Per il terzo giorno di fila la raffineria di Baiji è teatro della
battaglia tra esercito governativo e milizie jihadiste. L’impianto, a
250 km da Baghdad, è occupato per oltre la metà dal Siil che a due
settimane dal lancio dell’offensiva controlla gran parte del nord: le
province di Anbar, Salah-a-Din, Ninawa e Diyala. Proseguono gli scontri
anche nella città sciita e turkmena di Tal Afar, a ovest, tra Mosul e il
confine con la Siria: nel sesto giorno di battaglia, i jihadisti
mantengono ancora il controllo della città.
E se il campo energetico è diventato ormai fondamentale perno di controllo del paese, a
muoversi è ancora il Kurdistan iracheno che ha saputo approfittare del
caos che sta travolgendo il potere centrale: il primo cargo di greggio
fatto salpare per l’estero ha trovato ieri la sua destinazione, il porto
israeliano di Ashkelon. Lo scambio è avvenuto via Turchia, con
il petrolio consegnato al porto di Ceyhan attraverso un condotto
autonomo. La prima vendita indipendente curda bypassa Baghdad,
scatenando le ire dell’esecutivo da tempo impegnato in un braccio di
ferro con la regione autonoma che rivendica i propri diritti di
commercio. Israele preferisce non rilasciare dichiarazioni, avendo ben
poco da perdere dall’eventuale reazione irachena, visto il boicottaggio
che molti paesi arabi – tra cui l’Iraq – impongono allo Stato sionista.
L’ulteriore prova della debolezza dell’esecutivo iracheno: il
premier Nouri al-Maliki è soffocato dall’avanzata islamista e dalle
richieste ormai sempre più determinate – seppur indirette –
dell’Occidente. Giovedì alla Casa Bianca il presidente Obama ha
annunciato l’invio di 300 consiglieri militari in centri di
coordinamento congiunti a sostegno dell’esercito iracheno, lo stesso
smantellato dagli Usa negli anni dell’occupazione. Obama ha
fatto sapere che il segretario di Stato Kerry volerà nel fine settimana
in Medio Oriente, mentre i tanto attesi bombardamenti con i droni si
tradurranno in non meglio specificate «azioni mirate contro i miliziani
sunniti». In ogni caso, nessun marine metterà piede in territorio iracheno.
Kerry ha reiterato la richiesta di un governo nuovo, di unità
nazionale, che coinvolga tutte le componenti etniche e religiose del
paese. Un chiaro messaggio a Maliki, espresso anche dal leader religioso
sciita, l’Ayatollah Ali Al-Sistani, che nei giorni scorsi aveva
invitato la comunità sciita ad imbracciare le armi contro la minaccia
islamista. La guida spirituale ha ieri velatamente chiesto a Maliki di farsi da parte per permettere la formazione di un nuovo governo.
Maliki non manda giù il rospo e accusa Washington di «mancanza di serietà nella volontà di combattere i terroristi»: «Ritardare
la lotta contro il Siil e porre delle condizioni all’azione – ha detto
il vice ministro degli Esteri Abdollahian – sollevano sospetti sugli
obiettivi statunitensi in Iraq». Eppure qualcosa si muove nella
strategia Usa: il caos iracheno è il prodotto finale della
divisione regionale tra asse sciita e Golfo, ognuno impegnato a spostare
l’ago della bilancia di potere a proprio favore. La longa manus
saudita sulla Siria – a cui l’Iran e Hezbollah hanno da subito reagito
con sostegno militare al presidente Assad – ha in questi tre anni di
guerra armato, stipendiato e finanziato i gruppi islamisti più radicali,
creando il terreno di coltura adatto ad una loro crescita spropositata.
Quegli stessi gruppi che, una volta marginalizzate le opposizioni
moderate siriane, ora dichiarano il loro obiettivo (comune a quello
delle petromonarchie): la creazione di un califfato sunnita tra Siria e
Iraq, che spezzi la continuità territoriale e politica dei paesi sciiti.
Oggi Obama “apre” gli occhi e, consapevole degli stretti
legami tra la guerra civile siriana e la tragedia irachena, legge i due
conflitti come una sfida unica. La risposta sarà il rinnovato sostegno
alle fazioni laiche anti-Assad: «La chiave di volta sarà il
lavoro con i moderati siriani e un governo iracheno inclusivo e una
piattaforma di controterrorismo più efficace». La strada è quella già
segnata: addestramento delle milizie di opposizione in Giordania, aiuti
militari, denaro. La stessa strategia che ha condotto alla distruzione
di Siria e Iraq.
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
AGGIORNAMENTO ore 10.45 – ISLAMISTI ASSUMONO IL CONTROLLO DEL CONFINE DI AL-QAIM CON LA SIRIA
Questa mattina le milizie qaediste del Siil hanno preso il controllo
della frontiera di Al-Qaim, al confine con la Siria. Un’importante
vittoria strategica: ora possono gestire con più facilità il passaggio
di armi e miliziani dal territorio siriano.
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