di Mario Lombardo
Come diretta
conseguenza della concessione dell’asilo provvisorio in Russia a Edward
Snowden da parte del Cremlino, questa settimana l’amministrazione Obama
ha annunciato la cancellazione di una visita programmata da tempo del
presidente americano a Mosca. Se la controversia legata alla sorte
dell’ex analista dell’NSA ha fornito l’occasione a Washington per
innalzare il livello dello scontro con Vladimir Putin, le relazioni tra i
due paesi sono in realtà deteriorate da tempo in seguito ad una serie
di divergenze attorno a varie questioni strategiche sullo scacchiere
internazionale.
Come è noto, la Casa Bianca aveva esercitato
forti pressioni nelle scorse settimane sul governo russo per convincerlo
a rispedire Snowden negli Stati Uniti dove quest’ultimo è già stato
formalmente incriminato per avere rivelato i programmi segreti di
monitoraggio delle comunicazioni elettroniche dell’Agenzia per la
Sicurezza Nazionale.
Dopo la decisione di Mosca di consentire a
Snowden di lasciare l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, la settimana
scorsa erano cominciate a circolare le indiscrezioni sulla possibilità
che Obama avrebbe potuto annullare il vertice di Mosca, inizialmente
fissato dopo la riunione del G-20 a San Pietroburgo tra il 5 e il 6
settembre. Vista la fermezza della Russia nel respingere le richieste di
restituire Snowden agli USA, la notizia della cancellazione del faccia a
faccia con Putin è apparsa tutt’altro che sorprendente.
Obama
parteciperà comunque al G-20 in territorio russo ma non incontrerà Putin
nemmeno a margine di questo summit, come è consuetudine in simili
occasioni. La decisione annunciata mercoledì rappresenta la prima
cancellazione di un vertice bilaterale tra gli Stati Uniti e la Russia
dal crollo dell’Unione Sovietica. Come ulteriore sgarbo al Cremlino, la
Casa Bianca ha inoltre sostituito quella prevista a Mosca con una visita
in Svezia e, contemporaneamente, i leader dei paesi baltici sono stati
invitati a Washington.
I rapporti diplomatici di alto livello tra
i due paesi non saranno comunque interrotti. Un vertice già previsto
per venerdì tra il segretario di Stato, John Kerry e quello alla Difesa,
Chuck Hagel, e il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e quello
della Difesa, Sergey Shoygu, andrà infatti in scena regolarmente.
Ad
elencare i motivi di attrito tra le due potenze sono stati gli stessi
giornali americani, i quali continuano a descrivere quasi con
incredulità la risolutezza di Mosca nel respingere le presunte offerte
di dialogo del governo americano. Tra le ragioni di scontro più
rilevanti ci sono le questioni legate alla difesa missilistica, al
controllo degli armamenti, alle relazioni commerciali, ai diritti umani,
al nucleare iraniano e alla crisi in Siria.
Secondo le
ricostruzioni ufficiali, il presidente Obama si sarebbe detto
“esasperato” dal comportamento di Putin, prendendo alla fine atto
dell’impossibilità di fissare un’agenda su cui basare la discussione da
tenere a settembre.
A detta di un anonimo membro dell’amministrazione Obama sentito dal New York Times,
la vicenda di “Snowden è stata un fattore, ma la decisione trae origine
da considerazioni più ampie e da un profondo disappunto”. Secondo
questa interpretazione, i russi “non erano pronti a confrontarsi
seriamente sulle questioni ritenute fondamentali” dagli Stati Uniti.
In
sostanza, media e politici americani attribuiscono al Cremlino la
responsabilità di avere fatto naufragare la strategia di avvicinamento o
di “resettaggio” dei rapporti bilaterali messa in atto dalla Casa
Bianca fin dal 2009, anche se, a ben vedere, le crescenti tensioni tra
USA e Russia si spiegano in gran parte con la volontà americana di
piegare il governo di Mosca ai propri interessi strategici e con la
comprensibile resistenza mostrata da quest’ultimo.
Il
comportamento di questi giorni dell’amministrazione Obama è stato così
riassunto efficacemente dal consigliere di Putin, Yuri Ushakov, il quale
ha spiegato che “gli Stati Uniti non sono ancora pronti a costruire
relazioni paritarie con il nostro paese”, dal momento che Washington
nutre ben poco riguardo per le aspirazioni e gli interessi di Mosca.
Fin
dall’ingresso di Obama alla Casa Bianca, d’altra parte, l’intenzione
del governo americano è stata quella di utilizzare la Russia per
raggiungere i propri obiettivi strategici, come ad esempio in
Afghanistan, ma anche riguardo all’Iran e alla Siria. Da parte sua, il
Cremlino aveva mostrato una certa disponibilità a collaborare con
Washington, in particolare con la presidenza Medvedev, durante la quale è
stato ad esempio siglato il rinnovo del trattato START sulla riduzione
delle armi nucleari.
Il ritorno di Putin alla presidenza ha
coinciso però con un inasprirsi delle ostilità tra i due paesi,
aggravate dal persistente sostegno russo garantito al regime di Bashar
al-Assad in Siria, frustrando i tentativi da parte degli Stati Uniti di
convincere Mosca ad accettare il cambio di regime a Damasco.
Se
la ricerca dello scontro con la Russia indica, tra l’altro, una
probabile escalation militare degli USA in Medio Oriente per risolvere
la crisi siriana, più in generale la cancellazione del vertice
Obama-Putin rivela il prevalere all’interno dell’establishment
statunitense delle voci di coloro che vedono sempre più la Russia come
un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi strategici del proprio
paese nel mondo. Per questa ragione, un atteggiamento sempre più
aggressivo sembrerebbe essere l’opzione più appropriata per aumentare le
pressioni sul Cremlino.
In questo disegno rientrano quindi i
tentativi di attribuire ai rivali la propria intransigenza, come è
apparso evidente dalla retorica dei media “mainstream” di questi giorni e
dalle parole pronunciate dallo stesso Obama in un’apparizione
televisiva poche ore prima dell’annuncio ufficiale dell’annullamento del
vertice con Putin.
Al “Tonight Show” della NBC,
l’inquilino della Casa Bianca ha infatti affermato che “talvolta, i
russi tornano a mostrare una mentalità da Guerra Fredda”, nonostante
egli stesso abbia invitato Putin e il governo di Mosca “a guardare al
futuro”, poiché “non esistono motivi per i quali i nostri paesi non
dovrebbero essere in grado di cooperare più efficacemente”.
Come è
consuetudine per la politica estera americana, dunque, dietro alle
offerte di disponibilità al dialogo e ai propositi di distensione
continua a nascondersi la volontà di intimidire, quando non addirittura
di minacciare, i propri interlocutori, così che qualsiasi percorso di
riconciliazione avvenga solo alle proprie condizioni e serva a
promuovere esclusivamente gli interessi dell’imperialismo a stelle e
strisce.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento