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19/06/2025

L’Europa incontra l’Iran sul nucleare in un tardivo round diplomatico

Domani è previsto, presso la sede della missione permenente della Germania a Ginevra, un incontro tra i ministri degli Esteri di Regno Unito, Germania e Francia (il cosiddetto E3), l’Alto rappresentante per la politica estera UE Kaja Kallas e l’omologo iraniano, Abbas Araghchi. Al centro dei colloqui ci sarà il nucleare iraniano.

L’obiettivo del vertice è quello di portare la Repubblica islamica a garantire che i suoi piani nucleari prevedono unicamente un uso civile dell’uranio arricchito, senza che si arrivi allo sviluppo dell’atomica. Il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, qualche giorno fa ha detto che “non è mai troppo tardi per sedersi al tavolo dei negoziati”.

Bisogna dire che una tale affermazione sembra rivolta più a se stessi che all’Iran. Infatti, gli alti rappresentanti di Teheran stavano già trattando da mesi con Washington per rivitalizzare una cornice di intesa internazionale sul nucleare, dopo che lo stesso Trump aveva abbandonato unilateralmente l’accordo del 2015.

Di quel piano congiunto noto come JCPOA erano parte anche Londra, Berlino e Parigi, ma sono sostanzialmente rimasti a guardare il suo franare. E anche nelle ultime settimane hanno dimostrato di aver ben poca voce in capitolo su tali dossier diplomatici, nonostante il loro affannoso tentativo di imporsi come elemento di peso nello scenario internazionale.

Secondo una fonte tedesca sentita da Reuters, l’incontro in programma a Ginevra è stato coordinato dai paesi europei con gli Stati Uniti, i quali è evidente che in questo momento sono troppo compromessi per tastare il terreno degli umori nel governo iraniano. Secondo il Wall Street Journal, Trump avrebbe già approvato privatamente i piani d’attacco all’Iran, ma sta aspettando le prossime decisioni di Teheran.

L’aggressione di Netanyahu all’Iran ha lo scopo di costringere la Casa Bianca a intervenire in un’ennesima e complessa guerra regionale in Medio Oriente, prospettiva che non attira i piani alti di Washington. Basti pensare che gli USA hanno già dovuto spostare la portaerei Nimitz verso il Golfo Persico dal Mar Cinese Meridionale ove era stanziata a guardia del Dragone.

Il New York Times ha riportato questo mercoledì che, stando alle informazioni fornite da un alto ufficiale iraniano, il ministro Araghchi sarebbe disponibile a un incontro con l’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff o persino col vicepresidente J.D. Vance per discutere di un cessate il fuoco con Israele.

I colloqui di Ginevra sembrano quindi pensati come momento interlocutorio rispetto a possibili soluzioni dell’escalation voluta da Israele. In cui, ovviamente, la UE e Londra starebbero agendo per conto degli USA. Il valore sembra essere dunque più diplomatico che tecnico, anche se sono previsti, a margine dell’incontro, confronti tra tecnici.

Affinché tale vertice abbia un qualche valore, è necessario però fare i conti con il vero motore della crisi, ovvero Israele. Il nodo centrale della vicenda non è infatti il programma nucleare di Teheran, che aveva già dato il proprio consenso a farlo rimanere entro gli scopi civili, ma le mire sioniste a livello regionale.

Israele non ha parlato solo del programma nucleare iraniano, ma anche di un regime change. La spirale bellica in cui si è imbarcata Tel Aviv serve a ridefinire gli equilibri regionali, convinta da due anni di genocidio impunito, e persino sostenuto dall’Occidente collettivo, che ogni sua azione resterà senza conseguenze e che alla fine riuscirà a convincere all’azione i suoi alleati storici.

Prima dei colloqui col rappresentante di Teheran, quelli europei si confronteranno tra di loro, probabilmente per evitare scostamenti sulla posizione da tenere. Pericolo concreto, date le posizioni emerse negli ultimi giorni, tra cui le affermazioni del cancelliere Merz, che ha detto chiaramente che “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi”.

Oggi, a Bruxelles, una riunione tra ambasciatori UE dovrebbe palesare le divergenze riguardo al ‘diritto alla difesa’ evocato da Israele, ovvero il diritto al terrorismo di stato in tutto il Medio Oriente. In una dichiarazione rilasciata sabato scorso, 15 paesi volevano inserire tale dicitura, ma la mancanza di unanimità ha bloccato questa opzione.

Su X, però, von der Leyen ha ribadito il “diritto di Israele a difendersi”, suscitando i malumori di vari diplomatici europei, stando a quel che riporta Euronews. I timori europei sono legati anche alla possibile crisi migratoria che potrebbe derivare dal proseguo delle operazioni israeliane.

Un passaggio importante rispetto all’atteggiamento che terrà nel prossimo futuro la UE si terrà lunedì prossimo, quando approderà al tavolo dei ministri degli Esteri UE il trattato di associazione tra Bruxelles e Tel Aviv. Difficile immaginare che si arrivi a rotture e sanzioni, e ciò darebbe conferma alle sensazioni israeliane.

L’ipoteca sull’incancrenirsi della “terza guerra mondiale a pezzi” è ancora una volta una responsabilità che si trova completamente nel campo occidentale.

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