di Michele Paris
Alla vigilia
dell’inaugurazione di una nuova campagna militare in Medio Oriente,
l’amministrazione Obama sta cercando in tutti i modi di creare una
parvenza di legittimità attorno all’imminente attacco criminale contro
la Siria, così da aggirare sia gli ostacoli previsti dal sistema legale
statunitense e dal diritto internazionale sia la vastissima ostilità
diffusa tra la popolazione americana per una nuova guerra imperialista.
A conferma della natura illegale dell’azione programmata dalle forze
armate USA contro il regime di Damasco, la Casa Bianca si muoverà
nuovamente nel sostanziale disprezzo delle stesse regole democratiche
del proprio paese. Obama e i suoi uomini hanno infatti lasciato
intendere con estrema chiarezza come il presidente non intenda chiedere
alcuna autorizzazione preventiva al Congresso per scatenare una nuova
guerra.
Ciò era peraltro già accaduto in occasione del conflitto in Libia nel
2011, quando il governo americano aveva ritenuto di potere agire a
sostegno dei “ribelli” anti-Gheddafi senza un voto di Camera e Senato
perché l’intervento militare era stato definito di “portata limitata”.
Nel caso della Siria, invece, l’amministrazione Obama sembra essere
intenzionata a fare appello ad una fantomatica minaccia alla “sicurezza
nazionale” degli Stati Uniti, emersa dopo il presunto attacco con armi
chimiche del 21 agosto scorso nei pressi di Damasco.
Secondo la cosiddetta “War Powers Resolution” del 1973, il presidente
ha la facoltà di autorizzare l’impiego della forza militare all’estero
solo in caso di una “emergenza nazionale” - chiaramente inesistente in
relazione alla Siria - anche se il Congresso è chiamato ad esprimersi
entro 60 giorni. Alla Camera e al Senato, in ogni caso, non esiste
alcuna maggioranza trasversale che mostri di voler difendere le
prerogative dell’organo legislativo d’oltreoceano, né tantomeno che
chieda un dibattito pubblico sul coinvolgimento di Washington o la
presentazione di prove concrete circa la responsabilità del regime di
Bashar al-Assad nei fatti della scorsa settimana.
Solo alcune voci isolate, soprattutto tra i repubblicani più
conservatori, stanno chiedendo in questi giorni alla Casa Bianca un voto
del Congresso prima di far scattare le operazioni in Siria. Tra gli
altri, una ventina di parlamentari ha indirizzato al presidente una
lettera nella quale viene fatto notare come un attacco contro la Siria
senza l’autorizzazione del Congresso risulterebbe al di fuori della
legalità.
Lo
speaker della Camera, John Boehner, si è tuttavia limitato a chiedere
“consultazioni” tra i membri del governo e del Congresso, così da
definire gli obiettivi dell’azione da intraprendere. Per venire incontro
a queste richieste alquanto modeste, sono stati organizzati alcuni
incontri tra esponenti del gabinetto Obama e i leader dei due partiti,
in modo da dare l’impressione di un certo coinvolgimento del Congresso
in un’avventura bellica che avrà con ogni probabilità conseguenze
drammatiche.
Lo stesso Boehner, ad esempio, ha incontrato il capo di gabinetto di
Obama, Denis McDonough, mentre il leader di minoranza al Senato, il
repubblicano Mitch McConnell, il numero uno dei democratici, Harry Reid,
e la ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, sono stati informati dei
piani del Pentagono nel fine settimana. Il Segretario alla Difesa, John
Kerry, ha infine rassicurato i membri più importanti delle commissioni
Esteri e per le Forze Armate della Camera circa la legittimità
dell’azione militare.
In questa campagna messa in atto appositamente per confondere
l’opinione pubblica, un ruolo fondamentale lo stanno svolgendo come al
solito i media ufficiali. La NBC ha così riportato nella serata
di martedì che i primi missili contro obiettivi in territorio siriano
potrebbero essere lanciati già nella giornata di giovedì e che i
bombardamenti potrebbero proseguire per tre giorni, salvo poi valutare
ulteriori incursioni per colpire obiettivi eventualmente falliti durante
la prima fase delle operazioni.
Simili rivelazioni, assieme alle dichiarazioni di vari esponenti
dell’amministrazione Obama, hanno lo scopo di occultare le gravissime
implicazioni della nuova guerra che sta per esplodere nel mondo arabo,
così come le reali motivazioni dell’aggressione contro Damasco. In
particolare, come ha ripetuto martedì il portavoce della Casa Bianca,
Jay Carney, la risposta militare americana viene presentata come la
necessaria conseguenza delle azioni di Assad e dell’uso di armi
chimiche, visto che gli USA non avrebbero alcuna intenzione di favorire
un cambio di regime a Damasco.
I tentativi di minimizzare la portata dell’intervento delle forze
armate statunitensi da parte dell’amministrazione Obama sono dunque da
prendere quanto meno con le molle. Innanzitutto, gli USA e il loro
alleati in Europa e in Medio Oriente stanno cercando da due anni di
costruire un pretesto che possa giustificare un intervento diretto per
invertire le sorti del conflitto in Siria.
Inoltre, come ha dimostrato la guerra in Libia, l’utilizzo
presumibilmente massiccio di missili e il possibile ricorso ad
incursioni aeree causeranno un numero altissimo di vittime civili in
Siria, per non parlare infine del possibile coinvolgimento nel conflitto
di paesi come Iran o Russia.
La pretesa di essere sul punto di intraprendere una campagna militare
di pochi giorni e di basso profilo appare perciò come una menzogna
deliberata per superare la forte opposizione popolare, dal momento che
l’assalto preparato dal Pentagono proseguirà fino a che non verranno
piegate le difese del regime, così da consentire ai “ribelli” - tra i
quali prevalgono le forze integraliste più o meno legate al terrorismo
internazionale - di invertire gli equilibri sul campo finora favorevoli
ad Assad.
Ad insistere sulla necessità di rispondere ad un imperativo morale e
di non lasciare impunito un attacco con armi chimiche la cui
responsabilità è ancora tutta da dimostrare era stato lo stesso Kerry
nella giornata di lunedì, quando è stato protagonista di un intervento
pubblico che ha ricordato tragicamente la vergognosa performance del
febbraio 2003 dell’allora segretario di Stato dell’amministrazione Bush,
Colin Powell, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq.
L’ex
senatore democratico ha definito “la strage indiscriminata di civili”
con armi chimiche nella località di Ghouta un “abominio morale”,
motivando la frettolosa assegnazione della responsabilità al regime di
Assad in base ad una presunta valutazione dei “fatti” ma anche al “buon
senso”. In realtà, Kerry non è stato in grado di presentare una sola
prova concreta delle proprie accuse e, oltretutto, il “buon senso” nella
vicenda siriana porterebbe piuttosto a considerare gli stessi “ribelli”
come i possibili autori del più recente attacco con armi chimiche.
Ad ipotizzare simili responsabilità di questi ultimi erano stati
anche i membri di una speciale commissione ONU di indagine sulla Siria
qualche mese fa nell’ambito di altri due episodi nei quali era stato
segnalato l’impiego di questo genere di armi proibite. Da tempo,
inoltre, le forze speciali USA e la CIA stanno addestrando formazioni
“ribelli”, alle quali avrebbero potuto fornire armi chimiche per
condurre un attacco da attribuire al regime, mentre il ministro degli
Esteri di Damasco, Walid al-Moallem, ha parlato più volte di un’ondata
di guerriglieri stranieri intenzionati a lanciare un assalto contro
Damasco “su quattro diversi fronti”.
La propaganda statunitense, dunque, serve in definitiva ad impedire
che si faccia chiarezza sui fatti della scorsa settimana, come
dimostrano i tentativi di boicottare la missione ONU attualmente al
lavoro in Siria per raccogliere prove sull’uso di armi chimiche a
Ghouta.
Dopo che il governo di Damasco aveva dato il via libera all’indagine
degli esperti delle Nazioni Unite, infatti, l’amministrazione Obama non
solo ha definito tardiva e inutile la missione ma, come ha dimostrato
martedì il giornalista investigativo Gareth Porter sul sito web
dell’agenzia di stampa IPS News, ha addirittura fatto pressioni sul Segretario Generale, Ban Ki-Moon, per interromperla definitivamente.
Secondo numerosi esperti contattati da Porter, la tesi sostenuta
dagli USA che le prove dell’uso di armi chimiche non sarebbero più
rilevabili dopo alcuni giorni è insostenibile, visto che tracce di
questo genere possono essere raccolte anche dopo svariati mesi.
L’obiettivo degli americani appare perciò quello di evitare che si
faccia luce su quanto avvenuto in Siria e di propagandare la propria
versione dei fatti come verità incontrovertibile.
Non
a caso, infatti, la Casa Bianca e il Pentagono sarebbero intenzionati
ad iniziare la loro campagna di aggressione contro la Siria - ovviamente
senza alcun mandato ONU nonostante la Gran Bretagna abbia presentato
mercoledì una risoluzione al Palazzo di Vetro per autorizzare qualsiasi
genere di misura volta a “difendere la popolazione civile” - prima che
gli ispettori riferiscano al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite i
risultati della propria indagine, considerata di fatto dagli Stati
Uniti come un impedimento ai loro piani di guerra.
Tutto ciò che l’amministrazione Obama presenterà all’opinione
pubblica per giustificare l’attacco alla Siria dovrebbero essere
soltanto parziali rapporti di intelligence che, secondo i media
d’oltreoceano, ricostruirebbero dettagliatamente i fatti del 21 agosto,
assegnandone la responsabilità al regime di Assad.
Questa strategia ricorda in maniera inquietante quella messa in atto
dall’amministrazione Bush nel 2003, quando rapporti dei servizi segreti a
stelle e strisce sulle inesistenti armi di distruzione di massa di
Saddam Hussein vennero fabbricati ad arte per legittimare un’azione
unilaterale del tutto illegale che portò ad un vero e proprio “abominio
morale”, vale a dire la devastazione dell’Iraq e il massacro di
centinaia di migliaia di civili anche in seguito all’uso da parte degli
americani di fosforo bianco nella città di Fallujah.
Su queste premesse e con questi metodi, dunque, gli Stati Uniti del
presidente democratico premio Nobel per la pace si apprestano ad aprire
un nuovo fronte di guerra in Medio Oriente, celando dietro alla consueta
retorica della difesa della democrazia e dei diritti umani
un’operazione che rientra in pieno nella strategia a lungo termine di
Washington di assicurarsi con la forza delle armi una posizione
dominante in questa area cruciale del pianeta.
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