Ognuna ha bandiera, esercito e sistema legale: Assad controlla il centrosud e la costa, i ribelli sunniti parte di Aleppo, Idlib fino ad Est, i curdi il Nord-Ovest.
Bashar Assad l'altro giorno ha invocato l'uso della forza come unica strada per chiudere la partita con i ribelli armati. Da parte sua Ahmad
Jarba, il capo della Coalizione Nazionale dell'opposizione, ha precisato
che lui alla conferenza di Ginevra II sul futuro della Siria potrebbe
andarci ma con in tasca molte «precondizioni».
Di fronte a queste posizioni che restringono i margini di una possibile trattativa, sono
solo due le certezze per la Siria: che Ginevra II, evocata ieri anche
dai ministri degli Esteri di Italia e Russia, Emma Bonino e Serghiei
Lavrov, non si farà neanche a settembre; e che si è consolidata la
frattura in tre parti di un Paese che fino a due anni fa era altamente
centralizzato, ognuna con una propria bandiera, forze di sicurezza e
sistema giudiziario. In questo quadro sono avvenuti i sequestri del
gesuita Paolo Dall'Oglio, da una settimana nelle mani di jihadisti
islamici, e del giornalista de La Stampa Domenico Quirico. Bonino
si è detta «speranzosa» su una positiva conclusione della vicenda di
Quirico. «Vorrei dire a lui e sua moglie che non ci diamo per persi e
continuiamo a cercare», ha affermato la ministra degli Esteri.
Le linee di demarcazione emerse sul terreno sono mobili ma offrono
indicazioni chiare. La Siria che abbiamo conosciuto fino alla primavera
del 2011, con a capo Assad, ha una presa salda su un vasto corridoio
che va dal confine meridionale con la Giordania, comprende Damasco e
Homs (appena riconquistata dalle truppe governative) e arriva fino alla
costa mediterranea, dove gran parte della popolazione appartiene alla setta alawita (sciita) del presidente.
I ribelli, quasi tutti sunniti, controllano il territorio con parti
di Idlib e Aleppo, lungo il fiume Eufrate, fino al confine a Est. Il
territorio nord-orientale è in buona parte nelle mani della minoranza
curda che difende la sua conquistata autonomia non più da Damasco
(l'avversaria storica) ma dagli «arabi», ossia qaedisti e jihadisti,
appoggiati da battaglioni e clan familiari legati all'Esercito Libero
Siriano (Esl, la milizia che dovrebbe rispondere agli ordini della
Coalizione Nazionale di Jarba).
Una «spartizione» fluida che vede il governo centrale controllare nel
Nord i capoluoghi, con l'eccezione di Raqqa e parti di Aleppo, e alcune
basi militari e posti di blocco. Due giorni fa i qaedisti dello Stato
Islamico in Iraq e nel Levante e del Fronte al Nusra hanno conquistato
un'importante base aerea nel distretto di Aleppo dopo un assedio durato
otto mesi. Ormai le autorità centrali sanno di non potere recuperare i
territori persi a Nord e concentrano gli sforzi nel centro e nel Sud
della Siria e intorno a Damasco per spazzare vie le ultime roccaforti
dei ribelli.
Dietro le quinte della guerra civile si svolge un intenso commercio
tra "nemici", con jihadisti e qaedisti che attraverso oscuri mediatori
vendono proprio al governo centrale il petrolio estratto dai giacimenti
che controllano nel Nord-Est del Paese. Pozzi che stanno
gradualmente passando alle milizie curde che, capeggiate dai Comitati di
Protezione Popolare del partito Pyd (espressione locale del Pkk), da
alcune settimane sono impegnate in combattimenti violenti con gli
islamisti. I curdi hanno creato proprie forze di polizia e un sistema
di istruzione che ha al suo centro l'insegnamento della lingua
nazionale in sostituzione dell'arabo. I jihadisti e l'Els invece hanno
messo un piedi, specie a Raqqa, strutture amministrative e giudiziarie
fondate sulla legge coranica.
A Damasco e nel resto del territorio centromeridionale il potere
centrale cerca di tenere in vita, tra le difficoltà della vita
quotidiana e la crisi economica, la gestione precedente alla guerra
civile fondata su di un modello sostanzialmente laico a garanzia delle
minoranze etniche e religiose che puntellano la stabilità del regime. E
sulla costa, risparmiata in gran parte dal conflitto, l'esistenza scorre
più o meno come in passato. A Tartus e Latakiya le spiagge sono
affollate di bagnanti in questi giorni. Non a caso i ribelli hanno
lanciato un'offensiva negli ultimi giorni, nella zona a Nord di
Latakiya, allo scopo di «portare la guerra» a casa di Assad. Da lunedì è
in corso un attacco su Qardaha - centro abitato con il mausoleo del
padre del presidente, Hafez Assad - con 10 brigate jihadiste che hanno
preso il controllo di una decina di piccoli centri alawiti nei pressi
della cittadina di Salma, popolata invece da sunniti.
Ahmad
Abdelqader, un miliziano delle Brigate islamiste «Ahrar al-Jabal», uno
dei gruppi coinvolti nell'operazione, ha detto a Zaman al Wasl che
centinaia di famiglie alawite sono in fuga. Dopo Qardaha l'obiettivo è la stessa Latakiya (con un'ampia comunità sunnita). Ma questa regione è troppo importante per Assad
e l'esercito governativo aiutato dalla milizia dei Comitati di Difesa
Nazionale, ha lanciato la controffensiva con l'appoggio dell'aviazione.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento