La prima pagina della Handelsblatt di pochi giorni fa, che in parte qui riproduciamo, titolava sull'esistenza di una guerra mondiale non dichiarata poche ore prima dell’attacco degli Usa all’Iran. Per il quotidiano tedesco si tratta della guerra tra democrazie e autocrazie, esprimendo una visione del conflitto globale ferma al conflitto tra stati e piegata alla contingenza politica. Allo stesso tempo, proprio se guardiamo alla contingenza, l’attacco Usa all’Iran lascia diversi dubbi su quanto siano reali gli effetti fine-di-mondo dichiarati da Washington come conseguenza dei bombardamenti di questi giorni. Ma per capire cosa sta accadendo bisogna uscire dalla contingenza, quella degli schieramenti degli stati e quella degli effetti dei bombardamenti visto che da metà degli anni ’10, specie in Medio Oriente, di attacchi fatti più di messaggio politico che di distruzione materiale, ce ne sono stati e la guerra mondiale non dichiarata si è comunque estesa su scala planetaria come se il contenuto diplomatico di alcuni bombardamenti (dalla Siria del 2017 allo scambio di missili Israele-Iran di questa primavera) praticamente non esistesse.
Quindi la guerra mondiale non dichiarata esiste, si tratta di capire cosa è, a che punto siamo in questo genere di guerra e quali sono le prospettive che ha davanti a sé.
Dall’inizio degli anni ’90 la guerra, come da sua costante antropologica, ha alimentato le rivoluzioni tecnologiche (dalla microelettronica alla rete fino alla IA) si è estesa fino ai confini temporali (guerra permanente), ha raggiunto ogni attività umana (guerra senza limiti), ha moltiplicato i piani di realtà sui quali si esercita necessitando di una strategia che li sincronizzasse (guerra ibrida).
La guerra mondiale non dichiarata emerge da questo contesto di moltiplicazione delle mutazioni dei conflitti basati su una violenza sia esplicita, tradizionale fino a sembrare ancestrale, che mimetica o innovativa tanto da sembrare magica a causa della performatività tecnologica che la pervade. È quindi analiticamente necessario parlare oggi di “guerra mondiale non dichiarata”. L’obiezione più ovvia – ovvero che mancano le caratteristiche formali delle guerre mondiali del XX secolo (dichiarazioni di guerra tra grandi potenze, mobilitazione totale delle nazioni, fronti militari convenzionali su scala planetaria) – non coglie però la profonda natura della trasformazione che stiamo attraversando.
Il conflitto contemporaneo non dichiarato condivide con le guerre mondiali “tradizionali” due aspetti fondamentali: la portata globale e il carattere totale. Tuttavia, li manifesta in forme nuove, ibride, reticolari e, appunto, non dichiarate. Prima di tutto la “mondialità” di questa guerra non è più definita dalla geografia dei fronti militari (Israele e Usa che attaccano un paese non confinante ne è un esempio) ma dalla connessione dei piani di conflitto. Il piano finanziario, le guerre commerciali, le ritorsioni economiche, lo stesso piano informativo-cognitivo, il piano cibernetico, quello tecnologico e molti altri, fanno parte di questa interconnessione che, sulla superficie planetaria, genera criticità come gravi, permanenti conflitti. Oltretutto se guardiamo il fenomeno secondo la logica dei sistemi complessi adattivi (CAS, Complex Adaptive Systems) vediamo come ogni azione può generare effetti emergenti e non non lineari per cui ogni crisi locale, potenzialmente, può improvvisamente generare una crisi planetaria. La “totalità” di questa guerra non si misura tanto nel numero di soldati mobilitati, ma nella pervasività dei domini che essa ingloba: il conflitto russo-ucraino, quello medio-orientale e quello che riguarda la sovranità di Taiwan, in modo molto diverso, inglobano una molteplicità di domini connessi tra loro che sono sinergici con guerre locali e guerre non militari alimentando l’instabilità planetaria proprio perché moltiplicano i piani di battaglia esistenti.
L’assenza di una dichiarazione formale di guerra non è un segno di pace, ma è la condizione strategica fondamentale di questo nuovo scenario. Perché permette di operare costantemente nella “zona grigia”, al di sotto della soglia del casus belli tradizionale, e di condurre ostilità prolungate evitando le conseguenze politiche, legali ed economiche di una guerra dichiarata (dalla “operazione militare speciale” russa all’attacco all’Iran “che non è un atto di guerra” Usa sono molti i casi di questo tipo). Questa è la modalità giuridica con la quale i conflitti locali, geopolitici, alimentano i piani di conflitto necessari a vincere la guerra, producendo una guerra mondiale non dichiarata che ha emarginato la governance mondiale della neutralizzazione dei conflitti. Inoltre la guerra mondiale non dichiarata registra una mutazione nella Rete di Attanti (ANT) presente nei conflitti: la guerra non è più solo tra stati o tra attori finanziari, economici, dei media. Come l’ANT, teoria antropologica che si sviluppa da John Law a Latour, ci aiuta a vedere, la guerra mondiale non dichiarata è condotta anche da reti complesse di attanti : fatte di agenzie statali, aziende private (come Palantir), gruppi di contractor militari, aziende della filiera dell'innovazione tecnologica e logistica, interi parchi tecnologici, social a diffusione istantanea e planetaria. Questa rete di attanti è particolarmente attiva nella globalizzazione di una crisi locale che è la condizione della propria interna economia di sviluppo.
Così quando parliamo di “guerra mondiale non dichiarata” parliamo di conflitti locali che hanno effetti planetari e stiamo descrivendo un conflitto che è globale nella sua portata e totale nei suoi metodi, e che ha quindi cambiato forma. Ha abbandonato la visibilità e la ritualità formale della guerra del XX secolo per adottare una modalità più fluida, pervasiva, persistente e fatta di moltiplicazione di piani di realtà, che si adatta perfettamente alla natura della nostra società globale, interconnessa, tecnologica fatta di mille piani. È una guerra la cui logica, proprio perché non dichiarata, può permeare ogni aspetto della vita sociale, subordinando a sé la politica senza che questa possa neppure formalmente riconoscerla e nominarla come tale.
In questo modo la guerra mondiale non dichiarata, e in particolare la guerra ibrida contemporanea che la alimenta, deve essere definita come un sistema complesso adattivo che ha poco dell’evento lineare, meccanico e controllabile dall’alto, e molto di un ecosistema dinamico, emergente e fondamentalmente imprevedibile. È proprio questa sua natura di CAS della guerra mondiale non dichiarata che spiega la crisi profonda del modello clausewitziano della guerra come continuazione e la subordinazione del politico alla guerra ibrida. Questo per diversi motivi:
- Molteplicità ed eterogeneità degli agenti (o “attanti”): la guerra moderna non è un duello tra due stati-nazione monolitici. È un terreno affollato da una moltitudine di agenti eterogenei, ciascuno con propri obiettivi e capacità di azione: eserciti regolari, attori finanziari, forze speciali, aziende, milizie proxy, contractor privati, singoli “foreign fighters”, cellule terroristiche, ma anche (e qui l’ANT ci è indispensabile) attanti non-umani come sciami di droni, algoritmi di intelligenza artificiale che gestiscono la sorveglianza o il targeting, malware cibernetici, piattaforme social che diffondono narrazioni, e flussi finanziari globali. Ognuno di questi agenti agisce e reagisce, creando un sistema denso che produce continuamente eventi dagli effetti imprevedibili.
- Adattamento costante: i CAS sono caratterizzati da agenti che imparano e si adattano. La guerra è forse l’esempio più estremo di questo processo. Ogni parte in conflitto studia, impara e si adatta alle tattiche, alle tecnologie e alle strategie dell’avversario in un ciclo di co-evoluzione accelerata. L’uso dei droni FPV in Ucraina ha generato lo sviluppo di nuove contromisure di guerra elettronica, che a loro volta hanno spinto a sviluppare nuove tattiche per i droni, e così via. Questa corsa all’adattamento rende il sistema intrinsecamente dinamico e instabile.
