Il tribunale di Atacama, nell’estremo nord del Cile, ha assolto ieri
tutti i presunti responsabili del crollo nella miniera San José, che
lasciò per 70 giorni 33 minatori a 700 metri di profondità, obbligando a
un difficilissimo salvataggio. È l’ennesimo caso di impunità
e di disprezzo della vita e della sicurezza dei lavoratori in un paese
che si vanta di avere ormai raggiunto il “primo mondo”.
Perfino l’allora ministro per le miniere Laurence Golborne (destra)
ha giudicato «incredibile» la sentenza che ha assolto i proprietari
della miniera, Alejandro Bohn y Marcelo Kemmeny e i funzionari dell’ente
pubblico di controllo. Per Golborne la sentenza è inspiegabile perché
era nelle carte che l’impresa non avesse adottato neanche quelle misure
di sicurezza - comunque insufficienti - che erano state espressamente
richieste dalle autorità. Qualunque cosa dica Golborne, sotto accusa in
questo momento anche per aver esportato fondi verso paradisi fiscali,
evidentemente la giustizia cilena non è strutturalmente capace di punire
reati commessi da colletti bianchi e lo stesso Golborne è in queste ore
chiamato in causa come corresponsabile dei fatti della miniera dal
deputato socialista Luís Lemus. In Cile, un paese che tuttora deve alle
miniere di rame moltissimo in termini di export, la poltrona di Ministro
delle Miniere è una delle più importanti e tradizionalmente in sinergia
con i padroni delle stesse.
I 33 minatori restarono bloccati dal 5 agosto al 13 ottobre del 2010
quando, con un’operazione di recupero durata 25 ore, furono salvati
attraverso un tunnel di appena 50 cm di diametro. Per i primi 17 giorni
restarono completamente isolati, con un cucchiaio di cibo al giorno a
testa, a 40 gradi, con il 90% di umidità e con la pelle presto coperta
di funghi. Poi riuscirono miracolosamente a comunicare con l’esterno e
furono salvati in quella che si trasformò in una straordinaria
operazione di marketing politico per Sebastián Piñera. Questo bivaccò
per settimane sulla bocca del pozzo in favor di telecamere per un evento
dalle caratteristiche emozionali tali da divenire mondiale.
Mario Sepúlveda (foto), uno dei portavoce dei minatori, ha dichiarato
alla stampa cilena che molti di loro hanno accolto la sentenza con
grande frustrazione, pena e pianto. La maggior parte di loro ha avuto
seri problemi nei tre anni trascorsi, sia dal punto di vista lavorativo
che personale, quasi tutti continuano a usare medicinali e sono in
psicoterapia. Più d’uno ha avuto problemi di alcool, uno di loro è stato
processato per percosse alla moglie e molti segnalano l’instabilità
d’umore come una delle conseguenze più durature. Quattordici di loro, i
più anziani, non sono riusciti a reinserirsi nel mondo del lavoro e
hanno beneficiato di una mini-pensione sociale. Anche per gli altri,
dopo i primi tempi di popolarità, di inviti e di aiuti (alcune migliaia
di Euro a testa), il ritorno alla realtà è stato drammatico con il
ritorno ad una condizione esistenziale e professionale peggiore della
preesistente. Aspettavano congrui risarcimenti ma la compagnia mineraria
ha dichiarato fallimento e la causa verso lo Stato per negligenza
(chiedono 540.000 dollari a testa) si vedrà notevolmente rallentata se
non definitivamente arenata dalla sentenza di ieri.
Al momento l’unico costo che l’impresa ha dovuto sopportare sono
stati i 5 milioni di dollari del salvataggio ai quali è stata obbligata
dal governo, meno di un quarto del costo dell’operazione che fu di 22
milioni. Impunità, ancora impunità per un dramma dalle responsabilità
evidentissime e che solo per caso non ha lasciato morti. Ma quel mondo
che nel 2010 guardava con emozione al deserto di Atacama oggi guarda da
un’altra parte.
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