Nella primavera dell’anno scorso, con il primo viaggio all’estero di Li Keqiang, si profilò un netto miglioramento delle relazioni fra Pechino e Nuova Dheli, dopo il naufragio del primo progetto di “Cindia” che era emerso fra il 2005 ed il 2008. Il parallelo raffreddamento dei rapporti fra Pechino ed Islamabad (che, per la prima volta, non fu la tappa iniziale del viaggio all’estero del massimo leader cinese, mentre questo riconoscimento è toccato proprio all’India) fu un ulteriore segnale in questa direzione.
Dunque, il rilancio del progetto cinese di centralità asiatica, a cavallo fra il rinsaldarsi del buon vicinato con la Russia (iniziato con il patto di Shanghai) e la ripresa del progetto di cooperazione con l’India, verso la quale si smorzano diversi motivi di contrasto, dal contenzioso sul Tibet alla questione dell’Andra Pradesh, ma soprattutto al contrasto di interessi sull’Oceano Indiano. Nuova Dheli ha sempre rivendicato l’inclusione dell’oceano nella sua sfera di influenza e, a questo scopo, ha allestito una marina militare di tutto rispetto con tre portaerei operanti ed una quarta in cantiere. La Cina, dal suo canto, ha preferito la strada della cooperazione economica con i paesi rivieraschi che gli ha consegnato una serie di porti con cui ha costruito la “collana di perle” che da Mynmar si sviluppa sino al mar Rosso. Una collana che l’India ha sempre visto come un capestro intorno al suo collo.
L’apertura della rotta a nord ovest (attraverso lo stretto di Bering) modera l’interesse cinese per le rotte nell’Oceano indiano, e potrebbe schiudere la porta ad un riconoscimento, almeno parziale, della rivendicazione indiana su quelle acque. Non solo: la prospettiva di utilizzare la rotta pacifica verso l’Europa, potrebbe interessare i porti dell’India orientale, inducendo Nuova Dheli a considerare con meno ostilità il progetti di taglio dell’istmo di Kra, la cui realizzazione permetterebbe di evitare lo stretto di Malacca, un tratto infestato dai pirati e una possibile strozzatura delle vie d’acqua cinese da parte degli americani.
Nel frattempo, i cinesi hanno potenziato considerevolmente il loro sistema di difesa sul mare con la messa in cantiere di una seconda portaerei, il varo del nuovo catamarano le cui caratteristiche ne consentono un uso tattico molto aggressivo contro naviglio nemico di medio tonnellaggio (la sagoma molto bassa permette di non essere intercettato dai radar, giungendo con brevissimo preavviso sotto fiancata) ma, soprattutto con il missile balistico Dong Feng 21 (brevemente Df 21) le cui particolarissime caratteristiche (ne scriveremo) lo rendono una fortissima minaccia per le portaerei americane.
Il viaggio di Li Kequiang ha comportato sia il riavvicinamento cino-indiano quanto il simmetrico peggioramento delle relazioni con gli Usa, inasprito dall’ “opportuno” caso Snowden, implicita risposta alle accuse americane sulle attività hacker dei servizi cinesi.
Dunque, si apre una prospettiva di riassestamento degli equilibri geopolitici di vastissime proporzioni, nel quale la Cina ha interesse a stabilire ottimi rapporti con l’India per contrappesare l’influenza americana sul continente e sui due oceani.
Nel frattempo si sono verificati due eventi i cui effetti su questo processo sono ancora da scoprire: la crisi di Crimea e la vittoria elettorale di Narendra Modi in India.
La crisi ucraina è ancora in atto ed è difficile sapere dove le bocce andranno a fermarsi, tanto dal punto di vista interno all’Ucraina stessa, quanto nei rapporti Russia-Ue, dunque occorre attendere per fare l’inventario delle tendenze messe in moto, ma qualcosa si intuisce già ora. In essa i cinesi hanno prudentemente taciuto, ma con un atteggiamento amichevole verso Mosca. La più grave crisi dei rapporti fra Russia ed Usa dalla fine della guerra fredda, ha avuto la conseguenza di riavvicinare russi e cinesi (come dimostra l’accordo sul gas del 20 maggio scorso). E’ ancora presto per parlare di un nuovo blocco eurasiatico fra cinesi e russi (fra i quali non mancano motivi di contrasto), ma non è una prospettiva che vada presa sotto gamba, soprattutto se la crisi ucraina dovesse sfociare in una rottura piena dei rapporti Russia-Ue. Nel caso questo progetto dovesse prender corpo, è evidente che lo scontro si sposterebbe in India, per assicurarsi l’acquisizione dell’altra grande potenza asiatica al proprio blocco. E’ evidente che se cinesi e russi riuscissero ad integrare nel proprio blocco l’India (o ad ottenerne una benevola neutralità) avrebbero ottime probabilità di escludere l’influenza americana sull’Asia e a far definitivamente naufragare il disegno di un ordine mondiale unipolare. Fallirebbe il progetto di containment della Cina, perché, da solo, il blocco nippo, coreano, vietnamita, taiwanese sarebbe una linea molto fragile ed inadeguata.
Vice versa, per gli Usa, ottenere l’alleanza o la benevola neutralità indiana rappresenterebbe il modo per ridimensionare la portata strategica di un blocco sino-russo e mantenere un’importante influenza sul continente asiatico. Non dimentichiamo che la principale base americana nel Mondo è quella di Diego Garcia, nell’oceano indiano: una posizione che sarebbe problematico tenere in presenza di un’India allineata con un blocco ostile.
Dunque, tutto lascia presagire che è verso Nuova Dheli che si dirigeranno gli sforzi di Sino-Russi da un lato ed Americani dall’altro, mettendo in opera tutte le azioni di influenza possibili. E qui viene il problema di cosa farà il nuovo governo indiano. La vittoria dei nazionalisti indiani non deve indurre ad alcun automatismo per il quale ad una vittoria della destra debba corrispondere un peggioramento delle relazioni con Pechino: i cinesi, sin dai primi anni settanta, hanno sempre dimostrato una totale spregiudicatezza nei rapporti internazionali che li ha portati a fiancheggiare i regimi più di destra, per cui gli è assolutamente indifferente il colore politico del governo di Dheli, purché esso sia disposto a collaborare. Quanto a Modi, il suo nazionalismo non è rivolto solo contro i cinesi, ma anche e soprattutto verso i pakistani, per cui un raffreddamento dei cinesi verso Islamabad non può che fargli piacere. Né si può dire che la sua rotta sarà necessariamente più filo americana dei suoi predecessori. Anche perché i disegni di potenza del nazionalismo indiano non urtano solo gli interessi di Pechino ma anche quelli di Washington. Molto dipenderà da come tanto l’una quanto l’altra potenza sapranno proporsi ad un interlocutore tanto imprevedibile e da quali saranno gli sviluppi di altri scenari: ad esempio, l’emergere di un grande Iran potrebbe prospettare una tenaglia sul Pakistan che obbligherebbe gli Usa a proteggere i pur infidi pakistani e, di conseguenza, mettersi contro l’India. Di sicuro a Modi si apre una prospettiva molto positiva che ne fa crescere il potere contrattuale come mai era accaduto in passato all’India.
Di sicuro questo.
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