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24/06/2025

Un “attacco devastante” per chiedere il cessate il fuoco...

Districarsi nella propaganda di guerra è sempre difficile, ripetiamo. Specie quando ci sono in azione veri professionisti della falsificazione come l’Hasbara israeliano e gli sceneggiatori prestati da Hollywood.

Però al momento la ricostruzione più attendibile del film dell’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani sembra la seguente.

Abbiamo il livello pubblico, affidato a un sistema mediatico che ha smesso da decenni di farsi domande e ripete a pappagallo – con contorno di interviste ad “esperti” pescati proprio nei “giri giusti” della Nato o dell’Idf – ogni velina emanata dai governi di Washington e Tel Aviv.

Secondo questa facciata ufficiale, e con le parole di Trump, i tre siti di Fordow, Esfahan e Natanz sarebbero stati oggetto di un “attacco devastante” che avrebbe di fatto cancellato il programma iraniano di nucleare civile (quello militare, come spiegato dagli scienziati e persino da quel poco di buono di Rafael Grossi, alla guida dell’Aiea, non è mai stato al livello di produrre un ordigno nucleare).

Stabilito questo “successo spettacolare” si è passati in un attimo – all’interno delle stesse frasi – all’offerta di “pace”. La cosa più sorprendente è stata semmai l’adesione di Netanyahu a questa “visione”, con il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth che, citando funzionari israeliani, afferma: “Accetteremo un cessate il fuoco domani se Khamenei annuncerà di volerlo”.

Non serve un professore di retorica per capire che Israele sta chiedendo un cessate il fuoco ma si pretende che sia l’Iran a farsene promotore. E in effetti proporlo in prima persona rovinerebbe sia la “narrazione trionfale” sull’attacco statunitense, sia l’immagine stessa di Netanyahu-Terminator.

Col passare delle ore, tra l’altro, la sceneggiatura hollywoodiana comincia a mostrare qualche smagliatura. L’Aiea – composta da centinaia di scienziati perbene, anche se la guida “politica” è stata affidata a un servo – fa il suo dovere verificando che intorno ai siti bombardati non c’è traccia di aumento della radioattività.

Il che contraddice platealmente, quanto meno, la dimensione “devastante” degli attacchi. Se scarichi più bombe da una tonnellata e mezzo su dei laboratori nucleari, infatti, è fisicamente impossibile che nemmeno qualche particella radioattiva finisca in atmosfera (anche se le esplosioni sono avvenute in profondità, infatti, c’è pur sempre il tunnel aperto dalle bombe a fare da “camino”).

A quel punto il facente funzioni di segretario alla Difesa Usa, l’improbabile Pete Hegseth, se ne esce in conferenza stampa con la serena affermazione che l’operazione “ha avuto l’effetto desiderato” (anche se a questo punto è incerto quale sia), mentre il capo di stato maggiore, generale Dan Caine (quello che faceva le corna nella situation room), afferma che è “troppo presto” per stabilire se l’Iran abbia ancora capacità nucleari.

I “danni monumentali” vantati da Trump, insomma, potrebbero anche essere solo robetta. Ma non lo sa nessuno, a Washington... E se guardiamo alla tecnica usata a proposito dei dazi sulle importazioni, qualche dubbio in effetti sorge.

Nel frattempo un discreto numero di analisti si concentra sulle foto satellitari diffuse dal Pentagono sui siti prima e dopo l’attacco. Qualcuno, scrutando i sei “buchi” creati nel terreno a Fordow, li misura e afferma che sono troppo piccoli per essere stati davvero provocati dalle gigantesche bombe bunker-buster GBU-57. Il paragone con gli effetti di quelle israeliane sganciate sul rifugio di Nasrallah, a Beirut, è impietoso...

Altri segnalano altre foto dove – nelle stesse ore in cui Trump faceva i suoi giochini “deciderò entro due settimane se attaccare o no” e “ho già dato gli ordini” – si vedono decine di autocarri con cassone ribaltabile che svolgevano “attività insolite” a Fordow due giorni prima dell’attacco.

Il che combacia invece perfettamente con la versione di Tehran: “avevamo trasferito il materiale strategico altrove e da tempo”. E del resto che Israele volesse distruggere i siti nucleari iraniani è risaputo da decenni... 

La coincidenza temporale con la sceneggiata trumpiana spinge così gli analisti più “complottisti” ad ipotizzare che l’attacco sia stato “telefonato” in senso letterale. Con un preavviso di circa 48 ore... 

L’elemento che resta sullo sfondo è comunque il vero cuore della questione. Perché Israele sembra accettare questa narrazione e si spinge a chiedere – sia pure obliquamente, come detto – un “cessate il fuoco” dopo aver aperto le ostilità con un attacco a tradimento e non provocato?

Qui i misteri non ci sono. I danni provocati dai missili iraniani sono così rilevanti da non poter più essere nascosti nemmeno dagli specialisti dell’Hasbara. Palazzi sventrati, intere strade bloccate dalle macerie, cittadini che litigano per non farne entrare altri nei rifugi, laboratori segreti colpiti duramene (rilevante il Weizmann Institute of Science di Rehovot, parte dell’infrastruttura di sicurezza nazionale israeliana, specializzato nella guerra biologica, ecc.).

Perfino l’Idf ha dovuto ammettere che il tasso di intercettazione dei missili iraniani è sceso molto negli ultimi giorni (dichiarano dal 90 a 65%, che appare comunque trionfalistico), a conferma di problemi di rifornimento per le batterie dell’Iron Dome, ormai a corto dei costosissimi missili anti-missile forniti dagli Usa.

È la conferma dei limiti strutturali della “potenza militare” israeliana, abile nell’offensiva terroristica (dai cercapersone usati contro Hezbollah ai droni stoccati per anni all’interno dell’Iran, ecc.), feroce negli attacchi aerei fulminei, ma non in grado di reggere una “guerra d’attrito”, su tempi medio lunghi, contro un paese comunque industrialmente avanzato e oltre 10 volte più popoloso. Come l’Iran.

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