Il Parlamento britannico dice no all'intervento contro Damasco. Mosca rafforza la flotta militare nel Mediterraneo. Washington alla caccia di altri "volenterosi".
La coalizione dei volenterosi, dieci anni dopo, non decolla. Il
presidente Obama si arrampica sugli specchi del Palazzo di Vetro, dove
Cina e Russia da due giorni bloccano qualsiasi tipo di discussione o
risoluzione su un possibile attacco contro la Siria.
Ma a mettere i bastoni tra le ruote americane ci pensano anche gli alleati più stretti: ieri
il Parlamento di Londra ha detto no alla partecipazione della Gran
Bretagna alla campagna anti-Assad. La Camera dei Comuni ha votato contro
la mozione del premier Cameron (282 voti contrari contro 275 a
favore): a quanto pare Londra non intende ripetere gli errori di Tony
Blair. Ora le mani di Cameron sono legate: il primo ministro ha detto di
accettare la decisione in quanto rispettosa della volontà del popolo
inglese.
Ma forse la performance del premier non è stata delle migliori: Cameron
ha parlato delle armi chimiche utilizzate da Assad contro i civili
siriani, aggiungendo però che la certezza assoluta non c'è: "La
questione oggi è come rispondere ad uno dei più orrendi utilizzi di armi
chimiche in un secolo. Non si tratta di prendere parte nel conflitto,
non si tratta di invasione. Non si tratta di cambiare un regime o di
lavorare a stretto contatto con le opposizioni. Si tratta della nostra
risposta ad un crimine di guerra".
L'amministrazione Obama è furiosa: da decenni ogni guerra combattuta
da Washington aveva visto la presenza rassicurante dell'alleato inglese.
L'ira si è tradotta nelle parole del portavoce del Consiglio di
Sicurezza americano, Caitlin Hayden, secondo la quale gli Stati Uniti
continueranno a consultarsi con Londra, ma prenderanno decisioni tenendo
in considerazione solo i propri interessi. Ovvero Obama potrebbe lanciare un attacco da solo.
Un'eventualità non semplice. E il segretario alla Difesa statunitense,
Chuck Hagel, non si arrende: "Continueremo a cercare una coalizione che
lavori insieme - ha detto oggi Hagel - E penso che ci sia un gran numero
di Paesi che hanno pubblicamente dichiarato la loro posizione in merito
all'uso di armi chimiche".
Senza il via libera dell'Onu, Obama si trova di fronte alla stringente
necessità di procurarsi un concreto appoggio internazionale. La spada di
Damocle russa incombe: ieri Mosca ha detto che invierà due navi
(probabilmente una nave anti-sommergibile e un incrociatore) nel
Mediterraneo per rafforzare la propria presenza navale. "La
situazione ci richiede alcuni aggiustamenti", ha detto una fonte vicina
alle autorità russe. Da parte sua, la Gran Bretagna ha inviato sei jet della
RAF nella base inglese di Cipro, "una pura misura precauzionale per
difendere gli interessi del Regno Unito", l'ha definita il Ministero
della Difesa.
Secondo fonti militari siriane, anche Damasco si prepara alla guerra e
al possibile lancio di missili contro siti sensibili. Assad ha già
avvertito gli Stati Uniti: la Siria si difenderà e per Washington
sarà un altro Vietnam. Certo è che la tensione è giunta alle stelle. La
Cina accusa gli USA di fare "da giudice e giustiziere", l'Iran promette
una risposta, Israele richiama i riservisti e la Turchia è in stato
d'allerta. Damasco non è Baghdad e il ruolo centrale della Siria
nella regione porterà a conseguenze molto più ingenti di quelle
successive all'occupazione dell'Iraq. Obama lo sa e tentenna di nuovo,
in attesa di presentare il rapporto con le prove dell'utilizzo di armi
chimiche da parte del regime di Damasco.
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