- Comportamento emergente (l’imprevedibilità come norma): il risultato complessivo del conflitto (l’esito di una battaglia, l’evoluzione di una crisi, la traiettoria della guerra) non è il prodotto di un piano centrale eseguito alla perfezione, ma è una proprietà emergente delle innumerevoli interazioni decentralizzate tra tutti gli agenti. La celebre “nebbia di guerra” di Clausewitz, quella frizione e incertezza che ogni comandante sperimenta, può essere riletta oggi come una manifestazione del comportamento emergente non da un campo di battaglia ma di un intero sistema complesso. È questa imprevedibilità strutturale che rende il controllo politico così difficile.
In questo scenario, la politica non può “dettare” la logica alla guerra. Al contrario, è costretta ad adattarsi alla logica emergente del sistema conflittuale stesso. E questa logica, nello scenario contemporaneo della guerra mondiale non dichiarata, è quella della guerra ibrida: pervasiva, accelerata, multiforme. Ecco perché la politica, per sopravvivere e mantenere una qualche forma di agency all’interno di questo sistema, ne adotta gli strumenti e le logiche, diventandone, di fatto, la continuazione. In questo senso l’imprevedibilità di Trump che alimenta il caos globale e le dichiarazioni feroci ma politicamente misurate di Teheran sono qualcosa di simile: il tentativo, da posizione differente, di adattare il proprio ruolo politico all’ambiente ostile del sistema adattivo complesso detto guerra mondiale non dichiarata che è cresciuto attorno a loro e loro malgrado.
Oggi la guerra mondiale non dichiarata non si sta evolvendo verso un nuovo scontro bipolare (es. USA vs Cina), ma verso una maggiore protagonismo della stessa guerra mondiale mondiale non dichiarata che vede la crisi delle alleanze tradizionali (si veda Usa-Europa e Usa-Canada ad esempio) e l’emergere di nuove tipologie di potere fatte di attori non-statali, finanziari, grandi corporazioni tecnologiche, e potenze regionali che agiscono come “poli” autonomi all’interno del sistema, formando alleanze fluide e opportunistiche. La rete globale che alimenta la guerra mondiale non dichiarata cresce continuamente in complessità.
La guerra mondiale non dichiarata è così non lineare da non essere prevedibile? Esattamente. La sua caratteristica fondamentale è la non linearità. Questo non significa che sia totalmente casuale. Possiamo identificare le logiche (la ricerca di potere, gli interessi concentrati che prevalgono nelle crisi), ma non possiamo prevedere l’esito emergente delle interazioni tra tutti questi attanti e su tutti questi piani. Un piccolo incidente tecnico, un errore di calcolo di un’IA, una campagna di disinformazione che “sfugge di mano” e diventa più virale del previsto, possono generare effetti a cascata sproporzionati e globali. L’escalation non è più una scala lineare che si sale gradino per gradino, ma un cambiamento di stato improvviso e catastrofico del sistema, sempre possibile. Tutto questo può spaventare ma è l’esito della perdita della presa di potere della politica sui fenomeni reali.
In conclusione, con la guerra Iran-Israele-USA a che punto siamo della guerra mondiale non dichiarata?
Non siamo né all’inizio né alla fine. Siamo in una fase di escalation della complessità. La guerra mondiale non dichiarata si sta espandendo (in termini di domini coinvolti e di attori partecipanti) e si sta intensificando (in termini di velocità e di pervasività tecnologica). È un sistema che si auto-alimenta: la sua stessa esistenza produce più frammentazione, più anomia e più crisi, che a loro volta giustificano un ulteriore ricorso alla sua logica da parte della politica che cerca di sopravvivere. La politica arranca, tentando di gestire le singole crisi (il “fatto compiuto” sul campo, gli infiniti tentativi diplomatici, la crisi economica, umanitaria etc.) senza riuscire a governare il sistema nel suo complesso, del quale è ormai diventata una semplice, e spesso disperata, funzione. La prossima evoluzione di questo sistema adattivo complesso che è la guerra mondiale non dichiarata sarà un suo nuovo piano di complessità. Piano che sarà letto, ancora una volta come “l’esito di una mossa della Cina, della Russia, di Trump” etc. quindi tramite confusione narrativa ma non nella sua chiarezza. Poi, quando la politica capirà che non si evade tentando di sfondare il muro a testate per ritrovarsi nella cella accanto, allora le cose, nella loro reale complessità, saranno comunque diverse.
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