Il silenzio che occulta gli errori
Il silenzio sceso sulla Siria è rotto solo dalla voce dell’opposizione di quella che fu la ‘rivoluzione laica’ tradita.
L’opposizione disarmata della Coalizione Nazionale Siriana di Aytan al Manna e Michel Kilo, coloro che hanno guidato per sette mesi la rivoluzione pacifica con richieste di libertà per i detenuti politici, fine delle leggi d’emergenza e riforme strutturali.
Ha vinto la deriva degli insorgenti armati che hanno trasformato le proteste popolari siriane in un conflitto etnico-religioso con l’interessato supporto della Comunità Internazionale, sia occidentale che islamica.
Nessuno ha colto gli allarmi lanciati da quei laici sull’inevitabile deriva della crisi siriana che si andava allargando nei confinanti Stati sciiti dal Libano all’Iraq, marginalizzando l’Iran.
Il conflitto ha per ora dimensioni regionale ma è destinato a internazionalizzarsi per lo scontro confessionale ormai inarrestabile fra sciiti e sunniti.
Tutto nasce dalla guerra per procura affidata a formazioni jihadiste divenute incontrollabili. Risultato di quel “caos creativo” di cui aveva parlato Condoleeza Rice dopo l’inizio della guerra in Iraq.
La Siria da fare a pezzi |
Siria Iraq, ma prima fu la Libia
Tra i capi dell’ISIS che operano in Siria vi erano almeno due libici con il rango di comandanti: Abu Abdullah al Liby, che ha combattuto in Libia prima di essere ucciso da un gruppo rivale in Siria, e Abu Dajana, ucciso questo febbraio in Siria nello scontro con un gruppo qaedista.
La guerra ‘coperta’ in Siria - ai suoi inizi - si è arricchita di militanti dalla Libia che si sono sommati ad altri jihadisti provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Europa.
E’ in Siria che l’ISIS ha costruito la sua forza grazie agli insorti infiltrati da Turchia e Giordania che portavano armi provenienti persino dalla Croazia (inchiesta del New York Times marzo 2013).
Per la Siria non si parla più di Conferenze di Ginevra, ma di Siria si parlerà nei prossimi teatri di crisi. Vedi oggi l’Iraq.
In Europa ci sono decine di migliaia di profughi dai teatri di guerra mediorientali e mediterranei.
E gli occidentali convertiti all’islam, radicalizzati e trasferiti in Siria sono migliaia e riguardano almeno 78 Paesi occidentali, non solo europei.
Il nuovo Califfato di Mesopotamia tra Siria e Iraq
Il piano per il controllo dell’Iraq passato al Senato USA nel 2007 prevedeva tre regioni semi-autonome per curdi, sunniti e sciiti e un limitato Governo centrale a Baghdad. Un ‘mini Iraq’ frazionato a non creare più problemi, era l’idea: sballata.
Stessa eventuale parcellizzazione doveva essere applicata anche alla Siria.
Il disfacimento di Siria e Iraq e l’auspicato ridimensionamento dell’Iran è stato guardato con favore dai diversi protagonisti esterni che hanno operato e operano per questo obiettivo.
Qualcuno ancora ci prova - verbo declinato al presente - ma le prospettive appaino ormai una ipotesi del passato.
Gli errori turchi e l’ostinato Erdogan
La Turchia ha cercato di limitare i danni provocati dalle scelte del suo governo trasformando il suo confine con la Siria in un percorso privilegiato per i jihadisti ‘da’ e ‘per’ la Siria.
Il gruppo ISIS che ha condotto l’assalto a Mosul ha occupato il Consolato turco prendendo in ostaggio 49 dipendenti, oltre ai 28 autisti turchi sequestrati il giorno prima.
La frontiera turco-siriana tanto usata per il passaggio dei jihadisti verso la Siria è anche quella attraverso la quale - secondo il Rapporto del quotidiano Milliyet - oltre 3 mila jihadisti turchi e migliaia di cittadini europei convertiti hanno raggiunto ISIS e altre formazioni jihadiste.
E non si sa certo dove andranno al rientro da Siria e Iraq.
ISIS dalla Siria all Iraq. E dopo? |
Fermare il ‘mostro’ nutrito in casa
E’ facile ipotizzare che anche l’Europa si troverà ad affrontare gli stessi problemi.
Non è inconsueto che jihadisti supportati da Paesi della Comunità Internazionale abbiano poi utilizzato le armi ricevute contro che gliele aveva fornite.
Come dimostra l’assalto al Consolato Generale USA l’11 settembre 2012 a Benghasi con l’uccisione dell’Ambasciatore Christopher Stevens e 3 suoi dipendenti dai jihadisti di Ansar al Sharia, che ne erano stati armati.
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