende egiziane bisogna continuare a usare il condizionale) dunque potrebbe misurarsi
è la funzione del grande assente delle vicende politiche interne: il
Parlamento. Esautorato due anni fa da Alte Corti e da successivi istinti
golpisti, oltre che dai desideri di cercare un uomo solo al comando. Così
mentre ventitré milioni di connazionali l’hanno elevato a simbolo salvifico
della propria terra, il generale che “si sacrifica per loro” potrà sentire il
suo potere limitato da un’Assemblea del Popolo costituzionalmente in grado di
vigilarne e limitarne personalismi. Ma le due Camere sciolte d’autorità
rappresentano tuttora il fantasma della politica nazionale. E gli stessi
partiti che hanno sostenuto l’avanzata di Sisi, già nel 2013 attraverso il
Fronte di Salvezza Nazionale, temono un rientro in gioco dell’islamismo celato
sotto forme e volti sconosciuti, però presenti nel Paese reale. Per questo
demonizzazione e condanna dei militanti noti e delle figure carismatiche della
Confraternita devono perdurare. Mentre la normalizzazione che reitera schemi
oggettivamente imparagonabili, perché Sisi non è neanche lontanamente Nasser e
soprattutto perché quell’Egitto e quel Medio Oriente hanno lasciato il posto ad
altri intrecci, cerca comunque suoi equilibri. Il modello è di recente
confezione, per conservarlo si rilanciano bastone e carota. Poi si vedrà.
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